Sul numero di maggio 2010 di Noidonne è uscita la recensione a “Il campo dei colchici” (Edizioni Joker, Novi Ligure 2009) di Maria Gabriella Giovannelli, un romanzo condotto sul filo del thrilling che narra, sullo sfondo delle Dolomiti, una vicenda di abusi. Per approfondire alcune tematiche del libro si è intervistata la scrittrice, che oltre che narratrice è anche giornalista, autrice e regista teatrale.
D) Uno dei temi del romanzo è la violenza domestica, un tipo di violenza che spesso le donne non denunciano per timore di ritorsioni in famiglia. Cosa è significato affrontare questo argomento attraverso una narrazione?
R) Albert Einstein afferma che “il mondo è pericoloso non a causa di chi fa del male, ma a causa di chi guarda e lascia fare”. La violenza fisica e in particolar modo quella psicologica che accade all’interno delle mura domestiche è un problema che coinvolge un numero elevato di donne, ma è un problema spesso “sommerso”, del quale si parla poco. Spesso solo i fatti estremi, quelli che arrivano sulle pagine della cronaca nera colpiscono l’opinione pubblica. Ritengo quindi che sia importante portare le persone a riflettere su tale tematica con tutti i mezzi possibili, compresa la narrativa. Attraverso la forma letteraria del romanzo ho potuto ed ho voluto introdurre gradualmente il lettore alla tematica della violenza; ho raccontato una storia con i suoi fatti di vita quotidiana, spesso permeati da un’apparentemente inspiegabile inquietudine, dettata da un oscuro mistero le cui cause vengono fatte da prima solo intuire e poi svelate chiaramente. Ciò mi ha permesso di costringere il lettore a riflettere non solo sull’esistenza di questa realtà, ma anche sulle numerose conseguenze che ne derivano.
D) Affrontare i postumi della violenza significa fare piazza pulita nella propria vita, scoprire se stessi e trovare l’amore. Come a dire che chi subisce violenza viene devastata nella sua interezza e non può che ripartire da questo grado zero. Concorda?
R) Trovare dentro di sé la forza per reagire, per uscire dal “proprio inferno” e fare il percorso di ricostruzione dell’autostima, spesso è una strada lunga, difficile da seguire, soprattutto se la donna è lasciata sola, ma è l’unica percorribile per affrontare e superare i postumi causati da una violenza psicologica e fisica. L’unica soluzione possibile è ripartire da zero e ciò significa riuscire ad interrompere la convivenza con il proprio carnefice, guarire le ferite profonde all’interno del proprio io, ritrovare la forza di guardare al futuro, ritornando ad amare se stesse. Laddove c’è violenza vuoi fisica, vuoi psicologica, la donna tende a diminuire la propria autostima ed a cascata ad aver paura di essere giudicata male, di non essere creduta dai suoi stessi familiari; arriva a sentirsi colpevole per quanto accade. L’isolamento in cui spesso la donna cade, la poca fiducia nei provvedimenti da parte delle autorità deputate a ricevere le denunce, complicano la situazione di incertezza e di paura cui è soggetta la vittima, che non riesce a trovare la strada per uscire da questa realtà sommersa. Ritrovare un proprio equilibrio implica un cammino a ritroso, con il quale consapevolmente si elimina il passato. Forse un nuovo rapporto d’amore sano ed equilibrato può essere determinante.
D) Il protagonista e io narrante è un uomo. Perché questa scelta? Come si è trovata ad assumere questo punto di vista?
R) Nella stesura della narrazione non ho voluto che il dramma umano, di cui è vittima la protagonista Anna, venisse raccontato in prima persona da lei, perché inevitabilmente sarebbe stato svelato subito al lettore. Ho preferito che i fatti venissero raccontati da un io narrante uomo in modo che il lettore li scoprisse per gradi, ne fosse quasi coinvolto e fosse portato a riflettere sul tema della violenza e sulle sue terribili implicazioni. L’io narrante è anche la figura maschile positiva che nel racconto si contrappone a quella negativa, violenta e che diventa la reale possibilità per Anna per ripartire da zero e per ritrovare se stessa, la propria dignità di donna e di madre. Narrare poi la vicenda, cercando di vederla sotto un punto di vista di un uomo, ha comportato da parte mia lo sforzo di cercare di entrare nella sua psicologia e nel suo modo di pensare, esercizio che mi è consono per la mia attività di analisi dei personaggi in ambito teatrale.
D) Ci sono altri progetti nel suo futuro di scrittrice che riguardano aspetti specifici del femminile?
R) Sì. Sto scrivendo un nuovo romanzo che ha come nucleo il tema della maternità e del rapporto di accettazione e di rifiuto tra madre e figlio. Una neo mamma si ritrova sola con il proprio figlio; questa esperienza le permette di riscoprire se stessa, le sue paure, le sue ansie, l’amore per una nuova vita e nello stesso tempo altro: la paura di inadeguatezza nel gestire il proprio ruolo o il rifiuto del ruolo stesso. Diventare madre non è sempre un processo naturale, inserito nel ciclo vitale.
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