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IO E LA VIA HERCULEA

IO E LA VIA HERCULEA

L’Herculea era una via commerciale romana del III secolo: si snodava e integrava in una rete di antichi tratturi già esistenti, che collegavano fin dall’epoca pre-romana, il Sannio con la Magna Grecia. Gianni Panzetta l'ha studiata a fondo.

Sabato, 16/07/2016 - Originario di Villanova del Battista (AV), nel 1963 si trasferisce con la famiglia a Napoli, dove si laurea in Architettura. Negli anni Ottanta apre il primo studio professionale associato, occupandosi prevalentemente di Urbanistica e Recupero edilizio, tra Napoli, Irpinia e, successivamente, Molise e Calabria. Nel 1994 si trasferisce a Berlino e partecipa alla ricostruzione dopo la caduta del Muro. Nel 1995 crea la società di servizi alle imprese Panzetta & Partner Gbh, e realizza numerosi edifici residenziali e commerciali. Collabora con la rivista di architettura di Berlino, Bauwelt, pubblicando “Il mercato globale e l’emigrazione imprenditoriale edilizia degli anni 90”, (resoconto dell’esperienza delle imprese italiane in Germania), in “SPUREN”, AA. VV. Berlin 1999, per conto di ALTRITALIA. Dal 2008, pur vivendo in Germania, dove ha un ristorante di cucina irpina-napoletana, è membro della Università Popolare dell’Irpinia, che ha supportato il suo lavoro di ricerca sulla viabilità romana nella dorsale appenninica dauno-irpina. A cosa ci si riferisce quando si parla della Via Herculea? L’Herculea era una via commerciale romana del III secolo. Si snodava e integrava in una rete di antichi tratturi già esistenti, che collegavano fin dall’epoca pre-romana, il Sannio con la Magna Grecia. Con la caduta dell’Impero, perse l’importanza che aveva rivestito, ma essendo rimasta supporto della transumanza, si perpetuò fino alla fine dell’800. La via partiva da Aufidena (da qui era collegata verso Nord con un’altra via fino alla Valeria, che rappresentava il collegamento di Roma con la costa adriatica) e, dopo un percorso di circa quattrocento chilometri, raggiungeva, viaggiando sulla dorsale appenninica, Grumentum. Da qui si diramava in due: una per Heraclea (sulla costa Ionica) e l’altra andava a innestarsi alla Popilia, per duecento chilometri. Come nasce l’interesse verso la Via Herculea? Circa quarant’anni fa, la trovai citata per la prima volta nel libro “Il Sannio e i Sanniti”, di E.T. Salomon. Era una nota su una via pastorale longitudinale agli Appennini che univa quel che era stato il Sannio e la Magna Grecia, prima della conquista romana. L’autorità del grande storico canadese che per primo ha scritto la storia del Sannio, mi incuriosì per due motivi. Da un lato mi rievocava le peripezie che mio padre negli anni Sessanta era costretto a fare per raggiungere Cantalupo (anch’essa lambita, come Villanova, dalla Via Herculea), impiegando quasi una giornata: prima raggiungeva la stazione di Ariano e poi cambiava a Benevento. Stesso lungo itinerario se usava la lambretta: così tornava in famiglia solo ogni due mesi. Dall’altro, la sorpresa e l’orgoglio di sapere che da bambino avevo calpestato il terreno su cui erano passati i Romani, visto che delimitava dei terreni dei nonni dove giocavo. Solo dopo aver letto le note di Salmon, scoprii che da Villanova si ha una visuale che va dal Matese al Vulture, (almeno la metà del percorso dell’Herculea). E se mi fossi sforzato un po’ con l’immaginazione, guardando il Matese da Villanova, sul lato destro avrei potuto vedere Cantalupo (IS). La logica geometrica della viabilità romana che tanto aveva resistito, col tempo aveva acquisito un’altra regola che andava cercata nella fase più recente delle trasformazioni del nostro territorio: nell’arrivo dei Francesi sul trono di Napoli (1806) e nell’Unità d’Italia. Ci sono tornato su da circa cinque anni, dopo aver cercato di capire tutta la viabilità romana nel quadrilatero Benevento-Eclano- Troia-Herdonia. Perché studiare una strada e il suo percorso? “La strada, sosteneva il grande linguista G. Devoto, non è una materialità amorfa; noi studiamo le strade, non come un fine, ma come un mezzo. Ricostruire una strada vuol dire ricostruire un capitolo di effettiva storia, non soltanto economica, ma spirituale…”. Questo principio l’ho fatto mio maturando l’idea che per queste aree montane, interconnesse da una Rete di Tratturi da tempi antichissimi e dedite all’economia pastorale, la realizzazione della Via Herculea