Lunedi, 02/04/2012 - Ipazia. La nota più alta. Questo è il titolo dello spettacolo di Tommaso Urselli (ideazione e interpretazione Maria Eugenia D’Aquino, regia Valentina Colorni, musica originale Maurizio Pisati, spazio scenico Andrea Ricci, Produzione PACTA per Teatri – Progetto DonneTeatroDiritti e ScienzaInScena), il cui debutto si è avuto a Milano presso il Teatro Oscar (8-17 marzo 2012).
Al centro della scena, una sola figura, quella di Ipazia, astronoma, matematica e filosofa vissuta nel secolo IV ad Alessandria d’Egitto, bruciata su un rogo per mano di chi voleva zittire per sempre la sua sete di conoscenza. Magnificamente interpretata dall’attrice Maria Eugenia D’Aquino, Ipazia ci viene riconsegnata senza la pretesa di costruirne il personaggio storico. Non è questo lo scopo della pièce teatrale. Tramite un espediente drammaturgico e un’ingegnosa composizione musicale (Ai limiti dell’aria) adatta a “percorrere le regioni estreme delle onde sonore, là dove abita, si nasconde la nota più alta della scala musicale greca” (il cui nome è hypàte, da cui deriva quello della protagonista), “lontana dai suoni che in contrappunto rotolano sul palcoscenico, gravi e sperduti”, la figura femminile di Ipazia esce dall’angusta dimensione del suo spazio-tempo, per testimoniare sé stessa in un tempo che è specchio dell’Eternità e in un luogo dove sono ancora custoditi i 500mila volumi del Museo di Alessandria (la biblioteca più grande del mondo), nella realtà andati perduti a causa di un incendio doloso.
Lo spazio dove si muove Ipazia è un avveniristico archivio d’informazioni proiettato nell’anno 2415 che diviene il suo personale teatro in cui può difendere i baluardi dell’antichità classica, poiché ora si trova al riparo dagli antagonismi e dalle verità assolute che furono la causa della sua atroce uccisione consumata nel “sacro edificio”. Questa, infatti, è una dimora (“terra di nessuno”) sicura per il sapere, che non può bruciare né mai finire, dove voci, personaggi ed episodi prendono corpo in una narrazione per frammenti, che non procede per sequenza temporale, dato che l’azione si colloca “in un tempo che non c’è”.
La narrazione invita il pubblico a riflettere su intrecci complessi come quello tra scienza, libertà e religione, che accompagnano da sempre l’umanità, poiché si ripresentano in ogni tempo, con un tassello in più: la vicenda ruota intorno ad una “donna”, quella, appunto di Ipazia. E che cosa vuole dirci oggi Ipazia? Perché deve raccontarci la sua storia? Una delle possibili risposte, afferma la regista Valentina Coloni, “è che la sua sia una funzione salvifica. Ipazia è un’occasione (…) per salvare pezzi, brandelli di conoscenza. (…) Abbiamo voluto immaginare che Ipazia sia qui per portare in salvo, nascondendoli negli anfratti spazio-temporali (…), i libri della biblioteca di Alessandria, metafora di tutti i libri, di tutti i prodotti della tensione alla trascendenza propria dell’animo umano, che tende a superare la finitezza del singolo essere per trovare un senso, un ordine, un’armonia superiore”.
Ipazia non è solo una scienziata ma è anche una discepola della filosofia neo-platonica pagana, secondo cui il tempo è Eterno presente, in cui tutto si presenta come simultaneo (“non esiste un prima e un dopo”). Al termine dello spettacolo, sentiamo la voce di Ipazia (o meglio le voci, come si fossero moltiplicate…una costellazione di Ipazie) che dice:
(…)
Chi sono io? Chi siete voi?
Dei vivi che vogliono diventare morti
dei morti che vogliono diventare vivi?
forse è per questo che siamo qui
in questa terra di nessuno
in questo tempo che non c’è
io, voi, come una stessa cosa
per non dimenticare….
Per non dimenticare. Cosa? Quella prima realtà sussistente, totalmente trascendente, che non può contenere alcuna divisione o molteplicità: l’Uno puro, a cui bisogna tendere, dato che “al vivere è essenziale l’Unità”:
E io adesso
vorrei solo morire
Ma morire davvero
morire tutta,
(…)
Che i pezzi di me
ogni mia singola parte
ritorni al tutto
Tutti i numeri all’Uno
L’acqua dei fiumi dei mari e dei laghi alla sorgente,
(…)
le curve della spirale all’unica origine
a quella madre che non ho mai conosciuto.
(…)
La vera sostanza di tutti noi, uomini e donne
È la scintilla divina, la mente
che è un frammento dell’Uno, del Dio
E lì vuole tornare…
Il prestigio conquistato da Ipazia ad Alessandria fu soprattutto scientifico e culturale, ma questo divenne presto la condizione dell’acquisizione di un potere che fu anche politico. Ciò non fu tollerato dal fanatismo religioso cristiano di allora. Proprio il vescovo Cirillo fu la causa (diretta o indiretta) dell’uccisione della donna. Eppure Ipazia è una delle voci più alte del laicismo del pensiero scientifico. Ecco cosa dice al prefetto Oreste, uno dei personaggi la cui voce compare sulla scena, mettendola in guardia dall’andarsene in giro in quel momento a “predicare”:
Io non predico, scienza e filosofia non sono una religione. E alle mie lezioni vengono indifferentemente pagani, cristiani, ebrei…Io insegno, dialogo, li interrogo, in qualunque dio essi credano. L’unico dio o demone che io cerco di destare in loro è quello della ragione. E tu, da mio ex-allievo, dovresti saperlo.
