Torino/ Fiera del libro - "Alla cieca", l’ultimo romanzo di Claudio Magris, è un affresco sul crollo delle illusioni e delle identità individuali e collettive
Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2005
Alla cieca, il più recente romanzo di Claudio Magris, è un grandioso, appassionato e a tratti grottesco affresco sul crollo delle illusioni e delle identità individuali e collettive. Per l’intreccio delle situazioni, il groviglio dei racconti, il gioco complesso delle evocazioni e dei rimandi, questo libro che narra di un oscuro militante comunista travolto da avvenimenti più ciechi della sua fede incrollabile, richiede impegno e complicità dal parte del lettore. Quando ci si inoltra nella ricchezza immensa delle prime pagine, l’equilibrio narrativo sembra oscillare e l’impressione è quella di una navigazione senza bussola. Ma dopo il primo sconcerto, insistendo nella lettura, il racconto che appariva avvolto in un gorgo senza fondo, rivela tutta l’unità e la grandezza che lo rendono unico. Il suo tessuto, ricco di tinte ora sfumate ora violente, si dilata pagina dopo pagina nello spazio e nel tempo, come se una enorme folata di vento o un’onda gigantesca lo distendesse lasciando scorgere il profilo del protagonista, sobbalzato in luoghi e ed epoche diverse insieme ai contorni delle proprie e altrui vicende. A questo punto, conviene abbandonarsi al ritmo di una narrazione complessa, alle sue delicatezze impalpabili e alle sue violenze espressive, alle sconnessioni e alle impennate improvvise, alle profondità ai vertici aguzzi che presenta: emergerà così il filo di un racconto senza confini, tenuto comunque saldamente dall’autore attraverso le dita nervose del protagonista.
Si tratta di un uomo nato in Tasmania da padre italiano, custodito in un istituto di igiene mentale dell’Istria, il quale, calzando tanti altri nomi insieme al suo – Salvatore Cippico - si abbandona ad un inesausto monologo interiore, una ragnatela senza confini tessuta davanti ad un computer e a un registratore. Comunista senza il beneficio del dubbio, emigrato nel 1947 in Jugoslavia, il protagonista, dominato da confusione, dolore e rabbia, lascia scorrere un flusso di rivelazioni. E intanto la sua personalità segnata da esperienze di prigionie e di violenze, si frantuma in una costellazione di identità che gli assomigliano e con lui si identificano. Fedele ai suoi ideali, ripetutamente arrestato e deportato con motivazioni opposte, nelle rievocazioni tormentate descrive tutti gli uomini che crede di avere impersonato, le donne (o forse l’unica donna) oggetto del suo amore, le situazioni, i paesaggi storici e geografici in cui gli innumerevoli personaggi simili a lui si trovano immersi, il tempo degli episodi richiamati alla memoria: tempi di guerre, dalla Spagna alla Jugoslavia, di guerriglie e di resistenze, di internamenti in campi di concentramento di segno opposto (dall’Isola Calva a Dachau), tempi di convinta adesione ad un ideale rivoluzionario che si rivelerà un’utopia, una fonte di sofferenze fisiche e morali anche inflitte dai compagni. L’uomo deluso, ingannato e confuso nella sua identità sbriciolata, è divenuto un clone che riassume in sé tutti i traditi, i ribelli, i fuggiaschi.
Il libro è densissimo di presenze, di episodi, di risonanze, di rimandi, di paesaggi (quelli nordici sono i più belli e struggenti). E soprattutto parla di uomini e donne segnati a fondo dalle loro intensità emotive. I frammenti di immagini e di identità non sembrano ricomporsi nel segno della speranza, perché in tanta deriva è difficile trovare un barlume di luce per tirare avanti. Forse non c’è sbocco o forse bisogna mettersi comunque in cammino anche senza la scorta degli ideali, puntando comunque nella dignità e nella capacità di riscatto dell’essere umano. Il riconoscimento di un significato etico, in questa storia di un vecchio compagno che impersona altri uomini immersi nelle catastrofi, nel fallimento di un’utopia politica punteggiata di piccole narrazioni probabilmente è affidato alla sensibilità del lettore.
Alla cieca è un libro che va conquistato. Le pagine non scorrono facilmente: sono frequenti le deviazioni, le similitudini (come la polena della copertina che adombra il Mir sovietico) e le citazioni mitologiche (il Vello d’oro delle Argonautiche si sovrappone alla bandiera rossa). Ma anche gli incisi rifulgono di una luminosa bellezza e con il loro colore, la musicalità e le atmosfere esaltano alla qualità letteraria di un libro assolutamente unico, dove si intrecciano una fisicità densa di odori e di umori e una energica tensione spirituale, un linguaggio nobile e l’espressione popolare.
Il mondo va avanti così, costruendo mattone su mattone disastri immani: questa sembra essere la profezia sconsolata dell’autore. Davanti a nostri occhi aperti o bendati si para la follia del mondo. Ma Claudio Magris, che qualcuno ha chiamato “pastore della narrazione”, che con la sua scrittura “diurna e notturna” ci mette di fronte alle nostre ambiguità, in questo romanzo esalta anche la capacità di resistenza, solida e tenace fino alla disperazione, che è un segno commovente della nobiltà e della forza dell’essere umano.
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