conteneva un grande progetto: la riconnessione delle aree marginali dell’Appennino con le ricche aree di pianura della civiltà romana. Qualche storico ipotizza che la realizzazione dell’Herculea, nel III Sec. d. C., sia avvenuta sotto la spinta dei ceti aristocratici locali che, come l’imperatore, avevano molte proprietà nell’area che avrebbero attraversato. Riflettere su questa via, può suggerirci le iniziative da intraprendere per tentare di equilibrare un territorio con pesi ponderali diversi: aree di pianure e di coste intasate, e aree interne desolate, oggi come allora. Una via che si snoda su un territorio di antichi sentieri, perpetuatasi almeno fino all’800, ha sedimentato appartenenza e affinità, purtroppo totalmente rigettata dal ridisegno amministrativo dell’Unità d’Italia. Tra le grandi vie romane che hanno percorso l’Irpinia, mentre l’Appia attraversava i territori, l’Herculea li univa. Che cosa ha rappresentato nel corso del tempo l’itinerario della Via Herculea? La via funse da supporto aggiuntivo alla rete parzialmente carrabile dei tratturi e garantì un più celere trasferimento di merci dalle aree montane interne destinate all’Annona, ma anche al ricco mercato romano, dove si potevano vendere i prodotti delle numerose fattorie dell’aristocrazia. Una perfetta gestione umanistica del territorio: l’Herculea e le sue perpetuazioni realizzano una linea di interscambio tra due comunità culturali umane, i pastori e i contadini. Questo equilibrio, che vedeva le sorti dell’uomo e del territorio regolato dalle leggi della natura e sancito nella costituzione da parte degli Aragonesi della Mena della Dogana di Foggia nel 1447 che aveva uno stato giuridico proprio per tutte le terre interessate alla transumanza, venne a rompersi con l’Illuminismo. Alla terra che dava rendita, fu sostituito il principio che da essa bisognava ricavare profitto. Nasceva il Capitalismo, che esigeva l’appropriazione dei terreni dediti alla pastorizia per destinarli all’agricoltura intensiva. L’Herculea e le sue perpetuazioni morirono insieme alla pastorizia e su queste aree subentrò un vuoto, che l’Unità d’Italia non riuscì a riempire. L’Herculea, infatti, farà perdere le sue tracce, ma lungo la sua direttrice permarrà un deposito antropologico di cultura immateriale. Sta a noi cercare di ricucirne l’unità identitaria per la realizzazione di un possibile futuro. Se ne volessimo ripercorrere il tragitto oggi sarebbe possibile? L’identificazione dell’Herculea resta ancora molto difficile. Dai documenti romani, L’Itinerario Antonini del II sec. d.C. rappresenta l’antecedente e la Tabula Peutingeriana, ne fa vedere, anche se quest’ultima è rimaneggiata, quel che resta alla fine del V secolo. Nel tempo ha avuto svariati riusi o perpetuazioni frammentarie. La strada che non è stata inglobata da qualche recente via o quella ancora persistente come sentiero o carrareccia, sotto circa un metro di terreno, sarebbe pur facile, anche se non era basolata, metterla in evidenza.. Oggi potrebbe essere ricostruita? Non va intesa come tracciato sulle carte e sentiero reale sul territorio, bensì come fascia di territorio, integrata dai tratturi o tratturelli con i quali ha convissuto. Non è il suo tracciato materiale che ci interessa, ma le tracce antropologiche del suo passato e quelle successive, che ne hanno definito il territorio. Non dobbiamo fare un ripristino filologico della Herculea e dei tratturi come se volessimo ripristinare la transumanza, ma dare senso alla sua identità perduta e cercare quelle che si possono integrare in un progetto di sviluppo sostenibile e naturale, alle esigenze attuali del territorio. Dove i suoi abitanti possano trovare occasioni di lavoro senza forzare ulteriormente il territorio, e un nuovo viaggiatore potersi nutrire di un paesaggio nuovo, da modificare, affinare, ricostruire e intrecciare con altri itinerari culturali Europei, come la Via Francigena. Un discorso indispensabile per dare destino all’enorme sistema della rete dei tratturi sarebbe, persuadere le regioni interessate (Abruzzo, Molise, Campania e Basilicata) a perorare presso l’UNESCO il riconoscimento come patrimonio universale della cultura pastorale. Un passo in questa direzione è l’accettazione e il finanziamento da parte della UE dell’itinerario culturale della via Herculea presentato dalla regione Basilicata.

Floriana Mastandrea

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