Un titolo così suona indubbiamente forte e provocatorio. Tuttavia, quel che ha spinto Ernesto Marzano - economista con lunga esperienza di dirigente delle Partecipazioni statali - a scrivere "Israele, il killer che piange" ( Roma, Aracne editrice, 2015, euro 14,00) è il bisogno di dialogo con i fratelli ebrei oltrechè l’esplorazione su campo di uno dei conflitti più sedimentati e sanguinosi dell’ultimo dopoguerra. Quel che emerge è una realtà troppe volte strumentalizzata e paradossalmente misconosciuta, nonostante la forte sovraesposizione mediatica. Sullo sfondo le radici storiche e la cronaca politica che rendono necessario il dovere di testimonianza, fino all’esercizio di un legittimo e doveroso diritto di critica.
Criticare anche fortemente le scelte dello stato d' Israele, non significa essere antiisraeliani o, addiritura, antisemiti. Né si può tacere sulle tante risoluzioni ONU rimaste inapplicate fin dal 1947. Risoluzioni che esortavano il neonato stato di Israele a garantire ai palestinesi il ritorno alle loro terre e alle loro proprietà - e dal 1967 ad evacuare la Cisgiordania - occupata dalle truppe israeliane nella Guerra dei Sei giorni.
Interessante la riflessione sui movimenti pacifisti israeliani, incontrati dall’autore in Israele e nei Territori occupati, tra questi il “Bet' Selem”, il Comitato israeliano per i diritti umani, il “Tayush”, e il quasi scomparso "Peace now". Marzano affronta questioni controverse come il sionismo (nel contesto generale dei movimenti di Risorgimento nazionale dell'Otto-Novecento) e la Seconda guerra mondiale, con la Shoah, e la nascita, nel 1947-'48, dello Stato d' Israele, insieme alla cacciata in massa, dalla Palestina, dei residenti palestinesi. La guerra del '67 e le altre successive fiammate belliche in Medio Oriente, sino alla violenta operazione "Margine di sicurezza" a Gaza ( estate 2014), e alle due Intifade palestinesi (1987-'88 e 2000-2002), cui in questi giorni se ne sta purtroppo aggiungendo una terza.
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