Sul palco, per una strana alchimia, si presenta poi il vescovo Cirillo, che con voce sprezzante redarguisce Ipazia: “Vedo che non hai perso il vizio di andartene a blaterare agli angoli delle strade e nei teatri, invece di startene al tuo posto”. “Che sarebbe?” - chiede Ipazia. Cirillo: “Qual è il posto di una donna? (…) aggiornare il guardaroba e indossare una bella veste invece di quel ridicolo mantello da filosofo. E dedicare più tempo ai mestieri di casa”.
Ipazia, rispondendo ad un’altra voce, quella di Sinesio di Cirene, futuro vescovo di Tolemaide (con cui sognava di aprire una scuola per la rinascita del platonismo alessandrino), che entra in scena per comunicarle le sue prossime nozze, confessa quanto sia per lei difficile pensare al matrimonio:
Mi dispiace
mi dispiace davvero
Io ci ho provato, ma forse non sono molto brava
con questa materia…umana
troppo umana
O forse non mi interessa molto
Sì, decisamente
trovo che ci siano cose molto più interessanti.
Ipazia volge il suo pensiero al cielo e riflette sul Sole e la Terra.
Non siamo noi il centro dell’universo
È la terra a girare intorno alla nostra fonte di luce, il
sole, e non il contrario
Questo - sostiene Ipazia - confermerebbe, con buona pace di Tolomeo, che Aristarco aveva visto giusto.
Ritorna in scena Cirillo che si rivolge ad Ipazia: Sempre a scrutare il cielo! E riesci a vedere altro, oltre le stelle! (…) Mia cara Ipazia, forse ti converrebbe riflettere meglio su ciò che dici, (…) E poi, dammi retta, non è faccenda da donna, il cielo. Avresti dovuto sposarlo, il tuo Oreste: forse ti avrebbe ascoltato di più.
Prendendo da un ripiano una sfera di pasta, Ipazia avanza in proscenio verso il pubblico, come a tenere una lezione sulla materia, di cui è composto l’universo e ciò che lo abita. E dopo una dissertazione scientifica, conclude ….e voi state solo perdendo il vostro tempo ad ascoltare le parole di una povera donna delirante, in preda a una inguaribile malattia.
Di nuovo Cirillo: Avresti dovuto darmi retta e curarla in tempo, questa tua malattia. (…) Avanti tu che sai tutto, chi è il sommo nocchiero della medicina? Ipazia: Amenhoep, Ippocrate, Erofilo. E Galeno…Cirillo: Sbagliato!...Nessuno di loro è mai riuscito a resuscitare un morto con il solo tocco di una mano…Nostro Signore, Ipazia! (…) E i santi, i martiri, che guarirono gli storpi e i lebbrosi senza praticare inutili scienze, l’astronomia, la matematica, la magia. (…) Ricorda: “Il savio tiene riposta la scienza”…Bibbia, Libro dei Proverbi…
Ipazia scaglia il ripiano contro uno specchio che va a pezzi. Da quei pezzi pare ad Ipazia che emergano tante voci ad implorarla:
Hai sentito Cirillo?
(…)
Ti prego, maestra, ascoltaci
E poi adesso questa storia della terra che gira intorno al sole
(…)
E la terra è ferma, ricordalo
Come le fondamenta della nostra chiesa
Vorresti far girare la chiesa con tutti i suoi vescovi intorno al sole?
(…)
Lascia perdere le stelle
Guardati intorno
La città non è quella che hai sognato
Ebrei contro cristiani
Cristiani contro pagani
Si sente ora la voce di Shalim, giovane discepolo innamorato di Ipazia, che condensa con parole toccanti la storia della “maestra”.
C’era una volta una bambina che si chiedeva il perché di tutto, (…) sui suoi fondamenti cercò di costruire una città; (…). A questa città diede la forma di una conchiglia, la cui perfezione l’aveva da sempre affascinata (…). Ma la cosa speciale era che al posto del nome delle vie, c’erano domande; al posto di quello delle piazze, risposte…(…) Il cielo di quella città era sempre chiaro e limpido, come uno specchio (…). Ma un giorno qualcuno (…) incrinò lo specchio del cielo fino a mandarlo in frantumi. Da quel momento, le domande restavano, e per alcuni nemmeno quelle, mentre le risposte finirono man mano per essere ingoiate da (…) un nuovo sole oscuro. (…) Restavano però, (…) sparsi un po’ dappertutto, dei frammenti luminosi di quella città-conchiglia e del suo cielo a specchio; ma erano così aguzzi e taglienti che solo a sfiorarli ci si poteva fare male.
Solo la bambina Ipazia, che nel frattempo era diventata donna, provò a farlo…(…) ma ne pagò caro il prezzo, e con quei cocci si tagliò. Anzi il suo stesso corpo finì in pezzi, e scorticato, e bruciato. (…) Ma la mano di chi aveva provocato simile atrocità, aveva fatto male i suoi calcoli. Perché la luce di quei cocci (…) si sarebbe propagata nello spazio e nel tempo, portando il ricordo di quella donna-bambina, e della città da lei fondata, fino a qui. Finalmente a casa.
Su Ipazia, filosofa matematica alessandrina che voleva risvegliare il mondo dal torpore, hanno scritto personaggi illustri, ma alla gente comune era sconosciuta. Questo spettacolo, come altre iniziative, la conduce alla ribalta del grande pubblico.
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I frammenti dei brani sono tratti dal libro di Tommaso Urselli, Ipazia. La nota più alta (“sedizioni”, diego dejaco editore, febbraio, 2012), che riporta il testo integrale dello spettacolo.
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