IO DONNA: Diritti e proteste online, le donne prendono la parola
Appelli, reti, movimenti spontanei, battaglie social a colpi di hashtag. Così, nel pieno dell’emergenza, voci e volti della società civile hanno alzato la testa. Perché ogni decisione ci riguarda (Io Donna)
Martedi, 07/07/2020 - ARTICOLO DI PAOLA CENTOMO PUBBLICATO IL 4 LUGLIO DA IO DONNA, DEL CORRIERE DELLA SERA (link: https://www.iodonna.it/attualita/costume-e-societa/2020/07/04/coronavirus-e-proteste-online-le-donne-prendono-la-parola/) Impaginato, pdf
Questa è la cronaca di tre mesi di mobilitazioni dal basso di tante, tantissime donne. La cronaca di cosa hanno fatto, di quel che hanno chiesto e (qualche volta) ottenuto. Mentre si organizzano per costruire, a colpi di idee pragmatiche, il futuro post Covid-19, anzi – dicono – una nuova civiltà.
31 marzo 2020: la prima lettera
Mentre l’Italia è murata nelle case e l’Europa è spaccata tra le spaventose dimensioni della crisi e l’urgenza di risalirla, il giornale Noi Donne e l’associazione Noi Rete Donne coglie la coincidenza eccezionale di due signore ai vertici delle istituzioni europee – Ursula von der Leyen e Christine Lagarde – e scrive loro una lettera-appello. Comincia con «Siamo a una difficilissima prova della storia» e così si conclude: «Confidiamo che deciderete senza mai perdere di vista il vostro essere donne, fattore decisivo per ridisegnare le priorità economiche e consolidare la democrazia e i diritti civili acquisiti». Sulla lettera piovono le firme di 3600 persone e moltissime associazioni. «Ad alcuni sarà anche parsa una lettera naïf: noi volevamo scommettere proprio sul fatto che fossero donne e che perciò non fosse possibile che non si accorgessero delle responsabilità da assumere», ci racconta Daniela Carlà, coordinatrice di Noi Rete Donne. «Nei momenti critici, è più facile che le donne generino idee di rottura, liberandosi dalla coazione a ripetere gli errori che è più tipica degli uomini e che così male sta facendo al mondo».
Un passo alla volta
La lettera è la prima mossa di una mobilitazione impetuosa che, dalle case blindate dal lockdown, porterà nelle piazze dei social network decine di migliaia di manifestanti. A metà aprile, sono scrittrici, scienziate, docenti universitarie, registe, poetesse d’Europa a pretendere a nome di tutte che la ripartenza tenga conto dei diritti, delle capacità e perciò del contributo femminile. «Da sempre le donne hanno mostrato una grande forza nel reagire e nel tenere insieme le famiglie, nutrirle, curarle…», scrivono ai governi d’Europa, tra le altre, Cristina Comencini e Annie Ernaux, Elena Ferrante, Margarethe Von Trotta, Julia Kristeva. E poi: «Questa volta ci siamo, alla pari, e vogliamo che la ricostruzione si faccia secondo le esigenze e i valori inscritti nella nostra storia, nelle nostre esperienze troppo a lungo misconosciute». La lettera raccoglie 20.000 firme; in aggiunta, dal web la regista Cristina Comencini invita a inviare un video-appello ai Governi.
