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Italia 2020

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Occupazione femminile - Le proposte di Carfagna e Sacconi in un piano per l’inclusione nel mercato del lavoro. Ma non si tratta di un “problema inedito”…

Alice Casali Martedi, 26/01/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2010

“Italia 2020 - Programma per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro di Mara Carfagna e Maurizio Sacconi”: con questo titolo è stato presentato alla stampa, nei primi giorni di dicembre, il programma del governo per l’occupazione femminile che si sviluppa in un’analisi della situazione esistente e contiene la proposta in cinque punti per risolvere le criticità.

Il documento, che ha trovato pochi echi sulla stampa, sotto il capitolo “progressi e persistenti ritardi” analizza l’andamento occupazionale delle donne rilevando che il tasso d’attività ha ripreso ad aumentare grazie alla presenza delle lavoratrici extracomunitarie (badanti in primo luogo) e grazie alle nuove tipologie di orario introdotte dalla cosiddetta Legge Biagi, la legge 30/2003, in particolare attraverso l’aumento del part-time che riguarda il 28,1% delle donne che lavorano.

Altro dato “confortante” per l’occupazione femminile riguarda il ricorso alla Cassa Integrazione che interessa molto di più gli uomini essendo la prima fase della crisi intervenuta nei settori dove la presenza femminile è storicamente più limitata. La disoccupazione femminile si attesta all’8,5% contro una media europea del 7,5 per l’Europa a 27. Le differenze regionali sono indispensabili per capire la situazione italiana, a fronte di una media di occupazione del 46,9 % (quindi oltre 13 punti percentuali sotto la soglia programmata a Lisbona per quest’anno) troviamo l’Emilia Romagna con una percentuale oltre la soglia di Lisbona con il 63% di donne occupate, il Trentino Alto Adige poco oltre il 60%, 9 Regioni del Nord tra il 59 e il 54%, il Centro con una media di poco superiore al 50% e il Sud con la Sardegna al 43%, la Campania con il 25,6 % e la Calabria con il 29,6%. Emerge ancora una volta il fatto che i problemi occupazionali delle donne italiane sono problemi legati allo sviluppo del Sud in modo particolare, e di fatto “quello” è il problema. Altro dato interessante dell’analisi che precede il piano vero e proprio è quello, già noto tuttavia a molte donne italiane, che la maternità rappresenta un evento critico per il loro rapporto con il lavoro.

Di fronte a questa analisi, nota alle addette ai lavori e condivisibile, conforta vedere ribadita l’efficacia delle nostre norme sulle pari opportunità; è anche molto vero però che il sistema sociale generale in cui si trovano le lavoratrici italiane è molto, ma molto più arretrato rispetto non solo ai Paesi del Nord Europa, ma anche alla vicina Francia. Basta a dimostrarlo il tasso di natalità italiano confrontato con quello francese, che è il doppio del nostro. Per rispondere a questi problemi Carfagna e Sacconi propongono un piano in cinque punti:



• 10 milioni di euro per favorire i nidi familiari attraverso l'esperienza delle cosiddette "tagesmutter" (mamme di giorno), ossia donne che ospitano a pagamento i bambini in casa loro; un'esperienza già avviata con successo in alcune regioni del Nord;

• 4 milioni per la creazione di albi di badanti e baby sitter, italiane e straniere, appositamente formate;

• 12 milioni per voucher destinati all'acquisto di servizi di cura in strutture come ludoteche e centri estivi;

• 6 milioni per sostenere cooperative sociali che operano per la conciliazione in contesti svantaggiati;

• 4 milioni per favorire il telelavoro femminile;

• 4 milioni per percorsi formativi di aggiornamento destinati a lavoratrici che vogliono reinserirsi nel mercato del lavoro dopo un periodo di allontanamento.



Queste misure vengono poi affiancate dalla riforma dell’articolo 9 della legge 53/2000, da “nuove relazioni industriali per il rilancio del lavoro part-time e altri contratti flessibili” e dalla prospettiva di nuovi lavori “verdi” anche al femminile. Un ultimo punto del piano è destinato alla riapertura con Bruxelles della trattativa sui “contratti d’inserimento al lavoro”.

Ancora forse non sappiamo affrontare il problema dell’occupazione femminile come questione strutturale e non congiunturale.

E non è nemmeno un “problema inedito” di libertà femminile, ma è la vera questione che un Paese si deve porre se vuole pensare alla sua riproduzione, al suo futuro, e risiede nel ribadire il “valore sociale della maternità” introdotto nel nostro ordinamento fin dagli anni Settanta che deve diventare una volta per tutte davvero “sociale” e non soluzioni e aggiustamenti di volta in volta individuali dove il ricorso al part-time non è una scelta, ma una mera e sofferta necessità nella maggior parte dei casi. Proporre patti intergenerazionali, non sembra né una novità né una soluzione: sono una delle tante strategie di sopravvivenza, che nonostante tutto si mettono in atto.



(26 gennaio 2010)

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