La Donna del mese - Giornalista afghana, dopo la caduta del regime talebano nel 2001 ha fondato la rivista di cultura e società Malalai.
Colla Elisabetta Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2008
E’ proprio lei, Jamila Mujahed, la giornalista afghana che, dopo la caduta del regime talebano nel 2001, ha fondato la rivista di cultura e società Malalai, dedicata alle donne ed ha dato vita alla radio “Voce Donna”, un’emittente che è davvero una voce nel deserto, data la situazione di anarchia e povertà sociale e culturale in cui si trova oggi il paese, basti pensare che l’analfabetismo femminile raggiunge all’incirca il 90%: la radio, che riceve una sovvenzione dall’Unesco per sopravvivere e trasmette nelle lingue più diffuse del paese, Darì e Pashtun, è un veicolo privilegiato per far circolare le informazioni e per promuovere il lento processo di emancipazione delle donne afghane. Jamila è in transito in Italia per presentare il libro Burka! (patrocinato da Amnesty International, edito da Donzelli), 24 tavole illustrate realizzato in collaborazione con la disegnatrice italiana Simona Bassano di Tuffillo nel corso di un incontro alla Casa Internazionale delle Donne a Roma ringrazia tutte le sorelle italiane e sorride con un volto pieno di intelligenza ma che svela un fondo di amarezza negli occhi mentre parla delle sofferenze e delle violenze inflitte alle donne nel suo paese. “Provengo da una famiglia di intellettuali che mi hanno consentito di fare quello che ho fatto. Noi donne dobbiamo spalleggiarci in tutto il mondo, perché il nemico è uguale per tutte noi: le storie delle donne afghane sono molto più drammatiche di quanto non sembri dall’esterno. Non basta visitare Kabul come fanno molti giornalisti che vengono per poco tempo e poi se ne vanno, senza approfondire”. Fu proprio lei a dare l’annuncio ufficiale della caduta del regime talebano (scortata a Radio Kabul in burka per la pericolosità del paese in quei giorni), prima del cui avvento, nel 1996, Jamila era una nota giornalista radio-televisiva poi allontanata dagli incarichi pubblici e bandita dalla società civile, come molte altre persone, specialmente donne. Durante il racconto di Jamila, emergono i vissuti dolorosi delle donne e le reiterate violazioni dei diritti elementari ma nella sua voce ferma ci sono anche gli sforzi energici di lotta e resistenza non violenta, le strategie di sopravvivenza come quelle poste in atto da Jamila e dalle sue colleghe della radio: la giornalista ha ricevuto numerose minacce di morte con l’accusa di corruzione dei giovani e propaganda anti-religiosa ed è costretta a girare col burka per non essere riconosciuta. “In Afghanistan ci sono molti fondamentalisti e non sono solo i talebani: sono molto forti, anche perché il governo si è ancora indebolito dopo la caduta dei talebani, lì per lì c’era molta più sicurezza, ora si torna indietro e le donne indossano di nuovo il burka e molte giovani vengono ritirate dalle scuole. Non basta, a molte scuole femminili viene dato fuoco e le donne afghane non possono parlare di certi argomenti, né studiare perché la famiglia del padre non lo consentirebbe. Inoltre, non avendo l’indipendenza economica queste donne morirebbero subito fuori dalla famiglia. Finché non saranno indeboliti i fondamentalisti la situazione delle donne non cambierà, finchè le donne non verranno informate non potranno reclamare alcun diritto. Una delle nostre lotte è quella di convincere le donne ad andare a scuola e studiare, per questo, con cinque colleghe molto coraggiose, abbiamo fondato la radio, che raggiunge le cinque aree centrali del paese. La nostra, probabilmente, è la più piccola radio del mondo e l’unica diretta da una donna in un Paese dove la donna non conta assolutamente niente”. Un altro sistema per essere aiutate - e sembra strano per noi sentirlo dire da Jamila - è quello di mantenere le forze di pace ed anche gli aiuti militari, soprattutto quelli europei. La vita per le donne è invivibile sia nelle città che nelle campagne e l’elenco dei diritti calpestati è lunghissimo: le donne che vivono in città hanno una vita poco diversa da quelle di campagna, entrambe lavorano fuori e dentro casa e sono soggette alla violenza degli uomini: chi vive fuori città non conosce alcun diritto, tantomeno quello alla salute e le donne quando si ammalano neppure in punto di morte possono chiamare un medico. Le donne non possono scegliere di avere figli perché, finchè possono e sono in grado di procreare, dovrebbero averne un numero infinito. Non possono divorziare, è l’uomo a scegliere e la famiglia di origine non riprende con sé queste ragazze, né qualcuno le risposerebbe mai. L’unica legge rispettata in tutte le zone rurali è proprio la Sharìa, benchè esista una Costituzione nuova, molto avanzata, che nessuno rispetta. Anche per le vedove la situazione non è delle più allegre: continuano a mantenere la famiglia anche dopo la morte del marito, non possono risposarsi e vivono tragicamente abbandonate e in miseria. “Chi supera queste difficoltà passa attraverso il fuoco e va dall’altra parte: la vita mi ha insegnato a vedere le cose in questo modo. Noi siamo in guerra coi fondamentalisti ed abbiamo solo le nostre parole per convincerli”. Jamila, non a caso, ha dato alla sua rivista un titolo emblematico, Malalai, il nome di un’eroina storica dell’Afghanistan, Davide contro Golia al femminile.
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