Movimenti - Nei gruppi “femminili”, “femministi”, “neofemministi” si avverte l’esigenza di parlare e di agire. Vogliamo essere un soggetto politico?
Ribet Elena Giovedi, 24/06/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2010
Apriamo una riflessione sollecitate dall’articolo di Giancarla Codrignani del mese scorso «Il coraggio di innovare/Reti e relazioni vanno ricostituite per resistere alle sconfitte del “divide et impera”» per costruire un dialogo fra: chi è ostile al connubio con la politica, chi tenta di costruire azioni politiche a livello locale, chi è all’interno dei sistemi di potere ancora, perlopiù, in mani maschili.
Per individuare insieme sfide e innovazioni urgenti e necessarie, desideriamo dare la parola a quante intendano contribuire con il loro pensiero, il loro linguaggio, le loro azioni.
Diamo la parola a Elisa Davoglio e Sara Ventroni.
Elisa Davoglio (Livorno, 1976). Poeta, scrittrice, ha pubblicato in riviste italiane e straniere fra cui Atelier, La Stampa, il Manifesto, Des Italiens, Italian Poetry Review. Suo il romanzo “Onore ai diffidati” (Mondadori).
Sara Ventroni (Roma, 1974). Scrittrice e poeta. Ha pubblicato l'opera teatrale "Salomè" (2005) e il libro "Nel Gasometro" (2006). Ha scritto per varie testate giornalistiche e radiofoniche (Rai Radio 2 e Rai Radio 3). Collabora con l'Unità.
ELISA DAVOGLIO
Oggi ci sono tanti gruppi, associazioni, collettivi “femminili”, “neofemministi” ecc. Questa frammentazione è una ricchezza o una debolezza?
Questa frammentazione è ricchezza quando riesce ad essere una capillare rappresentazione della realtà femminile. Diventa debolezza quando non è più veicolo di scambio e di confronto fra donne dai percorsi spesso differenti, ma accomunate da una volontà comune.
Perché questi gruppi, o parti di loro, non riescono a “fare rete”? E il fatto che non riescano, costituisce un problema?
Per "fare rete" forse dovremmo esercitare una consapevolezza maggiore riguardo alle urgenze a cui si deve rispondere assieme. Sarebbe indispensabile trovare un collante fra i gruppi "femminili" che veicoli la necessità di ribadire la nostra presenza con maggiore forza nella vita politica e civile. Parlando però di diritti che debbano riguardare tutte le donne, anche al di là dell'orientamento politico.
Fare rete è indispensabile per diventare un soggetto politico che possa avere voce e autorevolezza nella società?
Più che indispensabile, è vitale. A mio modestissimo parere, ogni gruppo, associazione o collettivo "femminile" o "neo-femminista" dovrebbe strutturare legami forti con altre realtà dedicate al raggiungimento e al consolidamento di diritti rappresentati spesso solo sulla carta del legislatore.
Le donne non dovrebbero più avere paura del "potere", né considerarlo a priori un concetto inaffidabile e poco pulito. Dirò di più: il "potere", o meglio l'effettiva rappresentanza femminile nei massimi livelli dirigenziali in settori nevralgici del nostro paese, non ci renderà migliori o peggiori, né ci renderà delle versioni camuffate di "maschi", come molti tuttologi si ostinano a sostenere.
Ci aiuterà solo a lavorare meglio per noi stesse, e a porci finalmente come essenziali interlocutrici nella vita del nostro paese.
SARA VENTRONI
Oggi ci sono tanti gruppi, associazioni, collettivi “femminili”, “neofemministi” ecc. Questa frammentazione è una ricchezza o una debolezza?
La frammentazione è l’ostacolo principale a iniziative politiche e culturali per le quali servono basi estese e il massimo coinvolgimento da parte delle donne di tutte le età, formazione ed estrazione sociale. Solo attraverso una visione inclusiva - ovvero: solo coordinando le varie prospettive in obiettivi minimi condivisi - si possono gettare le basi per un movimento nazionale, di ampio respiro. Un movimento visibile, riconoscibile, un punto di riferimento tanto per le centinaia di realtà locali quanto per ciascuna singola donna. Un movimento non gerarchico ma orizzontale nel quale metterci in gioco, ciascuna secondo le proprie competenze. In questo modo la frammentazione può essere trasformata in molteplicità di stimoli e obiettivi: proposte legislative, osservatori sul lavoro, identità di genere, integrazione, iniziative culturali. Dentro una visione più ampia e organica i singoli arti possono diventare corpo. E mettersi di nuovo in movimento.
Perché questi gruppi, o parti di loro, non riescono a “fare rete”? E il fatto che non riescano, costituisce un problema?
Tante sono le identità, e tanti e diversi sono i problemi che le donne devono affrontare, dunque è naturale che ciascuna sia attratta dall’associazione che offre il “taglio” su misura. E va benissimo, perché è già qualcosa. Ma non è sufficiente, occorre ingenerare un movimento che rimetta al centro del discorso politico le donne, e la politica al centro della vita delle donne. Alla lunga, l’atomizzazione porta alla chiusura e all’intransigenza. Le prospettive sono talmente pulviscolari che rischiano l’invisibilità: serve un minimo comune multiplo.
Fare rete è indispensabile per diventare un soggetto politico che possa avere voce e autorevolezza nella società?
Da più parti arrivano segnali in questa direzione. Evidentemente, è forte il bisogno di far sentire con chiarezza la nostra presenza, e la determinazione a decidere su quanto ci riguarda.
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