Martedi, 10/11/2009 - Uno spettacolo sconcertante, all’insegna dell’indecenza, “Orgy of Tolerance” di Jan Fabre, ha messo in scena i peccati della nostra società, percepita dallo scultore fiammingo come inquinata e marcia, senza possibilità di riscatto, di indignazione e di ribellione, dove fra lo sventolare di regole amorali e di ipocrisie, ideali stupidi e infami dettano le condotte mentre in una cornice di trionfo si impongono la banalizzazione sessuale e la corsa collettiva all’orgasmo di massa. Il mosaico di Jan Fabre, composto alla perfezione al di là delle oscenità profuse a piene mani, ha coronato come meglio non si sarebbe potuto la prima edizione di “Prospettive 09”, una rassegna autunnale di Mario Martone e Arcuri, volta alla contemporaneità e allegata con enorme e inatteso successo alla stagione del Teatro Stabile di Torino.
Lanciata alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri la rappresentazione-denuncia-invettiva, ha trovato da un lato un pubblico di giovani al colmo dell’entusiasmo e dall’altro resistenze e perplessità di spettatori meno inclini alle trasgressioni. Masturbazioni in competizione, donne appese ai carrelli dei supermercati che partoriscono urlando i oggetti di consumo, torture inaudite ispirate alle prigioni di Abu Grabi, razzismo, blasfemia, sodomia; scene indescrivibili stillanti ferocia e odio. Nel corso di quella esposizione di quadri ove dominano l’oscenità, la violenza, l’animalità più smaccata, dove la scompostezza e l’amoralità estetica raggiungono i vertici, lo spettatore ha un senso di nausea e di rifiuto: ma il tocco dell’arte viene incontro e illumina tanto squallore della sua luce. Ammalia la bravura dei nove attori abilissimi nella recitazione, nell’arte canora, coreografica e acrobatica, appare rigorosa e solida la regia, e perfetta al composizione di un lavoro che pur menando scandalo a tutto spiano, è un riflesso deformato, ma verosimile del nostro mondo in disgregazione.
E se per un verso Jan Fabre ha ragione, e tante cose ripugnanti ed eccessive sono parte effettiva di questo mondo cane, concentrandole in due ore di visioni inaudite l’artista fiammingo si macchia dello stesso peccato che condanna ed espone senza freni e veli: l’eccesso.
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