Quando si parla di violenza contro le donne, in Italia o altrove, è difficile dare buone notizie. In questi ultimi anni abbiamo dovuto fare i conti con numeri elevatissimi dietro cui si celavano le tante storie di donne che hanno perso la vita per mano di partner o ex partner. La cronaca degli ultimi giorni, con i fatti di Albenga e Bergamo, lascia sgomenti e furiosi. I dati ISTAT presentati ieri, 5 giugno, da LindaLauraSabbadini presso il Dipartimento Pari opportunità, presieduto dall’onorevole GiovannaMartelli che ha coordinato l’incontro, raccontano tante cose, fornendo un quadro complessivo dove non mancano elementi di miglioramento rispetto alle rilevazioni precedenti. La violenza contro le donne si presenta ancora come un fenomeno imponente e molto diffuso, senza particolari distinzioni territoriali o di classe sociale e la percentuale è sostanzialmente stabile rispetto alla scorsa rilevazione del 2006. Una donna italiana su tre, secondo l’ISTAT, subisce un qualche tipo di violenza nel corso della vita. La fotografia della violenza sulle donne straniere, in particolare le moldave seguite da rumene e ucraine, (italiane 31,5% e straniere 31,3%) è pressoché identica nell'incidenza. In totale oltre sei milioni di donne hanno subito violenzafisica (20,2%) o sessuale (21%). Un milione 157 mila donne hanno subito stupri o tentati stupri. Ci sono anche i casi di minacce (12,3%), spintonamenti (11,5%), schiaffi, pugni, morsi (7,3%), colpi con oggetti contundenti (6,1%). Presenti anche tentativi di strangolamento (1,5%) e minaccia dell’uso delle armi (1,7%). Anche le cifre della violenza psicologica sono enormi: più di 8 milioni le donne che hanno subito violenzapsicologica sempre, spesso o qualche volta da partner o ex partner, e di queste oltre 4 milioni l’hanno subita sempre o spesso da partner ma soprattutto da ex partner (oltre 3 milioni sui 4 milioni). In questa categoria rientrano le forme di controllo, limitazione, svalorizzazione della partner, che spesso sfociano in minacce e intimidazioni. Da non sottovalutare infine il fenomeno dello stalking, ovvero l’insieme di atti persecutori che si ripetono nel tempo, diventato reato nel 2009. Quasi quattro milioni di donne hanno subito stalking in molti casi da parte dell’ex partner. Otto donne su dieci non ne hanno parlato con nessuno.
Gli autori e le vittime. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, ex partner, parenti e amici. Il 62,7% degli stupri sono stati commessi da partner, il 3,6% da parenti e il 9,4% da amici, e solo il 4,6% degli stupri viene commesso da uno sconosciuto. Dunque, gli autori delle violenze fisiche e sessuali (escluse le molestie che sono commesse per il 76,8% da sconosciuti) sono per il 66,6% persone conosciute dalle vittime. Molte sono le donne che si separano a causa delle violenze subite (68,6%), ma sono proprio le separate e le divorziate le donne che subiscono più violenze (51,4% del totale delle vittime). Più a rischio anche le donne nella fascia di età 25-44 (35,9%), quelle più istruite (quelle con laurea 42,5% e diploma 35,3%) e le donne che occupano le posizioni professionali più elevate come le dirigenti e le libere professioniste (40,3%). Tra le vittime anche ragazze sotto i 16 anni, il 10,6% del totale di donne che hanno subito violenza e le donne disabili: hanno subito violenze fisiche e sessuali il 36% delle donne in cattive condizioni di salute e il 36,6% di quelle con disabilità grave.
Conseguenze. Le conseguenze della violenza sulla vita delle donne sono terribili. Tante lamentano disturbi come ansia, panico, autolesionismo, depressione, disturbi del sonno e dell’alimentazione e il 12% dei casi afferma che ha pensato al suicidio. Aumenta anche la violenzaassistita (segnaliamo a proposito il bellissimo lavoro della disegnatrice Stefania Spanò in arte Anarkikka). Rispetto al 60,3% del 2006, sono il 65,2% i figli che hanno assistito ad episodi di violenza sulla propria madre. Un dato chiave che mette in allerta sulla trasmissione intergenerazionale della violenza. È stato rilevato infatti che i figli maschi che hanno assistito a violenze sulla madre diventano più facilmente abusanti e le figlie femmine più facilmente vittime di violenza nel corso della loro vita.
Segnali di miglioramento. Qualcosa si muove anche in senso positivo. Negli ultimi cinque anni è calata la violenza fisica e sessuale dal 13,3% a 11,3%, sia nel caso di violenza da parte di partner o ex partner, sia da parte di altre figure. Diminuisce anche la violenza psicologica da parte del partner attuale dal 42,3% al 26,4%. Il calo maggiore c’è nella fascia 16-24 anni (dal 31,7 del 2006 al 27,1% del 2014) e per le studentesse nei casi di violenza fisica da parte di partner, ex, o non partner. La percentuale cala anche tra le donne in cerca di occupazione e tra le lavoratrici autonome. Le donne sono maggiormente capaci di prevenire e contrastare il fenomeno della violenza che considerano più spesso un reato. Denunciano di più alle forze dell’ordine (dal 6,7% all’11,8%), del cui operato si dicono più soddisfatte, parlano spesso della violenza con qualcuno e cercano aiuto presso i servizi specializzati come centri anti-violenza e/o sportelli (dal 2,4% al 4,9%).
