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Jacinta chiamata Yasmine: che il silenzio non sia abbandono!

Jacinta chiamata Yasmine: che il silenzio non sia abbandono!

La bambina partita dalla Tunisia in un barchino poi naufragato e rimasta sola in balia del mare aggrappata a due camere d'aria

Lunedi, 16/12/2024 - Il femminile di giornata / trentotto. Jacinta chiamata Yasmine: che il silenzio non sia abbandono!
E’ il 12 dicembre, la maggioranza dei giornali porta in prima pagina una fotografia, che racconta una storia drammatica, per ora a lieto fine. Alle 3 di mattina circa di un giorno o due prima - come scritto - l’equipaggio del veliero Trotamar III, della ong tedesca CompassCollective, sente miracolosamente una voce che chiede aiuto; spenti i motori e grazie al fascio di luce con cui può illuminare le oscure acque di quel tratto di Mediterraneo, raccoglie una bimba nera, come le camere d’aria a cui deve la sua salvezza.
Immediatamente è avvolta in quelle coperte termiche - la cui immagine porta a domandarsi come quell’oro metallico sia salvezza per il caldo che emana - e la foto mostra la sua testolina vicina alla volontaria che l’assiste nel trasbordo, come in un abbraccio. Sentendola lucida e presente, i volontari la rassicurano dicendole che “ora è in Europa e avrà una vita migliore”. Parole che vorremmo fossero vere, indimenticabili e che diventassero responsabilità militante per l’Italia tutta, quelle pronunciate per portarla velocemente a Lampedusa lontana 10 miglia .
Yasmine - come chiamano la bambina, forse per avere frainteso il suo nome, appena sussurrato, che scopriremo presto essere invece Jacinta - riesce a raccontare la sua storia in uno stentato francese. Per lei tre sono stati i giorni in cui è rimasta a galla grazie alle camere d’aria. Sul guscio di ferro partito da Sfax in Tunisia l’8 o forse il 9 dicembre, dove, proveniente dalla Sierra leone era salita insieme ad altri 45 passeggeri, si era capovolto, inghiottendo anche suo fratello. Ricorda che qualche altra persona è rimasta in acqua con lei per un tempo incerto e poi solo paura e solitudine oltre il disperato tentativo di rimanere viva.
E' viva e ancora in grado di raccontarsi, per quanto in modo confuso, come una sirena colta da magia o forse ancora di più come la creatura che, una volta rotte le acque della mamma partoriente, viene alla luce. Perché le ricerche diranno, forse, il tempo in cui Jacinta è rimasta in acqua: se quei giorni sono i tre calcolati dal suo immaginario di sofferenza o se si è trattato ”solo” e massimo di un giorno, come presume il medico che l’ha accolta a Lampedusa. Quello che è certo è che la sua resistenza è formidabile e che oggi si trova all’inizio di una nuova seconda vita. Quale e come sarà questa vita è l’interrogativo che dovrebbe assillare, ci auguriamo, chi l’ha in cura e in custodia e che, speriamo, interessi tutti coloro che hanno seguito e accompagnato questo miracolo della forza della natura umana.
Nei confusi rimandi dell'informazione leggiamo che lei racconta di un fratello e di un cugino che viaggiavano con lei e affogati, di un padre che ha mandato avanti loro ma che forse sarebbe stato in attesa di imbarcarsi, ed ancora altre notizie che filtrano come ricordi confusi della bimba e su cui la procuratrice Claudia Caramanna dovrà indagare, trovare conferma o accertare,se possibile, la realtà della sua giovane vita.
La nostra Jacinta, con l'energia vitale che hanno i bambini che rende la loro ripresa sempre imprevedibile (perché a 11 anni si è ancora bambini), arrivata all'hotspot di Lampedusa ha giocato con ragazzi e ragazze della sua età per poi disegnare con i colori che le sono stati donati la bandiera bianca rossa e azzurra della Sierra Leone ed altro che parla della sua vita precedente.
Ricostruito ciò che abbiamo imparato della rinascita di Jacinta, divenuta Yasmine nel mare all’Italia, non c’è da stupirsi che proprio il miracolo della sua salvezza, la nebbia della sua memoria, abbia dato vita ad una curiosità, umana ed in buona fede ma non solo che ha fatto scegliere di trasferirla da Lampedusa ad una casa d’accoglienza nel Trapanese, nel desiderio di garantirle normalità, recupero di sicurezza, serenità e di poter sapere da lei, e anche attraverso ricerche mirate, tutto quanto è possibile della sua storia: sulla possibile esistenza di una famiglia, sul suo viaggio su quel barchino affondato e tanto d’altro recuperabile.
Forse, leggiamo, neanche Trapani sia ritenuta la garanzia di anonimato fuori da occhi indiscreti e che si stia, per questo, cercando una nuova collocazione.
Sapere tutto quanto è possibile su Jacinta è il percorso imprescindibile per progettare il suo futuro. E’ quindi certamente comprensibile come il silenzio, il non dare spazio a curiosità invasiva e perniciosa sia indispensabile, ma è altrettanto vero, come troppe esperienze, insegnano che si può avere paura che il silenzio, l’assenza di un “controllo” dell’opinione pubblica possa significare disinteresse, caduta della tensione umana che rende questa storia così a sé da avere diritto e non simbolicamente ma umanamente di risposte all’altezza di un futuro credibile.
Viviamo in un tempo in cui la paura dell’emigrazione, il rifiuto di una gestione umana del fenomeno, come dimostra la prigione Albania, e anche di un approccio che con intelligenza tenga anche conto degli interessi possibili per i paesi d’arrivo come l’Italia, non danno nessuna certezza che ”la gestione” della storia di Jacinta sia, per chi ne ha la responsabilità, un lavoro facile e soprattutto facilitato. Serviranno mezzi, aperture, disponibilità e responsabilità, per ricostruire il passato e soprattutto progettare il futuro sereno di questa bambina. Temere che il silenzio possa divenire disimpegno non è sfiducia in chi se ne occupa ma sapere quanto sia difficile andare controcorrente e come spesso non basti la testardaggine ma occorra l’alleanza e disponibilità della società nel suo complesso. Auguri piccola Jacinta ..attendendo tue nuove e buone notizie.
Paola Ortensi

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