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Jack e Jill

Jack e Jill

Teatro delle coppie - L’impossibilità dell’amore in una commedia pessimista

Mirella Caveggia Lunedi, 22/06/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2009

I capricci dell’amore, che come il vento va e viene senza un perché, sono il tema di “Jack e Jill”, una commedia dell’americana Jane Martin che al suo debutto nazionale per lo Stabile di Torino scruta con brio e intelligenza i meccanismi di frantumazione della coppia del giorno d’oggi. E lo fa dispensando getti di risate insieme a schizzi di fiele, perché la pretesa armonia familiare, i nodi indissolubili, l’intesa perfetta sono favole che il mondo occidentale non fa che smentire clamorosamente. Così almeno sembra concludere l’autrice nel suo disincanto, convinta che l’unione fra un essere femminile e uno maschile è un’operazione piuttosto sconsiderata che reca in sé i germi della propria corrosione.

Jack e Jill (nomi che nell’inglese corrente indicano un lui e una lei) sono due divorziati che un giorno si incontrano per caso. Superata la prima diffidenza, entrano in sintonia, si innamorano e si infilano con ottimismo nel percorso matrimoniale. Li si rivede dopo un po’, risucchiati nella spirale delle polemiche. Poco a poco il progetto sincero di procedere nella propria affermazione autonoma mantenendo l’armonia, si spegne con la discordanza dei caratteri, degli umori e delle circostanze. Anche la separazione seguita da una riconciliazione accesa dal sesso non aggiusta le cose. Forse non è colpa loro, né delle situazioni esterne. La coppia, matrimoniale o no che sia è una trappola, un’istituzione sbagliata strutturalmente.

L’allestimento che ne ha fatto il regista Beppe Rosso è di ottima qualità. Non c’era bisogno di sfondi scenografici per una vicenda nelle cui pieghe tutti possono riconoscere pezzetti della loro vita. La frontiera uomo-donna è proprio irta di insidie se non invalicabile, sostiene serafica l’autrice che investe con grazia maligna e grottesca la coppia in questione, simbolo di tante altre.

Dimostrano gran bravura i due protagonisti. Avvolti nella dialettica rapida e concitata di una sarabanda di battibecchi, sempre pronti a scalfire un’eventuale intimità di pensiero, Sara Bertelà e Juri Ferrini si infilano benissimo nei costumi azzeccati dei personaggi - noiosa come una zanzara lei, rassegnato e meno profondo lui – entrambi colti e intelligenti, ma carenti di quella sapienza emotiva che nei rapporti umani sarebbe auspicabile e non si riesce mai ad esprimere fra le pareti domestiche. Ma forse l’armonia non è davvero realizzabile in nessun ambito, in nessun luogo e nessun tempo e non fa proprio parte del genere umano.

Data la brillantezza del testo, merita una lode la traduzione pronta e folgorante.



(22 giugno 2009)

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