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Josè che denunciava peccato e peccatore

Josè che denunciava peccato e peccatore

Pensieri da Nobel - Saramago, lo scrittore portoghese comunista per “una questione di etica”, accusava la religione di sacralizzare la condizione di inferiorità della donna

Stefania Friggeri Lunedi, 04/10/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2010

La figura di Josè Saramago, lo scrittore portoghese insignito del Nobel nel 1998, è stata così ostica alla Chiesa di Roma da spingere l’ “Osservatore” a dedicargli un durissimo e livoroso articolo anche immediatamente dopo la morte. Le critiche rivolte alla creatività e alla scrittura del romanziere sono molto aspre, ma tanto accanimento si spiega soprattutto con l’imperdonabile colpa di essere un ateo comunista. Anche se Sepulveda, ricordandolo, diceva che per Saramago “essere comunista nel confuso XXI secolo” non era “un fatto ideologico”, era semplicemente “una questione di etica” essendo “la solidarietà un fatto collegato al vivere. Nessuno (come lui) si è sacrificato tanto per tante cause giuste e in così poco tempo”. In effetti negli ultimi anni Saramago avrebbe anche potuto vivere di rendita, come un monumento vivente che piace a tutti perché pontifica sulla pace, la giustizia ecc. senza mai diventare scomodo per i potenti. Il Nobel portoghese, invece, nelle sue costanti battaglie civili non si limitava a denunciare il peccato, ma denunciava con nome e cognome il peccatore: vedi il paragone fra Berlusconi e un virus malefico che rischia di infettare l’Europa tutta (e questo gli chiuse le porte dell’Einaudi). E fu così che, ormai anziano, decise di trasferirsi a Lanzarote abbandonando il Portogallo dove il clima per lui si era fatto irrespirabile dietro le pressioni della Chiesa che non poteva perdonargli un romanzo come “Il Vangelo di Gesù”, dove i Vangeli vengono riletti sullo sfondo della cultura e dei costumi del tempo. Attraverso la scrittura dissacrante di Saramago, ad esempio, emerge il ruolo della religione nel sacralizzare la condizione di inferiorità della donna:“dovresti essere donna per sapere cosa significa vivere con il disprezzo di Dio” dice la Maddalena; e Maria, già sposa a quindici anni, vive rassegnata all’ombra di Giuseppe che, essendo lei donna, la priva di ogni confidenza, mentre lui va in sinagoga a discutere di Yahvè. Gesù poi è umanissimo: uomo fra gli uomini più che figlio di Dio, ama carnalmente Maddalena (“gemendo si abbandonava col proprio corpo su quello di lui, bevendo il grido dalla bocca, con un bacio avido e ansioso che scatenò nel corpo di Gesù un secondo interminabile fremito”) e tenta infine di ribellarsi al Padre. Un Padre crudele che, pur di ottenere l’ossequio universale, non si fa scrupolo di destinare alla crocifissione il figlio, e alla domanda: “Voglio sapere come arriveranno gli uomini a credere in me” risponde “moriranno degli uomini per te e per me. Gli uomini sono sempre morti per gli dei”.

“Bisogna proprio essere Dio per amare tanto il sangue”commenta Satana. Il quale poi, per fermare quel fiume di dolore, propone: “…accoglimi di nuovo nel tuo cielo…Se lo farai…il male finirà qui oggi, non ci sarà bisogno che tuo figlio muoia”. Questa la risposta: “non ti perdono…Perché il Bene che io sono non esisterebbe senza il male che sei tu…insomma se tu finisci finisco anch’io”. Sicché Gesù, morente in croce, consapevole dell’inutilità di ricorrere a un Dio misericordioso, così invoca: “Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto”.

Ma con Saramago non c’è solo la rilettura caustica e irriverente del Vangelo: in “Caino” il fratricida, condannato a percorrere avanti e indietro nel tempo le pagine della Bibbia sature di sofferenza e di sangue, entra in contatto con gli uomini che inutilmente invocano la misericordia di Dio. Un Dio capriccioso che, avendo rifiutato senza motivo l’offerta di Caino (di cui Abele si fa beffe poiché la sua offerta invece era stata accettata) viene chiamato a riconoscersi corresponsabile del fratricidio: “sarebbe bastato che per un attimo tu fossi misericordioso, che accettassi la mia offerta…Gli dei…hanno dei doveri verso coloro che dicono di avere creato”. A partire dalle vittime innocenti, come i bambini di Sodoma e Gomorra la cui fine terribile nel fuoco purificatore non cessa di tormentare la memoria di Caino. La morte degli innocenti dunque come simbolo del Male da cui non ci salvano le religioni, se è vero quello che ha detto anche il teologo Hans Kung: “le religioni non sono mai servite ad avvicinare fra loro gli esseri umani”. E Saramago: “Smania d’eternità. A me questa parola, eternità, fa paura…E poi il mondo senza religione sarebbe più pacifico”. Ma la polemica di Saramago, come scrive Umberto Eco, non è contro Dio, ma contro l’uso del potere per una religiosità che è spettacolo lussuoso per tenere sottomesso “un popolino sciolto in paure e suppliche”. Come appare ne “Il memoriale del convento”: dal romanzo, ambientato nel ‘700 e attraversato dall’odore acre dei roghi dell’Inquisizione, esce severa la denuncia di Saramago contro la Chiesa di Roma come pura forma di potere. Un’accusa che a suo giudizio merita anche la Chiesa di Ratzinger, accusata di oscurantismo: “Mi sono sempre considerato un ateo tranquillo…ma ora sto cambiando idea. Alle insolenze reazionarie della Chiesa cattolica bisogna rispondere con l’insolenza dell’intelligenza viva”.

Così infatti Saramago commenta il suo “Cecità”, allegoria sferzante di un mondo di ciechi: “Volevo raccontare le difficoltà che abbiamo a comportarci da esseri razionali...Quello che racconto in questo libro sta accadendo in qualunque parte del mondo in questo momento”. Nel saggio infatti l’autore ci accompagna a vedere come ci si abbrutisce annullando millenni di civilizzazione. In una città innominata si diffonde un’epidemia che rende ciechi e presto, annebbiati dalla disperazione, gli abitanti regrediscono alla disumanità di bruti schiavi dell’istinto di sopravvivenza; l’unica dotata di vista è una donna che non ha perso il senso di solidarietà, ovvero il sentimento che, nato dalla coscienza della nostra finitezza irrimediabile, ci offre un catartico spiraglio di speranza. Ma come risponde la religione all’angoscia esistenziale? Ne “Le intermittenze della morte”(dove Saramago immagina che la morte sia scesa in sciopero e gli uomini siano condannati ad un decadimento fisico inarrestabile), per la dottrina l’assenza della morte diventa inaccettabile: “Senza morte, mi ascolti bene signor Primo Ministro, senza morte non c’è resurrezione, e senza resurrezione non c’è chiesa”.

 





(3 ottobre 2010)

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