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"Io sono (ognuna metta il proprio nome)"

La Presidente del Consiglio, nel discorso alla Camera del 25 ottobre 2022, ha citato un elenco di donne che hanno contribuito a rendere possibile l'elezioen della prima donna alla carica. Le ha citate solo per nome (non per cognome). Perché? provo a dare

Mercoledi, 26/10/2022 - Le testate giornalistiche, dopo il discorso della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, stanno “impazzando” (o “impazzendo”) sulla ragione per la quale ha utilizzato il nome e non anche il cognome delle donne che ha citato. Donne come: Tina (Anselmi), Maria (Montessori), Samantha (Cristoforetti) etc.
Le donne che, nella storia italiana hanno contribuito, come ha detto la stessa Presidente, a porre le assi che le hanno permesso di salire la scala e di rompere il soffitto di cristallo che, per molto tempo - dal fantastico 1948 (anno in cui abbiamo ottenuto tutte il diritto di voto; il “vero” suffragio universale) – ci ha bloccate a livello di pavimento e a volte nascoste sotto il tappeto. Parliamo di donne che hanno “osato”, spesso con fatica e contro la volontà di molti (anche in famiglia!), e sono riuscite a uscire dall’anonimato e dalla storia del quotidiano.
Perché le ha citate solo per nome?
Azzardo la mia interpretazione.
Il fatto di nominarsi utilizzando solo il proprio nome è una prassi che la Presidente del Consiglio segue da molto. A partire dal titolo del suo libro: “Io sono Giorgia”. Non ha scritto “Io sono Giorgia Meloni”. Prima osservazione.
Appellarle per nome è un po’ come tessere una tela che lega le donne, lungo la storia, e costruisce una trama, una narrazione comune. Una narrazione di donne e fra donne. Una “sorellanza storica”. Lo vedo come un riconoscimento, politico e d’affetto, in cui ci si riconosce come donne. Punto secondo.
Il cognome, come molte volte abbiamo notato e sottolineato nei dibattiti femministi, è sempre il cognome del padre. Almeno fino alla attesa e recente sentenza della Corte Costituzionale che ha sancito l’obsolescenza e la violazione del principio di non discriminazione dell’art 3, nell’attribuzione del solo cognome del padre alle nate e ai nati. I nostri cognomi dicono del padre, ma nascondono la madre. Citare quindi i soli nomi delle donne mi sembra un atto femminista (benché lei non si professi tale) di grande forza e valore simbolico. Le donne ricevono il cognome del padre e vi aggiungono quello del marito. È sempre però il cognome di un altro uomo e della sua genealogia. Il cognome narra la genealogia maschile, non a caso, spesso usano il cognome per chiamarsi e riconoscersi fra loro; per rappresentare il “casato” e sé stessi contemporaneamente. Punto terzo.
La sua storia personale, vissuta in un contesto a grande prevalenza femminile, il suo centro di affetti è nettamente femminile. Contrapposta al percorso politico che, invece, è meno popolato da donne. Scegliere di usare solo il nome è una scelta d’identità che si vuole mettere in risalto, mi sembra. Fa riferimento all’Io-persona, non all’Io-carica pubblica, non all’Io-soggetto pubblico. È l’io-donna che le donne si sono sempre “giocato”, mentre “osavano”. Sapendo che, in caso di fallimento, il demerito e la denigrazione sarebbero stati generalizzati al noi-donne, come una sorta di “dimostrazione” dell’incapacità di tutte le nate femmina, da parte di coloro che più hanno interesse a escluderle: gli uomini. Punto quarto.
Perché stupisce tanto la scelta di utilizzare il solo nome e non il cognome? Lo stupore indica la disabitudine rispetto a ciò che è consueto e che mettiamo in pratica meccanicamente. Un po’ come l’uso della declinazione femminile di parole della lingua italiana. Parole correttissime e purissime dal punto di vista grammaticale, che suonano “strane” o “stonate” perché la disabitudine le ha rese tali.
Su questo la Presidente del Consiglio (e ripeto “La”) deve lavorare un po’ di più. Uno degli assi della scala che ha permesso di rompere il soffitto di cristallo è quello di dare un nome anche all’io-pubblico e all’io-mondo. Ultimo e fondamentale punto.

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