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Itria, una donna intrappolata nelle maglie della Storia

Itria, una donna intrappolata nelle maglie della Storia

A distanza di 54 anni dai fatti di Avola ancora non c’è stata una verità sul caso, ma raccontare la storia di Itria tramite il teatro civile serve a restituire voce e dignità agli ultimi della grande Storia nazionale

Lunedi, 26/09/2022 - Itria è una donna siciliana, felice, casalinga, madre di tre figli e moglie di Giuseppe “Peppuzzo” Scibilia rimasta ai margini della Storia fino a quel tragico 2 dicembre 1968 ad Avola quando il suo destino cambiò involontariamente direzione.
Lo spettacolo si apre e si chiude ad anello intonando un “repitu”, che è il canto funebre da cui parte la sua storia. Itria, a cui dà volto e voce l’attrice e autrice Aurora Miriam Scala, ci porta nel suo mondo fatto di canti, fatica, lavoro nei campi e amore per la sua famiglia. È una donna forte, decisa, che lotta prima contro la sua famiglia per sposare l’uomo che ama, poi invano contro lo Stato che le toglie ingiustamente suo marito e infine contro la giustizia che non ha mai fatto il suo corso istruendo un processo per chiarire i responsabili. Itria significa dal greco “colei che conduce, che mostra il cammino” e forse porta il suo fardello nel nome intendendo la sua battaglia come quella di tante donne che nei secoli sono rimaste nell’anonimato perché sfruttate, non credute, zittite o dimenticate.
La potenza espressiva del viso e della voce di Itria/Miriam ci trascina da uno spazio piccolo come quello della scena fino ai paesini che si affacciano sulla costa ionica della Sicilia orientale fatta dalla realtà dei braccianti della provincia siracusana negli anni Sessanta. La scena è pervasa dal colore bianco, simbolo di purezza e verginità del matrimonio tra lei e suo marito, ma anche di ingenuità morale che invece verrà corrotta dal susseguirsi della vicenda ispirata a fatti reali.
I motivi delle proteste dei braccianti di Avola sono riconducibili a una richiesta di maggiore parità sia salariale sia nel modo di reclutamento della manodopera. Peppuzzo è un grande lavoratore, ma non ci sta ad essere sfruttato e dopo giorni di infruttuose trattative con i proprietari terrieri prende parte a uno sciopero che causa il blocco sulla strada statale 115. C’è un rimpallo di responsabilità tra sindaco, prefetto e forze dell’ordine quando alla fine partono dei colpi che feriscono quasi 50 persone e ne uccidono due: Giuseppe Scibilia di anni 47 e Angelo Sigona di anni 25. Il dialetto, sapientemente mescolato alla narrazione, ci regala musicalità e pathos mentre narra delle sofferenze, delle gioie e delle peripezie delle vite umane e dei suoi protagonisti.
Dai fatti di Avola del dicembre 1968 iniziarono gli anni degli scioperi del movimento operaio in tutta la penisola e la regolamentazione del diritto del lavoro che portò il neo-ministro Brodolini a pensare lo Statuto dei lavoratori. Il 4 gennaio 1969 affermò:
“Se vogliamo che il sangue di lavoratori come Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona non abbia più a scorrere come conseguenza di conflitti di lavoro, dobbiamo allora garantire alla forza pubblica mezzi adeguati ma che non siano tali da provocare nocumento all’integrità fisica e alla vita delle persone. Questo episodio si iscrive nella storia tanto frequentemente punteggiata dalla tragedia e dal martirio, dalla lotta per il progresso dei lavoratori e della società. Ma noi dobbiamo fare in modo che tali sacrifici non debbano ripetersi”.
Itria Garfì sarà suo malgrado la protagonista di questo racconto che non ha nulla di eroico né eccezionale, ma che subisce la Storia e il suo corso travolgente anche se almeno per un’ora, nella magia che il teatro civile dona, possiamo avere l’illusione di essergli accanto, capirla e volerle restituire la verità che lei e i suoi figli non hanno mai avuto dallo Stato italiano. Lei è una moderna Vergine Maria, come si ripete spesso nel suo monologo interiore, che con il sangue versato di uno ha redento tutti gli altri aprendo la strada a una nuova e più intensa stagione di lotte politiche, sociali e sindacali.

Tra i premi ricevuti figurano:
Miglior drammaturgia italiana e Menzione speciale della stampa al Festival Internazionale di corti teatrali - Teatri Riflessi 2022 (CT)
Testo vincitore del Premio Letterario Teatro Aurelio di Roma - sezione drammaturgia teatrale
Primo premio al Festival Ethnos Generazioni - San Giorgio a Cremano (NA)
Primo premio al Doit Festival (RM) e premio giuria giovani Adriano Sgobba

Testo e regia di Aurora Miriam Scala
con Aurora Miriam Scala
Aiuto-regia | Maria Chiara Pellitteri
Supporto tecnico | Valerio Puppo
Voice Off | Cinzia Maccagnano
Lo spettacolo è una produzione della compagnia “La Bottega del Pane”.

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