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Itaca, dove l’economia è sostenibile

Itaca, dove l’economia è sostenibile

Percorsi cooperativi - Il modello economico della cooperazione è vincente anceh con la crisi: sono le donne a fare la differenza. Intervista a Orietta Antonini, Presidente di Itaca

Maria Fabbricatore Domenica, 15/09/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2013

L’importanza dei valori della cooperazione e il contributo specifico delle donne: conoscere per capire. In tempo di crisi, profonde e di sistema, ci sono esperienze significative che possono essere presi come esempi. Ce ne parla Orietta Antonini, eletta Presidente della cooperativa sociale Itaca nel maggio scorso.



Lei è stata appena eletta presidente di Itaca, un incarico impegnativo. Come sta vivendo questi primi mesi?

È un incarico impegnativo, ma si deve pensare alla rappresentanza nella cooperativa come un periodo circoscritto, pro-tempore appunto. La nostra è una cooperativa di lavoratrici e di lavoratori che dà al concetto di rappresentanza l’impronta che merita: quello di un incarico che non deve diventare un mestiere, perché poi diventa faticoso lasciarlo. Non cadiamo nella trappola delle istituzioni, soprattutto di quelle politiche. Per me questo è un incarico che si aggiunge agli impegni da lavoratrice che ho in questa cooperativa.



Appena eletta ha dichiarato: “Vogliamo fare la nostra parte affinché il welfare non diventi esclusivo per chi se lo può permettere, vogliamo comunicare che una certa idea di economia sostenibile noi ce l’abbiamo già”. In che cosa vi differenziate dagli altri?

Questa è una cooperativa che si occupa di welfare da 21 anni. La cooperazione ha già dimostrato, rispetto alla crisi e alla società attuale, di essere “la forma” di economia sostenibile, visto che è l’unica o comunque fra le poche che ha aumentato l’occupazione negli ultimi dieci anni e che regge più degli altri l’impatto della crisi. La missione principale della cooperazione è quella di raggiungere la crescita senza essere legati al profitto, che è solo un mezzo attraverso il quale raggiungere gli obiettivi propri di ogni singola cooperativa.



Come mai questa “forma” regge rispetto alla crisi? Per la sua struttura, per l’impegno, per il coinvolgimento, perché si discute sempre di più di usare la “forma cooperativa” da spalmare anche in altre strutture lavorative?

Perché la società è cambiata. La sostenibilità, l’attenzione all’ambiente, alle persone, alla socialità, alla solidarietà, non sono situazioni di contorno o certificazioni, ma sono connaturati ad essa. Questi valori per una cooperativa sono fondamentali. Una cooperativa non si potrebbe chiamare tale se non ha a cuore anche lo sviluppo del benessere complessivo della comunità, che sia riferita all’ambiente, che sia riferito alle persone, alla formazione del personale o alla solidarietà. Quando parlo di welfare esclusivo, parlo del lavoro che facciamo, noi ci occupiamo di servizi di assistenza all’educazione, e oggi il tema fondamentale è quello dei diritti, la cooperazione sociale nasce negli anni ’70 insieme alle prime crisi dello stato. E dove c’è una crisi di questo tipo la cooperativa entra nel tessuto connettivo della società.



Parliamo di servizi, ne offrite tanti: ai giovani, agli anziani, alle scuole, con il doposcuola, servizi per la salute mentale. Ce ne può parlare?

I tanti servizi sono dovuti anche alla contestualità territoriale. Il Friuli Venezia Giulia è un territorio di confine, e il modo con cui ci siamo sviluppati non è casuale. Abbiamo voluto abbracciare tutti i servizi di riferimento nel nostro territorio, perché non potevamo farne a meno, non viviamo in un territorio urbanizzato. Per noi uno degli elementi di forza e di competitività è stato proprio quello di non escludere nessuna area del disagio, questa è la ragione per cui le nostre attività abbracciano tanti servizi, perché è connaturato alla nostra idea di fare servizio.



