Venerdi, 25/11/2016 - Il 25 novembre celebriamo la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne; perché questa data? La scelta risale ad una decisione di un gruppo di donne attiviste nel lontano 1981 che vollero ricordare un episodio di efferata violenza commesso dal regime dittatoriale della Repubblica Domenicana nel 1960 su tre sorelle che avevano tentato di contrastarlo e, grazie all'Assemblea delle Nazioni Unite, è stata ufficializzata nel 1999. In Italia comincia ad essere celebrata solo dal 2005. Dall'America latina si è levato dunque il primo grido di protesta contro la violenza sulle donne ed è giunto fino a noi, negli anni in cui il nostro Paese e tutta l'Europa si sono trovati costretti ad aprire gli occhi su un fenomeno in crescente aumento che rivela preoccupanti risvolti culturali e sociali. E dall'America latina, precisamente dall'Uruguay, Milton Fernandez è giunto in Italia, dove attualmente vive e lavora. Attore, mimo, regista teatrale, ma anche scrittore e poeta, ha pubblicato diverse opere tra cui Fattebenefratteli (2001 - Premio concorso Terre di mezzo), Versi randagi (Gedit - 2004 – Primo premio Dipartimento di Italianistica dell'Università di Bologna - Rayuela Edizioni, 2013), Bracadà (Mangrovie Edizioni - 2008), Sapessi, Sebastiano... (Rayuela Edizioni, 2011), Per arrivare a sera (Rayuela Edizioni, 2012), Sua maestà Il Calcio (Rayuela Edizioni, 2013), ed è direttore artistico del Festival della Letteratura di Milano. Oggi per Noidonne Milton ci parla del suo ultimo libro Donne - pazze, sognatrici, rivoluzionarie… (Rayuela edizioni, 2015) un mosaico di ritratti femminili dai quattro angoli della Terra, che si sono ribellate all'ordine precostituito e agli stereotipi ed hanno sfidato le regole sociali, pagandone spesso le conseguenze a caro prezzo.
Milton, il tuo è un libro che dà voce a donne diverse, famose o sconosciute, intellettuali o donne del popolo, perché questa scelta?
Di quelle voci, quelle storie, siamo stati derubati tutti quanti. Le donne, perché costituiscono la testimonianza del proprio percorso, in eterno divenire. Noi, maschi, perché di quella storia, che sarebbe sempre la nostra, siamo rimasti fuori dalla porta; perché questa nostra sordità – imposta o consenziente- ci ha resi orfani di un'umanità di cui avremmo dovuto essere parte; perché saremmo cresciuti meglio – ne sono convinto. Non è mai troppo tardi. Come diceva una giornalista colombiana di cui parlo nel libro, sono gli uomini che bisogna cambiare, se vogliamo cambiare la cronaca della violenza sulle donne.
Chi sono i destinatari di questo libro e perché?
Non ho mai pensato a un destinatario in particolare. Alcune storie erano lì, dentro di me, e premevano per uscire. Altre se ne sono aggiunte, strada facendo, e hanno preso il timone. Vorrei lo leggessero le donne, come un dialogo tra loro e me, come un tratto di strada insieme. E vorrei lo facessero leggere ai loro uomini, piccoli e grandi, e che da questo nascessero delle domande. Ecco, credo sia questo il miglior destino che potrei augurare a questo mio libro. Essere un portatore sano di domande che da tempo erano lì, in attesa di una spolverata. Niente di nuovo, ma con delle sorprese che alle volte possano toglierci il fiato.
Quali sono i modelli offerti dalla società odierna?
E’ un universo variegato, in una cultura in costante evoluzione, dove i modelli dominanti possono contare su enormi mezzi di coercizione collettiva, ma dove esistono notevoli realtà di resistenza. Bisogna fare a meno dei mezzi di (in)comunicazione massiva per cercare di capire il fenomeno della violenza sulle donne. Lo sappiamo, credo, tutti quanti, che il ruolo della donna oggi ha poco a che vedere con quello che ci propina la televisione, ma sarebbe necessaria una maggior voglia di conoscenza, un minimo di curiosità in più, per cercare di capire quale sia la vera condizione femminile oggi. Ad esempio, pochi sanno che oggi solo diciassette Paesi in Europa tengono il conto di quante donne muoiono ogni giorno nel mondo intero per mano di un uomo. Ogni 8 minuti una donna muore, assassinata, in questa fetta di mondo che porta il nome di una donna, Europa, e solo per il fatto di essere una donna.
A tuo avviso in quali termini si deve parlare oggi di uguaglianza di genere?
Sarebbe da ripensare la nostra decantata superiorità intellettuale sulle altre specie animali soltanto alla luce di questo aspetto. Credo sia del 1791 la Dichiarazione dei Diritti della donna e della cittadinanza. Ma qualche anno più tardi, nel 1804, il Codice Napoleonico disconosceva quei principi, e stabiliva l’obbligo della donna di ubbidire all’autorità degli uomini. C'è ancora molta strada da fare e spero se ne continui a parlare, per quanto ci possa sembrare anacronistico. Ne va dell'esistenza della nostra specie.
Quanto influisce la tua condizione di scrittore biculturale sulla tua scrittura?
Non so quanto si possa definire biculturale la mia condizione. Sono convinto che la cultura sia una, al di là delle provenienze, dei traslochi, delle transumanze esistenziali. In ogni momento della nostra storia siamo culturalmente in movimento. Certo, ci sono due (alle volte tre) lingue che cercano una pacifica convivenza dentro di me, e non sempre la trovano. Ma ciascuno di noi è il prodotto di un meticciato culturale nel quale confluiscono vivenza, sonorità, assenze, nostalgie. E, in qualsiasi campo, il nostro lavoro risentirà – si arricchirà – di tutte queste componenti. Ecco, se qualcosa penso mi sia stato trasmesso da questa mia alterità, è la mia incapacità di adattarmi ai confini. Penso ai miei mondi come un qui e ora. So di appartenere a entrambi, e forse a tanti altri. Un po’ straniero e un po’ di casa in qualsiasi casa. Di questo scrivo. E, direi, vivo.
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