E le donne dove sono? Il paradosso è che quello italiano risponde con task force (per gestire le emergenze) e commissioni (per disegnare nuove visioni di Paese) che rimuovono completamente o quasi il genere femminile. Nella commissione Colao, chiamata a indicare la direzione verso “un’Italia più forte, resiliente ed equa”, entrano 13 uomini e 4 donne, in quella della Protezione Civile c’è spazio per 20 uomini. Donne? Zero. Quando il Presidente della Commissione parlamentare per gli Affari europei convoca esperti di varia provenienza e sono ancora, incredibilmente, tutti uomini, è l’economista ed ex ministra Elsa Fornero a dare la zampata: «La vicenda è francamente avvilente. Il fatto la dice lunga sul maschilismo retrogrado dell’Italia» scrive su La Stampa. «Già. Questi organismi decidono il presente e il futuro dell’Italia ed escludono le donne? Davvero assurdo, inaccettabile», commenta oggi Azzurra Rinaldi, economista e docente all’Università Unitelma Sapienza. «È una questione di equità della rappresentanza ma, come economista, io evidenzio anche il piano dell’efficienza: la disuguaglianza tra i generi ci costa tantissimo, in Europa una cifra enorme, 370miliardi l’anno. Insomma, non ci può essere ripresa se non ci sono le donne: se viene meno il loro lavoro, vengono meno molti punti di Pil. E in Italia, dove circa il 50 per cento delle donne lavora, alcuni studi ci dicono che tra il 15 e il 30 per cento è a rischio di lasciare il posto se non riuscisse a conciliarlo con le cure famigliari».
Occupazione a rischio
È in una chat in cui Rinaldi e altre professioniste condividono l’interesse per i temi di genere (alla testa c’è la professionista della comunicazione Daniela Poggio) che a metà aprile scatta l’idea di una reazione collettiva d’impatto: un flash mob. «Abbiamo pensato: e se invitassimo le italiane a indossare una mascherina su cui scrivere #DateciVoce e quindi a farsi un selfie da postare poi su Facebook, Instagram, Twitter? Abbiamo lavorato sull’organizzazione del flash mob nelle ore lasciate libere da lavoro e famiglia, e perciò di notte, tutte quante più che sfinite da giornate diventate, nel lockdown, massacranti». Il flash mob scatta alle 10 del 2 maggio, si chiude alle 22: è un successo, con migliaia di selfie lanciati in rete. In concomitanza, un gruppo di parlamentari presenta una mozione, da nord a sud si mobilitano donne delle più disparate provenienze, La 27esima ora – blog sui temi di genere del Corriere della Sera – martella: basta con le donne sempre in fondo, tenute alla larga da dove conta esserci! Dieci giorni dopo, la task force a guida Colao verrà integrata con cinque esperte, il Comitato Tecnico Scientifico a guida Borrelli di sei. Le ispiratrici di DateciVoce commentano: «È un primo passo verso il futuro, ma l’equa presenza non è una concessione».
Siamo tutte “massaie”! Intanto in rete molti altri fuochi si accendono: espressioni sessiste, discriminazioni, attacchi ai diritti non vengono lasciati passare. Esempio: dopo che, in una trasmissione di Rete 4, l’assessore alla Sanità della Lombardia Giulio Gallera giustifica l’errore compiuto nello spiegare cosa sia l’indice di contagio Rt dicendo «L’ho spiegato in maniera semplice per la massaia», l’associazione Toponomastica Femminile – che lavora perché più vie e piazze siano dedicate alle donne – raccoglie 1500 firme, tra cui quella di Dacia Maraini e di una moltitudine di associazioni, e lancia l’appello “Siamo tutte massaie!”. «Lo siamo perché tutte facciamo gratuitamente, ogni giorno e non necessariamente per scelta un lavoro di cura delle persone che dovrebbe invece essere condiviso con gli uomini o fatto proprio dallo Stato», dice Ester Rizzo Licata, ex consulente finanziaria, spiegando le ragioni per cui si è messa alla testa della petizione. «Sono massaie le dirigenti d’azienda e le infermiere, le segretarie e le professoresse e, guarda caso, queste massaie sono cruciali per l’economia del Paese. Basta con le parole che offendono».
La rivolta parte dal web Intanto sul web sbocciano qua e là originali iniziative dal basso – vedi #ideexdomani, un brainstorming social con cui le due founder di Ladynomics (blog su donne ed economia) chiedono alle italiane di inviare un video con le loro idee per ricostruire l’Italia -, e tante dirette su Facebook e Zoom che agiscono da chiamate all’azione, come #Oltreilmerito, organizzato da Il ring delle Idee. Il messaggio? Le donne separano merito e potere, gli uomini invece misurano il merito con il potere, e infatti il potere se lo prendono tutto. «Abbiamo dimostrato di possedere saperi e competenze, non possiamo più accontentarci di essere brave», afferma la manager culturale Patrizia Asproni, che è stata tra le protagoniste del live e ha fondato il gruppo Facebook Boycottmanels (3000 iscritti), con cui invita a non partecipare alle conferenze di soli uomini o dove le donne non sono rappresentate in maniera sostanziale.
