Intervista di Alessia Mocci a Stefania Meneghella: vi presentiamo il romanzo Silenzi Messaggeri
Stefania Meneghella nei suoi silenzi ha intercettato quest’anima - questa forte emozione - impedendo che la storia dei due si perdesse nella dimenticanza. “Silenzi Messaggeri” scaturisce dal bisogno di dar memoria a Jamie e Schlomo, e ci offre la po
Martedi, 08/11/2016 - “Nessuna parola, nessuno sguardo, nessun cenno. Solo silenzio. […] Silenzio che va al di là del tutto, al di là del niente, al di là di due occhi che guardano e sorridono. Nessuna parola. Solo foglie che carezzano volti, vento che scuote pensieri, luce che illumina occhi. […] Nessuna parola. Solo misteri. Misteri che albergano nei cieli, che toccano terre, che sfiorano amori. E venti che suonano musiche silenziose, musiche che attorniano corpi armonici e regalano immensità.” - Prologo - “Silenzi Messaggeri”
Ascoltarsi, insidiare il silenzio per esserne travolti. Svuotare la mente mettendo a fuoco l’intimo, una fotografia che attraversa i mondi lasciando scie, tracce del passaggio, fili che gli animi nobili percorrono per sentirsi a casa.
“Silenzi Messaggeri” edito da Il Filo Gruppo Albatros è la seconda pubblicazione della giovanissima Stefania Meneghella, nata a Bari nel 1994.
L’autrice sin dai sette anni si lascia inebriare dalla scrittura e, precocemente, produce i primi racconti. La prima pubblicazione è del 2012, una raccolta di aforismi per la casa editrice Pensieri e Parole, “Dieci anni di Pensieri e Parole”.
Il romanzo “Silenzi Messaggeri” è un insieme di prosa ed utilizzo di figure retoriche della poesia nel quale, con criterio armonico, si diluiscono insieme silenzi e musica in un procedere di mondi paralleli, di parole che si ripetono, di immagini che ritornano alla mente e che riecheggiano stati d’animo.
Non c’è spazio, non c’è tempo: i due protagonisti, Jamie e Schlomo, si rincorrono attraverso l’assenza di tatto, di vista. È uno scriversi, è un pensarsi costante che lega i due corpi in una sola anima.
Stefania Meneghella nei suoi silenzi ha intercettato quest’anima - questa forte emozione - impedendo che la storia dei due si perdesse nella dimenticanza. “Silenzi Messaggeri” scaturisce dal bisogno di dar memoria a Jamie e Schlomo, e ci offre la possibilità di vivere per un istante l’essenza dell’amore per la vita.
Ed eccovi Stefania che si racconta a noi lettori con una significativa sincerità.
A.M.: Ciao Stefania, è sempre un immenso piacere poter parlare direttamente l’autrice del proprio libro perché mi permette di scoprire curiosità ed aneddoti sulla sua creazione. Mi incuriosisce, infatti, la genesi del titolo del tuo libro “Silenzi Messaggeri”.
Stefania Meneghella: Il piacere è tutto mio. Il titolo del mio romanzo è nato in maniera del tutto spontanea; dopo aver scritto l’ultima parola dell’ultima pagina, ho ripensato a come avrei potuto intitolare il tutto. Ma il nome era già lì, nella testa e nel cuore: “Silenzi Messaggeri”. Il significato risiede nel mio desiderio di comunicare l’importanza del silenzio, un non-luogo che non deve restare in unico posto, ma che deve viaggiare, deve essere appunto “messaggero”, come accade nella storia di Jamie e Schlomo, uniti da fili invisibili che si tramutano in silenzi e che viaggiano attraverso la natura. I silenzi sono così, li troviamo così: in tutto ciò che si muove e che ha la capacità di trasportarsi da un luogo all’altro, da un corpo all’altro, da un’anima all’altra.
A.M.: Il tuo romanzo presenta una dedica importante. Recita: “Alla mia famiglia/ che mi ha insegnato a credere nel silenzio”. Importante sia per l’affetto che mostri ai tuoi familiari sia per il “silenzio” ed il credere in esso, una dote a mio parere che, in questi tempi moderni, dimenticata. Dunque, Stefania, cos’è per te il silenzio e quanto ti ha aiutato nella stesura del romanzo?
Stefania Meneghella: Ho avvertito la necessità di dedicare l’intero libro alla mia famiglia, perché è vero: grazie a loro, ho capito, ho apprezzato il silenzio, che è stato per me fonte d’ispirazione per tutta la mia vita. Ricordo che, durante la mia infanzia, adoravo restare in disparte a pensare e a scrivere. Mia madre mi diceva e mi dice sempre che il modo migliore per migliorarsi nella vita è conoscersi. Dunque, all’epoca gli altri bambini giocavano tra loro, ma io a volte entravo in un mondo tutto mio, ed era grandioso. Non ero asociale, non lo sono mai stata; ma credo che ognuno di noi abbia bisogno di un momento della giornata per ritrovare sé stesso e per capirsi, apprezzarsi, conoscersi. Schlomo, in una delle sue lettere rivolte a Jamie, le dice: “solo in silenzio possiamo fare grandi cose”. È ciò che li accomuna: il silenzio. E, nella storia, loro due sembrano essere gli unici ad aver compreso l’importanza del silenzio, al contrario del resto del mondo che invece sembra averne paura.
