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Isis a Parigi, uguale all'11 settembre di quattordici anni fa

Isis a Parigi, uguale all'11 settembre di quattordici anni fa

L'eccidio di Parigi ci fa riscoprire vulnerabili. Elaboriamo questo "lutto comune" cercando di evitare la paura e domandiamoci 'adesso che fare?'

Lunedi, 16/11/2015 -
Forse non si dovrebbe scrivere sotto emozione credendo di poter dire qualcosa di buono. Ho messo in chiaro la data, che è uguale all'11 settembre 2001.

Quattordici anni fa. Tanti per trovarci così vulnerabili e scoperti psicologicamente. In fondo sapevamo, tutti, inermi cittadini e governi. E' evidente che non siamo stati capaci della minima prevenzione. Molti i libri, i tre o quattro i quaderni del popolare Limes, per non parlare di anni di informazioni sparate nelle più diverse situazioni, dalla Nigeria al Mali, allo Yemen, non potevano stabilire luogo e data degli attentati in Francia; ma nemmeno escludere l'ipotesi che le minacce all' "Europa dei crociati" non sarebbero state in qualche modo attuate.

Adesso che fare? Intanto non restare a lungo dentro l'emozione. Elaboriamo questo "lutto comune" cercando di evitare la paura. Si corrono più pericoli di non tornare a casa inforcando una bicicletta e guidando un auto che non per terrorismo.

François Hollande ha chiuso le frontiere e usato misure emergenziali perché la situazione era e resta emergenziale, ma anche perché la pancia dei francesi può avere strani effetti xenofobi e rafforzare la signora Le Pin. E' stato il primo a usare le armi (in Mali, in Libia e ora in Iraq); bisognerà vedere se prenderà ancora l'iniziativa, coinvolegendo tutti.

Tocca all'Europa soprattutto recuperare fiducia e coraggio per realizzare quella maggior unità politica che i decenni non sono riusciti a definire: solo uniti e cooperando, infatti, si può vincere. Non abbiamo una politica estera e di sicurezza "nostra", di europei: fin qui i momenti difficili li abbiamo affidati alla Nato. Forse oggi vediamo quanto sia insensato spendere almeno 210 mld. per 28 eserciti distinti per nazione, incapaci, singolarmente presi, di difendere alcunché.

Se guardiamo una cartina strategica dell'Isis, vediamo che le sue basi di comando principali sono in Iraq. Possiamo permetterci un compatimento amaro sulle scuse espresse da Tony Blair per aver solidarizzato con Bush una guerra in cui sono morti soldati inglesi e americani e molti di più civili iracheni: ha rappresentato la prima responsabilità occidentale di azioni percepite dall'altra parte come dichiarata ostilità contro il Medioriente. Gli interessi in gioco non erano, infatti, i diritti umani; e le ragioni del conflitto non erano umanitarie. Anzi, si fece ricorso alla menzogna pur di dare corso agli interessi delle vie del petrolio. Le scuse non fanno tornare indietro l'orologio della storia anche perché l'Iraq non ha rappresentato la sola violazione della prudenza internazionale.

Siccome l'Isis controlla parecchi pozzi petroliferi e vende al mercato nero mediante traffici non così clandestini con la Turchia, e il Qatar, si dovrebbe intervenire per eliminare questo rifornimento finanziario ad Al-Baghdadi. La vigilanza internazionale potrebbe anche tagliare il mercato archeologico, altra fonte di finanziamento dell'Isis.

Dobbiamo sempre cercare di capire. Se incominciamo a sentirci insicuri al primo arabo che incontriamo, dobbiamo pensare che anche lui ha paura dello sguardo con cui lo guardiamo. Diventare xenofobi e razzisti o anche solo nazionalisti non tanto non è virtuoso: non ce lo possiamo permettere. Perché noi abbiamo responsabilità per quanto è successo dopo il crollo del grande impero ottomano e, alla fine della prima guerra mondiale, gli Stati forti europei (Francia e Gran Bretagna) hanno formato, spartendosele, le nazioni oggi in questione, dall'Algeria al Pakistan passando per la Palestina e la Turchia. Se lì ci chiamano "crociati", vuole dire che la storia ha la memoria lunga per gli eredi della guerre. Ma ai loro occhi siamo anche Occidentali e capitalisti, eretici e corrotti: le loro donne vanno velate, le nostre seminude.

La pazzia che sta dietro questo fanatismo omicida proibisce agli stessi musulmani di fumare, bere alcolici e sentire musica, vedere tv in nome di un “Califfato” di dittatura estrema che nemmeno Bin Laden immaginava. Nemici peggiori di noi sono solo gli sciiti, gli "eretici" che, secondo il verbo estremo dei fanatici sunniti, bestemmiano l'Islam e il Profeta.

Le questioni sono complesse. Non è nemmeno chiaro perché gli Usa hanno scelto di aiutare (e armare) i sunniti. Non è improbabile che sia una conseguenza dell'amicizia con l'Arabia Saudita petrolifera e finanziatrice del Califfato. Così si spiega l'ostilità a Bashar al Assad, un despota, ma non così tremendo se veniva ricevuto all'Eliseo senza problemi e se l'Italia lo aveva onorato con il cavalierato di gran croce; solo che era un alawita, una variante dello sciismo; resta ancora il prezzo di un'intesa per consolidare l'alleanza tra Obame e Putin, ritrovata ieri al G20 di Atalaya. E' un bene sicuramente questo consolidarsi dell'iniziativa internazionale, anche se stanno insieme il diavolo e l'acqua santa: è realistico pensare che i "capi" si siano resi conto che la terza guerra mondiale sarebbe una brutta cosa anche per i loro interessi.

Soprattutto perché si tratta di una guerra inedita, con un potere policentrico e inafferrabile e con soldati che sono miliziani combattenti sul fronte variabile del terrorismo e animati da un fanatismo perverso che crede di abbattere la corruzione degli infedeli massacrandoli senza accorgersi che è già intrappolato nelle nuove tecnologie, la più occidentale delle modernizzazioni: nemmeno Al Baghdadi gli toglierà i cellulari…. Forse siamo ancora in tempo: noi per prevenire il peggio e loro per laicizzare un poco l'Islam.



Giancarla Codrignani

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