Congedi di paternità obbligatori Dalle donne partono anche proposte precise alle istitu- zioni, per dire basta con le parole e definire i problemi più ur- genti su cui intervenire, da subito: convinte che i grandi cambia- menti nascono dal basso, da quello che succede in famiglia e nei luoghi di lavoro, le attiviste del movimento Se Non Ora Quando-Libere inviano al premier Conte una petizione su Change.org in cui elencano sei priorità, tra cui congedo obbligatorio di paternità di 75 giorni, incentivi fiscali per l’occupazione e l’imprenditoria femminile, integrazione degli asili nido nel sistema scolastico educativo. Le donne d’impresa, quelle da anni impegnate sui temi della leadership come l’associazione FuoriQuota, si fanno sentire per dire invece che se si vuol ripartire con il piede giusto bisogna puntare sulla VIG, la Valutazione dell’impatto di genere, un processo con cui misurare oggettivamente l’impatto delle decisioni di aziende e istituzioni sulla vita delle donne e degli uomini. Le ultime arrivate in ordine di tempo, pochi giorni fa, sono le partecipanti di “Dalla stessa parte”, rete-laboratorio che ha annunciato proposte concretissime, dal lavoro alla salute all’educazione. L’obiettivo? Molto più che ricostruire l’Italia. «Puntiamo a una nuova Civiltà», dicono le attiviste, «una società umana più giusta, accogliente, meno disuguale, meno aggressiva».
Tutti in classe al più presto La spallata comunicativa più possente la danno però le madri e sì, con loro diversi padri, convinti che i bambini vengano sistematicamente dimenticati dalle istituzioni. Durante il lockdown chiedono per loro “un’ora d’aria” al giorno inviando lettere ai sindaci e, appena è permesso, escono tutti insieme, a migliaia, per grandi proteste popolari – bambini, genitori, insegnanti -, a chiedere la riapertura immediata dei nidi e delle scuole in presenza a settembre. Alla testa c’è, tra le altre, la giornalista, imprenditrice e mamma Cristina Sivieri Tagliabue che, insieme alle due avvocate Diana Palomba e Andrea Catizone metterà poi a punto un ricorso al Tar, ricaduta formale delle proteste nelle piazze.
«Abbiamo trasformato le criticità fa miliari in una grande mobiltazione collettiva. Sono sempre più convinta della centralità dell’educazione civica nelle scuole, per trasmettere la conoscenza dei diritti e dei doveri che comporta l’essere cittadini. Mobilitarsi è tra questi: prima di coinvolgermi in maniera così profonda sul piano personale, io stessa non comprendevo quanto fosse giusto farlo, e in un certo senso mi imbarazzava». E aggiunge l’economista Azzurra Rinaldi, madre di tre bambine: «Il Covid-19 ha fatto deflagrare iniquità e problemi che erano lì, irrisolti da sempre: mobilitarsi è stata la più naturale conseguenza».
Un futuro più equo Ma, a parte l’effetto immediato di ripopolare alcune squadre istituzionali di una (modesta) quota di donne, che risultati ha prodotto l’onda lunga di questa mobilitazione? È riuscita a disegnare un futuro davvero nuovo e più equo, oltre questa emergenza? «Sicuramente è stata efficace sul piano della consapevolezza e ha reso chiari a tutte e a tutti quali siano i problemi da affrontare e la direzione da prendere», dice Rinaldi. «Concordo, abbiamo lavorato sottotraccia, per irrobustire le radici, come fanno gli alberi, ma quanto ai risultati, finora non sono stati granché: quando si sono mossi, i gay hanno ottenuto di più», aggiunge Cristina Sivieri Tagliabue, che è anche co-founder di Le contemporaee, energico think tank sui temi di genere.