A.M.: Presenti la tua protagonista, Jamie, ad incipit di “Silenzi Messaggeri”. Jamie cammina in un paesaggio che si disperde nella neve, immersa nei sui pensieri, nel silenzio del candore che i suoi occhi percepiscono e pensa al significato della vita: “vivere significava qualcosa di molto più grande rispetto al semplice fatto di essere vivi”. Puoi esplicitarci questa differenza fra “vivere” ed “essere vivi”?
Stefania Meneghella: Jamie sembra averla capita prima degli altri questa frase ma, per quanto si sforzi, non riesce a vivere davvero, attanagliata da un passato che le provoca sofferenza. Il paesaggio che la attornia è infatti lo specchio del suo stato d’animo: freddo, ghiacciato. Lei è viva, ma non vive. “Essere vivi” significa per me avere gli occhi aperti, camminare, mangiare, dormire, essere una persona. Ma “vivere” è un’altra cosa: vivere vuol dire esserci pienamente nella vita, camminare con gli occhi rivolti al cielo, fantasticando su quante forme possano assumere le nuvole e cercando il proprio volto; oppure, aspettare la notte solo per addormentarsi e sognare cose che nella realtà non potremmo mai incontrare. Insomma, vivere significa per me riflettere su ogni cosa che la natura ci offre, rifletterci e cambiarci per poter cambiare ciò che ci circonda.
A.M.: Nel terzo capitolo appare Schlomo. Lo scenario è completamente diverso, dalla neve siamo stati catapultati in territori caldi e colorati. La Luna ed il mistero però restano una costante. Schlomo vive nel mondo dei pensieri, è affascinato dalla possibile creazione di questi nella realtà. Che cosa significa esattamente estrapolare il pensiero per farlo divenire Luna?
Stefania Meneghella: Schlomo vive in un mondo costruito da sé stesso, un mondo completamente distante da ciò che lo circonda: è il mondo dei suoi pensieri. Nessuno lo capisce, nessuno lo conosce davvero. Tranne Jamie e la Luna. Quest’ultima è un elemento molto presente nel romanzo, che ci ricorda che siamo un tutt’uno con il cielo e con ciò che conta davvero. Schlomo la guarda in ogni momento, soprattutto quando si sente solo; per lui non è solo un satellite che compare nel cielo ogni notte; è molto di più. A volte, la Luna prende l’aspetto del volto di Jamie, a volte del volto del padre. Due persone, loro, che non sono fisicamente vicino a Schlomo e di cui lui sente una mancanza costante. La Luna rappresenta per lui quindi l’emblema di quel mondo che si è costruito solo attraverso i suoi pensieri, un punto di riferimento, quasi un amico che lo sostiene negli attimi di difficoltà, una guida che lo accompagna nel suo percorso un po’ tortuoso.
A.M.: Schlomo e Jamie si incontrano per la prima volta nel 1996. È un incontro “magico”, ci puoi raccontare perché avviene e quali particolarità ha?
Stefania Meneghella: Una particolarità è che – lo rivelo per la prima volta - Jamie e Schlomo esistono davvero; dunque, la descrizione di quell’attimo non è stata pienamente dettata dalla fantasia, ma da un pizzico di realtà che spesso diventa molto più “magica” di ciò che crediamo. Ho voluto lasciare una sfumatura di mistero sul loro incontro, proprio perché il loro è stato un legame misterioso sin dall’inizio. I due vivono in due città diverse e completamente distanti ma, nonostante questo, i loro destini si uniscono una sera d’estate. Era una festa a cui Jamie non doveva andarci, non voleva. Nel libro, non descrivo dettagliatamente perché si trovasse lì quella sera, e come quelle due città così distanti si siano unite in un unico luogo. È stato un incontro di due anime separate, con vite separate, con passati separati, che per un secondo si sono incontrate e hanno deciso di sfiorarsi. Forse risiede proprio qui la magia di quel momento: nell’imprevedibilità del loro sguardo.
A.M.: “Fili invisibili nascere,/ silenzi crescere,/ anime incontrarsi.” È con questi tre versi che concludi diversi capitoli del tuo romanzo. Come nascono e che cosa rappresentano? Ed un’altra domanda mi sorge spontanea: ti diletti anche nella scrittura di poesie?
Stefania Meneghella: Sì, scrivo anche poesie, anche se non in modo continuativo come la stesura di storie in prosa. Ho sempre amato la poesia: per questo ho voluto creare uno stile che io chiamo “prosa in poesia”. Per me la poesia è ovunque, e non può, non deve essere isolata da altri generi letterari. Con i tre versi che utilizzo per concludere vari capitoli del libro, ho voluto dividere l’intera storia di Jamie e Schlomo in tre fasi che, per essere pienamente comprese, occorre chiudere gli occhi e catapultarsi pienamente nelle mie pagine. Ci sono due anime diverse che vivono storie che, apparentemente, non si incontreranno mai. Due luoghi, due corpi, due sogni, due vite. Tutto in due. Lentamente, pian piano, da uno sguardo, iniziano a nascere dei fili. Invisibili. Nessuno li vede, nessuno li conosce. Due fili che fanno crescere i silenzi che sono, appunto, “messaggeri”. E, proprio il loro vagare da un luogo all’altro, rende possibile l’incontro di quelle due anime, che non è un incontro di corpi, ma di spiriti, di sogni, di ciò che si ha dentro. Ha vita così un legame.
