La donna del mese - Originaria dell’Anatolia, nata e cresciuta a Berlino, è una musicista lesbica, femminista, attivista radicale, tedesca ma turca, immigrata di seconda generazione, musulmana. E una donna
Dalla Negra Cecilia Lunedi, 04/07/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2011
“Piacere, sono Ipek”, che come biglietto da visita potrebbe anche bastare. Quello vero, piccolo e squadrato, lascia intendere già dalla grafica che il personaggio è complesso, e ci sarà da scavare. Sullo sfondo di un cielo conturbante si stagliano, accanto, i minareti di Istanbul e il Fernsehturm di Berlino, la basilica di Santa Sofia e l’angelo di Alexanderplatz. Un mix di immagini e culture, suoni e colori, che sono punto di arrivo e di inizio insieme per conoscere e comprendere il sound, ma anche l’anima, di una dj che ha spiazzato il panorama musicale internazionale grazie all’immediatezza della propria complessità. Ipek Ipekçioğlu, 38 anni, originaria dell’Anatolia ma nata e cresciuta a Berlino, è una musicista lesbica, femminista, attivista radicale, tedesca ma turca, immigrata di seconda generazione, musulmana. E una donna, “almeno biologicamente”, ti dice sorridendo. Ha rivoluzionato il panorama della fusion internazionale, imponendosi all’attenzione della critica per il suo stile assolutamente innovativo, che unisce le sonorità tipiche del Bosforo all’elettronica, il pop turco ai suoni tradizionali curdi, in una lunga linea musicale che parte dall’underground di Berlino per arrivare fino all’estremo oriente. È l’Eklektik Berlinistan, come lei stessa ha battezzato il suo genere, indefinibile e potente proprio perché capace di armonizzare suoni, culture e identità tanto diverse tra loro, per un risultato finale spiazzante e coinvolgente. Molto apprezzato dalla critica, il suo primo lavoro - Beyond İstanbul – Underground Grooves of Turkey - è stato scoperto e premiato in Germania, facendo poi il giro del mondo. Quando la incontriamo, in occasione della festa per i 20 anni della Ong “Un Ponte per…”, Ipek sta fumando una sigaretta su un prato e si sistema il trucco prima della performance che chiuderà la serata. A sorprendere è la sua simpatia immediata, una spontaneità fresca e rilassata che lascia intravedere, con uno sguardo, la complessità dei suoi mondi interiori.
Dj di professione, femminista, lesbica, tedesca ma immigrata turca di seconda generazione, musulmana. Come riesci a conciliare tutti questi aspetti?
Cercando di essere semplicemente “Ipek”. Appena qualche anno fa, se mi avessero chiesto di definirmi, avrei elencato una lunga serie di categorie finendo per dimenticare me stessa. Oggi credo che dire solo “Ipek” riassuma in sé le tante sfaccettature del mio essere. È il paradosso imposto dalla società, che ha bisogno di darti una definizione chiara quando ti percepisce come altro da sé: così inizi a domandarti chi sei, a cercare etichette che possano essere esaustive. Diventando la donna che sono ho sentito di essere straniera sia rispetto alla società tedesca che alla comunità turca in cui sono cresciuta, così come dalla cultura eterosessuale dominante in entrambe. Ho fatto un lungo percorso che mi ha portato a compiere quello che chiamo il grande coming out, e che mi ha reso la persona che sono oggi. Semplicemente “Ipek”, figlia di molte culture, attraversata da diverse tradizioni, in qualche modo un prodotto di questo mondo globalizzato. Mi piace pensare che sia un modello da esportare per uscire dalla gabbia esotica delle etichette necessarie.
Con la tua arte hai scelto di unire generi infinitamente distanti. Che significato ha per te?
La mia musica rispecchia esattamente la persona che sono. È influenzata dai tanti patrimoni culturali che mi porto dentro, che ho ereditato dalla mia famiglia e che ho acquisito vivendo. Non ho voluto fermarmi né limitarmi ad un solo genere perché la mia identità è influenzata da numerosi background distanti tra loro, che tento di armonizzare in un sound che è anche narrazione della mia vita. Combinando influenze diverse mostro la mia identità complessa e cerco di raggiungere tante comunità: da quella araba a quella nord europea, attraversando il mondo lesbico e lgbt in modo trasversale tra generazioni.
C’è un messaggio in particolare che cerchi di veicolare attraverso le tue performance?
Uno solo: il valore della differenza. Con la mia musica ed il mio modo di essere cerco di esprimere il concetto che le diversità, se comprese e vissute, non tolgono niente ma anzi arricchiscono la società. Essere eclettici e rifiutare le definizioni è una cosa bella, oltre che divertente.
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