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Intervista a Rita Castellani

Intervista a Rita Castellani

Ma cos’è questa crisi/3 Uno sviluppo diverso - "L’affidabilità delle donne nasce dalla responsabilità: un diffuso protagonismo delle donne può dunque rivelarsi prezioso in tempi di crisi, determinando nel contempo una migliore qualità dello

Redazione Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2009

Rita Castellani è Docente di Economia Politica presso il Dipartimento di Economia, Finanza e Statistica dell'Università degli Studi di Perugia. L’abbiamo intervistata per avere le sue opinioni e alcuni chiarimenti.


Come si potrebbe analizzare l’attuale crisi economica?
Il modello di analisi che guida le politiche economiche nei paesi a economia di mercato manca oggi di termini adatti a descrivere questa crisi. Dal punto di vista dell'economia globale, il confronto è con quella che un tempo si sarebbe chiamata crisi di sovrapproduzione, dovuta cioè ad un eccesso di accumulazione di capitale che ha finito con l'impedirne una redistribuzione efficiente.

Quali sono secondo lei le emergenze a livello nazionale e internazionale?
Credo che l’approccio corretto non sia quello di considerare l’attuale crisi come un’emergenza. Questo non vuol dire che non ci si debba attrezzare con misure di breve periodo per tamponare la sofferenza sociale e altri fenomeni contingenti. Dopo i mutui non solvibili del settore immobiliare americano, sono state immesse enormi quantità di liquidità per sostenere il mercato, ma tra un anno potremmo essere al punto di prima, se non si inserisce un nuovo sistema di regolazione nel mercato finanziario, peraltro invocato già dal 1946. Le monete non sono ancorate a niente, sono solo numerari e mezzi di scambio: sembrerebbe raggiunto l'ideale monetarista. In realtà lo spostamento di moneta determina ancora spostamenti di ricchezza, se pure attraverso meccanismi più complessi, quindi ha effetti sull’economia reale.

Questa crisi, se e come ci aiuterà ad uscire dal 'fondamentalismo economico': cioè della preminenza assoluta dell'economia anche sulla politica che ormai, soprattutto negli ultimi anni, ci ha pervaso?
Dobbiamo trovare un diverso modo di concepire lo sviluppo: intanto, bisognerebbe promuovere una redistribuzione delle risorse, anche a livello internazionale. Ad esempio, i cinesi dovrebbero riequilibrare consumi e produzione. Poi c’è la questione del rapporto tra pubblico e privato. Quasi ovunque, nel mondo, sono stati diminuiti i poteri di intervento e di regolazione dello stato: quando ora si chiede allo stato di intervenire, spesso lo stato dispone di strumenti limitati, frutto di trent’anni di ‘pensiero unico’, del cosiddetto Washington Consensus [espressione coniata nel 1989 dall'economista John Williamson per descrivere un ‘pacchetto di riforme standard’, di stampo neoliberista,destinate a paesi in stato di crisi economica, indicato da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, e resa famosa dalla critica decisiva del premio nobel Joseph Stiglitz. NdR ]. Anche per questo, e per l'estensione della crisi, sarebbe necessario una strategia di intervento concordata a livello internazionale. Ma, anche limitandosi all'Europa, mi pare che non ci sia ancora la necessaria determinazione.

A suo parere le teorie dell’ecofemminismo sono applicabili e possono rappresentare un nuovo modello economico? E il ruolo delle donne può essere determinante nelle politiche economiche del futuro?
Io penso che non bisogna dimenticare che l’emancipazione femminile è figlia dell’energia elettrica. La capacità e la possibilità di autodeterminazione e di libertà di movimento e di pensiero delle persone dipendono molto dalla quantità e qualità di tempo che si può avere a disposizione, e quello delle donne si è moltiplicato grazie al progresso tecnico applicato alla vita domestica. Questa consapevolezza fa ormai parte della common knowledge femminile, almeno nel mondo occidentale.
Le donne, tuttavia, mantengono la capacità di anteporre la cura, rispetto all’appropriazione. Nell'atteggiamento femminile, prevale una conseguenzialità del tipo: ‘io sono responsabile di qualcosa, e siccome ne sono responsabile, questa cosa è mia’. Nel pensiero maschile più spesso avviene il contrario: ‘questa cosa è mia, quindi ne sono responsabile’. La donna prima assume la responsabilità e attraverso la responsabilità acquisisce. Questo approccio, nelle femministe ed ecofemministe, si traduce in una diversa attenzione e rispetto nei confronti del mondo circostante, delle risorse, delle persone. Ciò non significa che non si continuino a utilizzare le risorse della natura, ma cambia il modo.
Del resto, il senso di responsabilità delle donne comincia già ad essere considerato un fattore di sviluppo: pensiamo ad esempio al microcredito, che viene concesso prevalentemente alle donne, perché lo restituiscono.
L’affidabilità delle donne nasce dalla responsabilità: un diffuso protagonismo delle donne può dunque rivelarsi prezioso in tempi di crisi, determinando nel contempo una migliore qualità dello sviluppo futuro.

a cura di Elena Ribet e Nadia Angelucci

(2 marzo 2009)

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