La violenza più grave non diminuisce. Le forme più efferate però non sono diminuite. E la gravità delle violenze sessuali e fisiche è aumentata: cresce dal 26,3% al 40,2% il numero delle donne che hanno riportato ferite e il numero di quelle che hanno temuto per la propria vita che passano dal 18,8% al 34,5% in cinque anni.
Il quadro che i dati ci consegnano è dunque complesso. Il lavoro di indagine, difficilissimo dal punto di vista della messa a punto di strumenti metodologici adeguati per stessa ammissione di Linda Laura Sabbadini, è un’attività fondamentale nel contrasto alla violenza contro le donne, ed è per questo prevista dalla Convenzione di Istanbul all’articolo 11. Sabaddini ha ribadito la necessità di salvaguardare il rapporto di intensa cooperazione tra Dipartimento Pari Opportunità e Istat e ai nostri microfoni ha affidato alcune considerazioni sui risultati. “Siamo ancora di fronte ad un fenomeno ampio e diffuso, e la violenza contro le donne resta un problema che deve stare nell’agenda politica e nelle priorità del paese. I segnali positivi ci sono e raccontano di una maggiore consapevolezza delle donne a saper riconoscere la violenza, a saperla prevenire e contrastare prima di entrare in una spirale di abusi. Lo zoccolo duro, però, non è stato intaccato: gli stupri e i femminicidi sono stabili. Pur diminuendo, la violenza aumenta di intensità. Se aumenta la coscienza femminile e aumenta la libertà delle donne, da un lato può diminuire la violenza, ma dall’altro si scatena una risposta più dura. Va detto anche che questo è il terreno migliore per poter incidere con le politiche. Abbiamo un terreno in movimento, con donne che riconoscono più facilmente la violenza e che possono essere accompagnate meglio nei percorsi di uscita dalla violenza. Quanto più le politiche saranno in grado di legarsi alle donne, ai centri, ai servizi e a tutti coloro che sul territorio lavorano su queste cose, tanto più potremmo pensare in prospettiva di fare un grande salto di qualità, che si farà con politiche integrate, sui territori, che riguardino anche le questioni culturali, che agiscano sugli uomini e che puntino soprattutto a cambiare la loro mentalità, politiche di ampio respiro che intacchino gli aspetti culturali che stanno alla base della violenza maschile contro le donne”.
Dal canto suo, Giovanna Martelli, a capo del Dipartimento, ha affermato che le politiche pubbliche integrate si devono innestare sulle rilevazioni presentate e che la necessità di proseguire le attività di indagine e ricerca va di pari passo con la verifica dell’impatto delle politiche sui territori. La presentazione dei dati, a poche settimane dal discusso Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, apre dunque nuove strade di intervento? Giovanna Martelli ai nostri microfoni (VIDEO-INTERVISTA) assicura che “il Piano nazionale è esso stesso la costruzione di un processo, che come tale ricostruito, rimodulato e ritarato a seconda delle dimensioni e delle letture che si danno dei fenomeni che accadono sul territorio. Quindi sicuramente l’approfondimento della ricerca ci porterà non tanto a rivedere le azioni ma a rileggere i contenuti programmatori del piano e a ricondividerli con gli attori che sono già stati indicati e che saranno coinvolti”. A margine dell’incontro abbiamo chiesto un’opinione anche a Titti Carrano, Presidente della Rete D.I.R.E. che ha da alcuni mesi una posizione molto critica sull’operato del Governo in materia di violenza contro le donne e che, insieme ad altre associazioni, ha presentato una nota in cui spiega i motivi per cui il Piano così come è non va bene. “I dati che sono stati presentati sono preziosi e occorre fare una riflessione profonda. Il fenomeno si presenta sempre grave e dunque devono esserci delle politiche mirate per contrastare e prevenire. Il dato interessante è anche l’aumento delle donne che si rivolgono ai centri anti-violenza, sempre una piccola percentuale ma per noi vedere il dato raddoppiato è importante. Il Piano, per come è stato presentato, non risponde a tutto questo ed è necessario che si modifichi sostanzialmente. Noi ce la stiamo mettendo tutta ma non sappiamo quali siano i margini di modifica. Crediamo che occorra un riconoscimento del valore politico dei centri anti-violenza, che non è soltanto nell’accoglienza o nell’ospitalità, ma è nel lavoro di prevenzione, sensibilizzazione e formazione che noi facciamo. L’altro dato interessante è l’apertura di fiducia di rivolgersi alle forze dell’ordine e anche lì noi abbiamo fatto un’enorme attività di formazione con loro”. Sembra plausibile collegare il maggior grado di soddisfazione delle donne rispetto all’operato delle forze dell’ordine con la formazione di cui si sono fatte carico le maggiori esperte di violenza contro le donne, ovvero le operatrici dei centri sui territori.
In ogni caso, bisognerà aspettare i prossimi mesi per capire come si attueranno concretamente le politiche sui territori, come verranno gestite le risorse finanziate, quali attori saranno coinvolti maggiormente, e capire, ad una prossima misurazione, se le azioni messe in campo sono state efficaci o no, per fare quel salto in avanti di cui si diceva alcune righe prima. Quello che sembra chiaro è che le tante analisi, iniziative e discussioni pubbliche sulla violenza contro le donne, sul sessismo, la lotta agli stereotipi di genere hanno prodotto un cambiamento concreto, anche se al momento insufficiente. “Le donne si sono sentite meno sole – conclude Linda Laura Sabbadini – Una maggiore informazione, legata all’intervento legislativo, ha creato un clima sociale di condanna, per cui la donna non ha più sentito come un fatto privato la violenza che stava subendo. Se non ci fosse stato questo clima sociale sarebbe stato più difficile rompere l’isolamento e reagire”.
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