Ora servono azioni «Ora occorre agire su un altro piano, e spetterà soprattutto a chi siede in Parlamento farlo: adesso vogliamo le azioni, e anche i soldi per realizzarle, perché questa emergenza sanitaria e la sue conseguenze rischiano di fare arretrare di decenni le donne e la loro condizione. Ecco, mi piacerebbe che parlassimo tutte con più forza di denaro, come si sta facendo in Europa con la petizione Half of It (è stata lanciata dall’eurodeputata dei Verdi tedeschi Alexandra Geese e chiede che la metà del Recovery Fund, il fondo europeo per la ricostruzione post Covid-19, sia destinata alle donne e all’occupazione femminile, ndr)».
E conclude Daniela Carlà di Noi Rete Donne, che peraltro ha proposto due leggi, una per portare la parità di genere nelle nomine pubbliche, l’altra per adeguare la legge Golfo-Mosca sulle quote rosa, allargando la sua applicabilità. «La priorità è che ci siano più donne ovunque e dobbiamo usare tutti gli strumenti per centrare questo risultato. D’altro canto, però, io non credo che debbano esserci delle strategie per rilanciare il Paese e, a lato, strategie pensate appositamente per le donne: temi come inclusione e parità debbono essere trasversali a ogni idea, a ogni progetto, a ogni proposta. Siamo in un momento cruciale, critico e l’esito non è scontato. Ce la faremo solo se faremo le cose giuste».
Inclusione ed equità? Siano in ogni piano di rilancio Paola Mascaro presidente di Valore D: «Lotta ai pregiudizi, proposte concrete, alleanze. Ecco le nostre armi»
Paola Mascaro, executive manager in ambito Comunicazione & Public Affairs, è anche presidente di Valore D, associazione di più di 200 imprese che praticano l’equilibrio e l’inclusione di genere, ed è stata tra le 12 professioniste chiamate dalla ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti a elaborare proposte per “un nuovo Rinascimento”, che riparta dalle donne.
Forse sbagliamo qualcosa nel comunicare, se anche fare parte di una commissione istituzionale diventa una battaglia?
Be’ di base le posizioni di vertice sono in grandissima parte occupate da uomini, che se le tengono strette o chiamano al posto loro chi vogliono, ovvero altri uomini. In generale non direi che c’è una deliberata volontà di escludere le
donne, ma diffusi e spesso inconsapevoli pregiudizi: inclusione e parità di genere non sono state ancora assimilate, ma richiedono ogni volta un ragionamento, uno sforzo mentale nella gran parte delle persone. Valore D opera da tempo nelle scuole, per far comprendere a ragazze e ragazzi i pregiudizi inconsapevoli di cui pure loro sono vittime, perché si formano in tenera età.
Come si fa a compiere battaglie efficaci?
Persistendo, tenendo alta l’attenzione nel lungo periodo, non facendo passare quel che è ritenuto sbagliato. Elaborando proposte. E costruendo alleanze, anche con gli uomini. Qual è un grande errore che si può commettere nel prendere le decisoni per il rilancio dell’Italia? Ritenere che l’inclusione sia “un di più”. Al contrario, bisogna fare passare l’idea che non si devono rilanciare le infrastrutture, fare la riforma della giustizia, diffondere il digitale e, se rimane tempo e soldi, sostenere l’equità di genere: l’inclusione deve essere perseguita dalle istituzioni in ogni azione. E nelle aziende deve fare parte del business.
È per questo che Valore D ha messo a punto, insieme al Politecnico di Milano, lo stumento di misurazione Inclusion Impact Index?
L’inclusion impact index è uno strumento efficace che consente alle aziende di mappare le proprie politiche di diversità e inclusione e di misurarne l’efficacia.
Può diventare uno strumento cruciale se applicato su vasta scala, perché è chiaro che non si può migliorare ciò che non viene misurato.
Lascia un Commento