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Italia sconosciuta. I villaggi della pre-Sila in Calabria

Italia sconosciuta. I villaggi della pre-Sila in Calabria

Alla scoperta dei paesi sconosciuti al turismo di massa. I paesi della pre-Sila in cui oriente e occidente convivono da secoli.

Sabato, 24/08/2013 - Si arriva dopo la traversata di quell’“autostrada”, (la SA/RC); dalla capitale in cinque ore o poco più. Cosenza è la città dei Bruzi con il suo castello normanno, le sue chiese medievali toste e imponenti, e il suo centro storico, che esisteva già prima che Sgarbi ne parlasse e ne divulgasse all’Italia attonita e meravigliata da tanta bellezza. Cosenza è un presepe che si appoggia sul Busento. E’ La città in cui Alarico e il suo tesoro riposano indisturbati sotto il letto del fiume o forse, secondo ipotesi recenti, sui costoni di una montagna che contornano i suoi confini, dove, come indiana Jones, ci arrampichiamo per scoprire gli altari dei visigoti, buche dei tambaroli, e croci con iscrizioni risalenti a quell’epoca in cui il mitico re e i sui militari passavano per lasciarci vestigia e ricordi di antichi fasti.



Sopra l’altipiano più sottostimato dagli italiani, e sconosciuto dal resto del mondo, la Sila, arriviamo nel pomeriggio più caldo dell’estate, siamo a milleottocento metri d’altezza, e il refrigerio arriva atteso come l’acqua gelida che beviamo dalla sorgente, copiosa e minerale, così ci racconta chi lì va abitualmente a riempire bottiglie da portare a casa. Un mondo alieno rispetto alle strade collinari, contornate da macchia mediterranea, che ci hanno accompagnato fin lassù. Abeti e pini loricati alti come palazzi, laghi, fiumi, e un sottobosco con felci di varie qualità, che ci sembra di stare nelle foreste del nord America di Tex Willer. Continuiamo sui percorsi battuti dalla guardia forestale, riusciamo a entrare nella montagna, a vedere caprioli e scoiattoli e come loro ci emozioniamo, non siamo abituati così da vicino, e neanche loro a quanto pare, ad incontrare turisti con zaino a spalla.

La Sila greca è luogo di migranti che nel V secolo a. C. dal Peloponneso arrivarono fin quassù per prendersi la pece copiosa dei pini, che serviva per le loro navi, e la legna per costruirle. E in tempi “più recenti” riserva di caccia preferita da Federico II di Svevia. Ne cogliamo il valore e l’importanza pensando agli interessi economici che ebbe nel passato. Dalle vallate e dai colori intensi ci portiamo verso i paesi che sono tantissimi tra quelli della Sila greca, della Sila, della Sila greca destra-Crati.



Rossano è tra quelli del destra Crati versante ionico, ed è uno tra i paesi più conosciuti, forse. L’alta collina che circonda il centro storico è ricca di ferro, di colore intenso e rosso. Una città orientale, in tutte le sue strade, vicoli e chiese, conquistata da Bisanzio, ne diventò capitale per diversi secoli. Una delle icone orientali tra le più importanti, la Madonna Achiropita, si trova nella sua cattedrale. E il codice purpureus, con le pagine rosse e con miniature, che ne fanno uno dei manoscritti più antichi del nuovo testamento, e di sicuro un esemplare unico al mondo. Rari i turisti che come noi si affaticano nelle sue strade inebetiti dal caldo e dalla tanta ricchezza tenuta come un qualsiasi manufatto. Ci chiediamo come mai non ci sentiamo appagati, non dalla bellezza dei manufatti verso la quale si resta ammaliati, ma dal contesto nel quale la bellezza è collocata. Ma siamo noi a non capire, che cerchiamo vesti magnifiche da far indossare ai tesori che non hanno bisogno di alcun museo o contesto e luci particolari. Siamo in un luogo naturalmente mistico, scelto, non a caso, dai monaci che dall’oriente in fuga dalle persecuzioni turche si rifugiarono in una terra che offriva paesaggi di una varietà geografica innumerevole: montagne da dove spuntava il mare e fiumi che bagnavano le loro vesti. Ci guardiamo intorno, siamo nel posto giusto, non servono luci speciali per osservare “il codice rosso” uno dei manufatti più interessanti del pianeta. Basta fare le strade, fornire di treni e di aerei low cost per venirci, a Rossano. E in quelle strade ci accompagnano a visitare altre chiese d’oriente, e altri manufatti, sotto un sole accecante, lo stesso che conoscevano i rossanesi di Bisanzio un migliaio di anni fa. Rossano è stata la capitale dell’Impero di Bisanzio per secoli, qui l’oriente si è sviluppato e si è espanso in tutto l’impero e con tutta la sua potenza.



Ci spostiamo più a nord a San Demetrio Corone, che è uno dei tanti villaggi di origine arbëreshë, la cui Abbazia risale al X d. C., fondata dal monaco basiliano San Nilo di Rossano. All’interno un tappeto di mosaici dell’XI secolo di animali e mostri di origine bizantina, serpenti e pantere, attorcigliati e avvinti su stessi o insieme ad altri mostri. Il villaggio è piccolo, poche migliaia di anime, parlano arbëreshë, una lingua greco- arcaica, hanno una loro religione: quella ortodossa. Il centro storico è racchiuso da poche strade, con case fatti di mattoni, ben tenuto. Archi e straduzze ne disegnano l’architettura dei villaggi illirici del medioevo. Sono i migranti del 1400 arrivati dall’oriente in seguito all’occupazione turca dell’attuale Albania e Grecia, portati qui dall’eroe Skanderbeg. Camminare nelle loro strade, ascoltarli mentre discutono nella piazza, sotto la statua del loro eroe indiscutibile, significa perdersi nel tempo della storia.



Attraversiamo le colline di grano e ulivi e risaliamo su in montagna, più vicini al massiccio della Sila. Acri è un paese sdraiato su due colline, è uno dei più estesi della provincia di Cosenza. Arabi, saraceni, normanni, greci li ritroviamo dentro il centro storico più antico: Padia. L’ipotesi è che questo sia il sito della mitica Pandosia, capitale degli Enotri, un centro di commercio importante che si estendeva in buona parte del centro sud. Lasciamo su un lato la torre araba, e percorriamo gradini, vicoli, stradine, scoviamo una piccola chiesa, seminascosta dalle case del centro storico, risalente al X secolo. Una scoperta che vale il viaggio. Trovare reperti bizantini in questo posto così distante dai luoghi classici dell’oriente calabrese, impossibile solo pensarlo. Un luogo che pare sia stato colonizzato dai monaci basiliani con le loro icone e chiese ortodosse. Ci inerpichiamo sulla cima più alta del centro storico dove la sera ci coglie di sorpresa un tramonto mozzafiato, con il fiume che taglia in mezzo la montagna e da lassù ci indica la strada verso il mare.

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