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Intervista a Isabella Lagattolla

Intervista a Isabella Lagattolla

Il Festival delle Colline - Animatrice accanto a Sergio Ariotti di questa rassegna nata come un capriccio estivo tredici anni fra boschetti e dimore signorili e diventata oggi una raffinata vetrina internazionale allestita quasi interamente a Torino…

Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2008

Dalle lucciole nel verde collinare ai riflettori nei palcoscenici cittadini: il Festival delle Colline torinesi, non più disseminato sotto le stelle, ora che ha amplificato il dialogo con importanti operatori e artisti teatrali di tutto il mondo, si dispiega in altri spazi più adatti ai suoi partner internazionali .
Isabella Lagattolla è l’animatrice accanto a Sergio Ariotti di questa rassegna nata come un capriccio estivo tredici anni fra boschetti e dimore signorili e diventata oggi una raffinata vetrina internazionale allestita quasi interamente a Torino. La metamorfosi è preso spiegata: «Un cambiamento si è imposto da un lato per l’umidità notturna, le zanzare e le piogge estive; dall’altro per una naturale evoluzione nella scelta degli spettacoli. Nei primi anni il festival, rivolto ad un pubblico ristretto, proponeva rapporti ravvicinati con attrici e attori impegnati in recital e monologhi. Con un indirizzo che è andato definendosi verso il teatro contemporaneo e per il moltiplicarsi delle contaminazioni artistiche si sono resi necessari palcoscenici diversi, più ampi e più attrezzati. Inoltre si è manifestata chiaramente la preferenza degli spettatori per i teatri cittadini agevolmente raggiungibili rispetto a siti più distanti e scomodi malgrado il servizio delle navette messe a disposizione dal festival.

Nelle quattro settimane fitte di programmi, quali sono gli spettacoli di punta e perché?
Partirei dalla fine, e cioè dal progetto Non essere su Amleto di Antonio Latella, perché sotto tutti i punti di vista è lo spettacolo più importante di tutte le edizioni del festival. Sono undici stazioni, presentate in sei giorni diversi al Teatro Astra, dal 22 al 27 e unite la notte del 28 con una versione integrale. Questa operazione, provata tutto a Torino dall’intera compagnia, forse rappresenterà un unicum, perché la giornata in integrale per ora è prevista solo al Mittlefest e perché nella stagione invernale non potrà essere rappresentata nello stesso modo. Di sicuro è da vedere l’elaborazione e l’interpretazione di Valter Malosti di un testo inedito di Giovanni Testori, Passio Laetitiae et Felicitatis. Con lui recita Laura Marinoni, un’attrice eccezionale, veramente toccante. Aggiungerei La natura delle cose, uno di quegli spettacoli singolari di Renato Cuocolo e Roberta Bosetti in cui questa sensibilissima attrice, racconta la vita davanti a poche persone, non su un palcoscenico, ma in una casa privata per ora segreta adibita all’occasione. Nel cartellone figura anche una sezione chiamata Carta Bianca, tre giorni di confronto fra il nostro teatro e quello francese.

Qual è il criterio guida nelle scelte degli spettacoli di un festival come questo ?
Di sicuro la contemporaneità, l’attualità anche se questo vuol dire tutto e nulla, perché tutti gli spettacoli sono “contemporanei”. Anche in questa edizione, come negli ultimi anni, abbiamo privilegiato gli spettacoli che contenessero più linguaggi al loro interno, tali da potere offrire i risultati di ricerche diverse di linguaggi e di stili. Anche con tocchi espressionisti come quelli di Emma Dante o stranianti e radicali e poderosi come Rientra ‘U Cuori dei siciliani Suttascupa».

Cambiano i gusti del pubblico con lo scorrere degli anni?
Sì, i gusti si orientano verso la contaminazione dei linguaggi. Io credo che quando si offre danza-teatro, circo-teatro, il pubblico sia più attirato. Lo provano anche le richieste che ci vengono rivolte.

Se la lingua non è l’italiano, il pubblico accetta le didascalie?
Direi di sì, anche se personalmente preferirei avere tutti gli spettacoli non sopratitolati per fare gustare un lavoro com’è nato. Ma il pubblico dopo l’iniziativa di apporre le scritte luminose con la traduzione italiana ci ha molto ringraziato. Quest’anno abbiamo cercato di semplificare per non imporre troppa lettura veloce a scapito dell’azione.

Lei ha visto tutto quello che è programmato nel cartellone o si è affidata anche ai critici?
Di quello che propone il cartellone ho visto il più possibile, i nuovi spettacoli li sto vedendo durante le prove e in alcune cose mi sono affidata alle segnalazioni dei critici e di amici.

Sono previste delle tournée?
Speriamo proprio che le rappresentazioni continuino tutte. Anche se per qualcuna, come l’Amleto, cambierà la formula.

Negli ultimi tempi qualche lavoro l’ha lasciata davvero ammirata?
Lo studio di Antonio Latella su Medea di due anni fa, uno spettacolo che quest’anno ha meritato il premio Ubu, condiviso con il Festival. Con poco testo, interpretato da un’attrice che era anche un’acrobata, offriva una bella commistione di linguaggi. È stato il primo inizio di rapporto con questo eccellente regista che negli ultimi anni del festival ne ha segnato anche in parte il cambiamento e ne è divenuto presenza costante. Altro ritorno è Emma Dante con Vita mia e Egumteatro con Che tragedia! fatto da due validissimi giovani, Annalisa Bianco e Virginio Liberti. Cito ancora La Pesca dell’argentino Ricardo Bartís, una prima europea e il ritorno dei mediorientali, il libanese Rabih Mroué e Amir Reza Koohestani, un regista iraniano che in ottanta minuti attraversa con un racconto più di cento anni.

Siete in due nelle scelte artistiche. Chi ha l’ultima parola? Chi indirizza o ha più peso?
Tutto è al cinquanta per cento, in realtà. A volte i gusti divergono; tutto sta a confrontarsi argomentando e dando un ordine a preferenze e motivazioni. Ma per carattere, se io sposo uno spettacolo, lo sostengo fino in fondo e sono determinata a diffonderlo.

Qualche delusione?
Più che delusione, qualche compagnia con cui non è scattatati il rapporto e non si è stabilito il feeling, che deve essere immediato, dato che non si tratta di una stagione, ma di una rassegna.

Il Festival delle Colline e alcuni suoi partecipanti si sono attirati una pioggia di riconoscimenti. Non solo Antonio Latella, ma anche il bravissimo artista e regista calabrese Saverio La Ruina.
Sì, lo ha vinto con Disonorata. Il suo monologo è stato premiato come miglior testo italiano e migliore interpretazione. Quest’anno non aveva una novità pronta per noi; così l’intesa è per l’edizione che verrà. Invece il nostro festival ha avuto il premio speciale motivato dalla continuità dell’impegno alla ricerca di nuovi linguaggi.

Info: www.festivaldellecolline.it – tel 011 197 402 52

(10 giugno 2008)

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