A.M.: La peculiarità più evidente che posso scorgere dalla lettura di “Silenzi Messaggeri” è l’uso costante della ripetizione, quasi come se questo tuo narrare fosse canto o una melodia che proviene dal passato, quasi come se fosse una storia che da millenni si sia tramandata di bocca in bocca, di pensiero e pensiero cercando uno scioglimento dall’oscurità della dimenticanza.
Stefania Meneghella: L’utilizzo di questo stile ripetitivo è in realtà ad interpretazione libera, ma tra i tanti significati che vorrei esprimere c’è anche questo. Il rendere tutta la storia una leggenda, una filastrocca, un inno alla vita e alla speranza. Inoltre, importante per me è il senso che ho voluto dare alle emozioni dell’anima, siano esse positive o negative. Tutto va per poi ritornare, come un circolo di sentimenti. Il dolore che prova Jamie non la abbandona mai; dunque ritorna sempre nel suo inconscio in modo non indifferente. Lo stesso accade per i pensieri, o per l’amore, qualcosa di non statico, ma che si muove in continuazione. Penso che noi possiamo imparare tanto dalle parole, e che nella nostra mente ci sia sempre questo fluire di pensieri che non ci abbandona mai.
A.M.: Qual è l’ultimo libro che hai letto? E quale leggerai stanotte? Oppure sei nuovamente in fase creativa per la prossima pubblicazione? Ci puoi anticipare qualcosa?
Stefania Meneghella: Al momento sto leggendo “Ogni mattina a Jenin” di Susan Abulhawa, un romanzo che tratta il continuo conflitto tra Israele e Palestina, e con esso le lotte e i sacrifici di chi ha perso e sta perdendo tutto ciò che aveva di più caro. Ho in mente tante storie da raccontare, tante idee che vorrei potessero concretizzarsi presto. Ma, per ora, non posso rivelare ancora nulla.
A.M.: Hai in programma qualche presentazione o fiera letteraria nella quale sarà possibile incontrarti e magari acquistare una copia autografata del tuo “Silenzi Messaggeri”?
Stefania Meneghella: Il mio libro sarà certamente presente, dal 7 all’11 dicembre, alla Fiera del libro di Roma. Dal 18 al 22 maggio 2017, sarò invece alla Fiera Internazionale del libro di Torino. Sono in cantiere una serie di presentazioni quindi seguitemi sul mio sito web per restare aggiornati!
A.M.: Di norma, mi piace terminare le mie interviste con una semplice richiesta: una citazione a te cara.
Stefania Meneghella: Mi piacerebbe concludere l’intervista con una poesia scritta da Virginia Woolf, mia musa letteraria e punto di riferimento in tutto ciò che faccio e che scrivo. È una poesia che, apparentemente, potrebbe incutere malinconia ma che, personalmente, mi induce a credere nell’eternità dei sentimenti.
“Guardare la vita/ In faccia,/ sempre,/ guardare la vita,/ in faccia,/ e conoscerla,/ per quello che è;/ al fine,/ conoscerla,/ amarla,/ per quello che è,/ e poi,/ metterla da parte./ Per sempre, gli anni che abbiamo trascorso./ Per sempre, gli anni./ Per sempre, l’amore./ Per sempre, le ore”. “Le ore” - Virginia Woolf
A.M.: Stefania ti ringrazio per la splendida poesia che mi hai fatto rammentare e per esserti aperta a me ed ai nostri lettori. E credo che la miglior “fine” di questo nostro dialogare sia un estratto di “Silenzi Messaggeri” che da qualche giorno mi riecheggia nella mente: “La fine del silenzio avviene nell’esatto momento in cui il mondo diviene caos, diviene lotta continua, battaglia tra chi si è e chi si deve essere; avviene quando pugni sostituiscono carezze, quando sguardi divengono armi per combattere, e tutto assume l’aspetto di un’illusione. Un’illusione che porta a non credere, non sognare, non sperare. Un’illusione che porta via quel silenzio insito nell’anima, la fine dell’eternità. Il per sempre esiste solo con il silenzio; il silenzio esiste solo con la natura. E chiudere occhi, attorniati dal vento che scuote capelli, dalla luce che illumina occhi, dalle foglie che carezzano volti; e sognare, sognare amori che non hanno ancora la forza di morire, sognare qualcuno che ci prenda per mano e ci porti in una vita di silenzi, in una vita di prati verdi e fiori che, nonostante tutto, sbocciano in primavera, come albe al mattino, come Soli che tramontano e risorgono ogni giorno. Nessuna parola, nessuno sguardo, nessun cenno. Solo silenzio.”
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