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Ivana Vaccari, giornalista con passione

Ivana Vaccari, giornalista con passione

Il gusto della gara / 1 - Giornalista sportiva in Rai, Ivana Vaccari è una delle voci storiche delle telecronache dallo sci al tennis al pattinaggio.

Lanzon Paola Lunedi, 30/07/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2012

Le Olimpiadi sono un evento sportivo in cui conta solo la prestazione e il risultato, tant’è che viene ricordato solo chi vince, gli altri o le altre non esistono. Che ne pensi?

Alle Olimpiadi bisogna compiere un grande gesto per essere ricordati; un gesto molto positivo o molto negativo, non importa. Il risultato certo viene prima di tutto, ma anche un atleta che arriva stremato, semisvenuto al traguardo, il pugno guantato nero sul podio in segno di protesta, un caso di doping. Viene ricordato ciò che fa notizia. Anche in questo senso la logica capitalistica appartiene alle olimpiadi. Non dimenticare poi che le Olimpiadi sono un evento che costa tantissimo. I soldi rappresentano un elemento centrale sia per l’organizzazione dell’evento, quanto per i singoli atleti; vincere o perdere alle Olimpiadi rappresenta tutto per loro. Sono persone che dedicano anni della loro vita, anima e corpo a quel momento: un lavoro lungo e faticoso che si sublima in una manciata di secondi, quelli necessari alla gara. Vincere o perdere significa per loro cogliere o fallire l’obbiettivo di passare alla storia… e tanti soldi.

Se alla parola Olimpiade accostiamo il temine Donna, tu a cosa pensi?

Per alcuni Paesi emergenti, per quelle donne, le Olimpiadi rappresentano una grandissima occasione. Alcuni Paesi arabi e musulmani pongono dei freni e dei limiti alla partecipazione delle donne, imponendo ad esempio un abbigliamento particolare, che tra l’altro non agevola di certo la prestazione. Altri addirittura lo impediscono, come fa l’Arabia Saudita anche in questa edizione. Anche così però l’Olimpiade rappresenta una grande vetrina, perché racconta come sia difficile essere donna in quei Paesi, come si possa non arrendersi nonostante una evidente oppressione, resa tangibile da quei corpi coperti. In tutti i modi le Olimpiadi sono un evento propulsivo per lo sviluppo della pratica sportiva delle donne.

Ti occupi di comunicazione e nello specifico di comunicazione sportiva e sei Caporedattrice di Rai Sport. Quali difficoltà hai incontrato in questo tuo percorso professionale? Che ambiente hai trovato?

Quando sono entrata in Rai il clima era diverso, più accogliente. I colleghi uomini avevano forse un atteggiamento più paternalistico, ma una volta messe in relazione le reciproche competenze il rapporto era impostato su rispetto e grande professionalità. D’altronde i miei colleghi erano Sandro Ciotti, Martellini, Galeazzi. Il nostro è un mestiere che si impara rubando e loro si sono lasciati rubare, mi hanno lasciato spazio. Considera tra l’altro che io sono stata la prima donna radiotelecronista. Oggi tutto è cambiato. Alla base dei rapporti non ci sono più i valori professionali. Al paternalismo maschile si è sostituita una finta parità democratica, che si ferma però sulla soglia della stanza dei bottoni. Aggiungo che buona parte delle mie colleghe non ha neppure intenzione di crescere nella scala gerarchica, ma vuole esclusivamente un ruolo che dia visibilità, come quello della conduttrice. Vogliono andare in video; l’idea di fare la telecronista, solo voce niente corpo, non le sfiora nemmeno.

Come giudichi la qualità della comunicazione sportiva nel nostro Paese? La vostra categoria professionale ha a disposizione un potentissimo strumento culturale, quello del linguaggio Ultimamente l’accademia della crusca ha presentato uno studio proprio su parole e immagini della comunicazione. L’uso sessuato del linguaggio non è molto di moda in Italia anche se qualcosa si comincia a sentire...

La comunicazione sportiva è diventata negli ultimi anni il racconto di centimetri e di secondi. Si è persa in questo modo una grandissima opportunità. Dietro ad ogni singolo atleta infatti si nascondono le storie più incredibili, che il vero giornalismo dovrebbe avere la voglia e la sensibilità di cercare e raccontare. Così le Olimpiadi diventerebbero la somma dei risultati delle prestazioni sportive, ma anche il racconto di una fitta trama di storie individuali che lì si incontrano, si incrociano. Pensa per le donne che vetrina sarebbe, quante storie potrebbero essere raccontate. Per quello che riguarda l’uso del linguaggio ritengo che ad esempio l’uso del linguaggio sessuato sia certamente una cosa importante ma come giornalista vorrei calcare la mano più su un altro aspetto. La comunicazione sportiva, non solo tv, ma anche giornali e radio, è assai scadente. Si scrive e si parla utilizzando dalle 500 alle 700 parole in tutto. Sono convinta che questo sia il sintomo di una malattia, quella che ha colpito l’uso della lingua italiana e più in generale la nostra cultura. Non è affatto vero che chi scrive o parla si debba adattare al livello di chi ascolta o legge o almeno questo è un concetto che non significa in sé che si debba tendere al livellamento verso il basso rinunciando a costruire cultura anche nell’informazione. Negli ultimi anni poi ha iniziato ad andare di moda nella comunicazione sportiva in TV anche lo stile concitato, alla brasiliana. Non mi piace. Toglie musicalità alla nostra lingua che al contrario trae fascino anche dalle pause, dai toni, dai crescendo che creano l’attesa che una comunicazione esperta sa impostare. Amo una comunicazione che riesce a dare senso e valore persino al silenzio.

Se potessi organizzare tu le Olimpiadi e se avessi carta bianca, che tipo di evento vorresti proporre?

Esattamente così com’è oggi. L’evento in quanto tale è perfetto: la macchina è perfetta. Ma come per tutte le macchine è il guidatore che fa la differenza; il discrimine è l’elemento umano. Se potessi, combatterei la speculazione sugli atleti, sul loro corpo; andrei ad indagare su come vengono preparati, sull’etica e sulla moralità di chi a gestito il percorso atletico e umano che ha portato quegli atleti all’olimpiade, che rappresenta solo il momento finale. Sono note, forse non a sufficienza, alcune statistiche inquietanti, che gridano vendetta, in cui si racconta di una incidenza fortissima di tumori in atleti sotto i 40 anni, di gravi problemi per i figli di atlete di alto livello, probabilmente a causa dell’uso massiccio di anabolizzanti. Lo spettacolo non può essere a qualsiasi costo. Questo è ciò che cambierei.











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