Che tipo di rapporto vivete nel territorio, che è molto ampio, rispetto ai servizi che offrite?

Noi ci siamo sviluppati a partire da Pordenone a macchia d’olio, perché abbiamo un modo di lavorare con le istituzioni pubbliche e anche con quelle private che è molto intenso. Quando operiamo in un territorio, cerchiamo di consolidare una nostra operatività e di consolidare un dialogo con le associazioni e con le istituzioni di quel territorio. Dialogando con il servizio pubblico abbiamo rapporti anche con la politica, che in questi anni è stata un po’ più fragile, date le tante campagne elettorali per le elezioni amministrative o politiche. Questo significa che il dialogo con le istituzioni pubbliche è lungo perché gli interlocutori possono cambiare e spesso cambiano continuamente, quindi è un lavoro certosino e di grande pazienza.



Le donne nelle cooperative hanno una presenza molto forte, come mai questo trend? Qual è il loro impegno?

L’accesso delle donne nel mondo del lavoro è complicato. Pensiamo al mondo delle imprese, non faccio fatica a dire che ha delle barriere d’ingresso per le donne e in particolare per quelle in età fertile, per esempio. Il mondo cooperativo, invece, proprio per i valori di cui parlavamo, non ha queste barriere d’ingresso, cosa che le favorisce. Per quanto riguarda la possibilità di fare carriera, nella cooperazione complessivamente si fa un po’ fatica, ma meno rispetto all’impresa. L’alto numero di donne è dovuto alla tipologia del lavoro. Noi offriamo servizi di tipo socio-assistenziale legato ad un lavoro prettamente femminile, a volte anche correlato a un tipo di salario basso e le donne, lo dico a malincuore, si accontentano un po’ di più. Per i servizi socio-assistenziali e per le figure di educatori nelle scuole prevalgono soprattutto le donne. È difficile trovare uomini nei servizi infermieristici, quindi c’è, tra l’altro, un problema culturale di base.



La vostra è una delle cooperative che funziona e che negli anni si è affermata. Quali sono le caratteristiche che vi hanno permesso di raggiungere questi risultati?

Nel contesto territoriale ci siamo inseriti con una modalità: non escludendo nessuna risposta al bisogno. Anche quando negli anni erano servizi deficitari, noi non abbiamo escluso niente, ma abbiamo dato risposte alle sollecitazioni che venivano dalla società e questo ci ha ripagato. Un'altra nostra peculiarità è l’organizzazione interna. Noi abbiamo un organigramma molto piatto, che consente a tante persone di partecipare. Io trovo scorretto che una cooperativa abbia un organigramma molto verticale, perché una cooperativa deve funzionare al di là delle persone. Guadagniamo meno, ma guadagniamo tutti, criterio che vale anche per il personale con alte competente o laureato.



Che tipo di utenti avete e come sono cambiate le esigenze nel corso del tempo?

Noi abbiamo un’interlocuzione prevalente con le istituzioni pubbliche, e da parte di queste la richiesta esasperante è la flessibilità. Quando siamo partiti la richiesta dell’amministrazione pubblica era l’esternalizzazione di servizi, poi siamo passati a una forma di progettazione accanto all’amministrazione. Oggi stiamo tornando un po’ indietro. Quello che ci chiedono è molta innovazione procedurale sull’erogazione di servizi e sull’integrazione tra servizi diversi. La scommessa del futuro sarà quella di far dialogare le istituzioni e le comunità civili e noi stiamo in mezzo e ci faremo carico di questo dialogo. Per quanti riguarda i privati, quelli che si rivolgono a noi hanno bisogno di grandi professionalità. L’assistenza domiciliare per i disabili e non solo, sono garantiti dalle badanti. Quando si rivolgono a noi è perché con le badanti non trovano la professionalità adeguata. Una badante costa 1.500 al mese, un nostro operatore 20 euro l’ora, va da sé che questo elemento di maggiore competenze e costo si deve tradurre in una professionalità elevata.

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