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Ingrid Betancourt

Ingrid Betancourt

La Donna del mese - "A dispetto di quanti vogliono dipingerla come una donna allo stremo delle forze, che non ha neanche più la capacità di ragionare coerentemente, è ancora in grado di compiere un’analisi rigorosa sulla situazione."

Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2008

Tre ostaggi liberati, tra cui un bambino, dopo anni di prigionia nella giungla in mano alle FARC; gioia delle famiglie, soddisfazione di Chávez, dimostrazione di voler collaborare da parte della guerriglia e di Uribe. Ma nella selva colombiana, in un luogo che deve somigliare molto al paradiso, Ingrid Betancourt e moltissimi altri prigionieri continuano a vivere il loro inferno.
Il 23 febbraio saranno sei anni esatti dal momento in cui Ingrid venne vista per l’ultima volta, ad un posto di blocco militare, prima di entrare nella zona smilitarizzata in cui si stava recando per riuscire a parlare con le FARC e dove venne trattenuta in ostaggio. Candidata alle elezioni presidenziali, personaggio politico fuori dalle logiche corrotte del suo paese, è una delle eredi di una famiglia dell’alta borghesia già impegnata in politica. Dopo una vita in giro per il mondo, con il padre ambasciatore e il marito diplomatico, torna in Colombia e si impegna in politica. La sua è una battaglia contro la corruzione e la povertà che stringono in una morsa milioni di colombiani. È un’avversaria scomoda perché credibile; appartiene alla high class ma colpisce proprio quel mondo rifuggendo gli imbrogli e il malaffare. In fondo il suo sequestro non è poi così inopportuno. In quasi sei anni Uribe, rifiutandosi di intavolare un dialogo di pace con la guerriglia, non ha dato neanche una possibilità alla speranza che lei e gli altri possano tornare.
E torniamo ai nostri giorni. L’ultima prova in vita, a distanza di più di tre anni dalla precedente, l’ha ottenuta il presidente venezuelano Hugo Chávez. È una lunga lettera, accompagnata da un video che ha fatto il giro del mondo. Struggente, drammatica, così è stata definita da molti commentatori; effettivamente il racconto delle condizioni in cui Ingrid si trova a vivere da sei anni è toccante. Il nulla in cui dice di trovarsi, le condizioni fisiche e di salute che peggiorano, “la precarietà e l’incertezza come unica costante”. Ma se andiamo oltre i passaggi più angosciosi, gli unici riportati dalla grande stampa nostrana per capirci, Betancourt non è la donna distrutta e prostrata che vogliono farci credere. Non ha perso la ragione; è provata ma ancora intera e lucida. “Avete la vita davanti, cercate di arrivare più in alto possibile; studiare è crescere, non solo perché si apprende intellettualmente, ma anche per l’esperienza umana; le persone che vivono intorno a noi ci alimentano dal punto di vista emotivo e ci aiutano ogni giorno ad avere più controllo su noi stessi, per forgiare un carattere che sia di servizio agli altri, in cui il nostro ego si riduca alla sua minima espressione e cresca in umiltà e forza morale. Le due cose vanno insieme. Questo è vivere, crescere per essere utili”. Suggerimenti, indicazioni, riflessioni, pezzi di un colloquio quotidiano ed ininterrotto con i suoi figli che ricorda bambini e ora sono adulti. Lucidamente indica loro quale strada è più conveniente seguire negli studi, come comportarsi. E chiede che le mandino messaggi attraverso la radio (nella follia che vive la Colombia, da anni programmi radiofonici tengono in contatto i sequestrati con i propri familiari).
A dispetto di quanti vogliono dipingerla come una donna allo stremo delle forze, che non ha neanche più la capacità di ragionare coerentemente, è ancora in grado di compiere un’analisi rigorosa sulla situazione. Di indicare con chiarezza e in maniera molto diretta i responsabili. “Per molto tempo siamo stati come i lebbrosi che rovinano il ballo, noi sequestrati non siamo un argomento ‘politicamente corretto’; suona meglio dire che bisogna essere forti di fronte alla guerriglia, anche se dovesse costare il sacrificio di vite umane”; qui guarda in faccia quel potere forte - il presidente Uribe – che rifiuta ogni tipo di trattativa e pensa esclusivamente a soluzioni di tipo militare. E più avanti fa un paragone con gli Stati Uniti di Lincoln, dicendo che lui “difese il diritto alla vita e alla libertà degli schiavi d’America anche se si trovò ad affrontare molti Floridas e Praderas” (si riferisce a due municipi colombiani che le FARC chiedono al governo di smilitarizzare per poter procedere con lo scambio umanitario ed avviare il processo di pace ndr). Sono accuse dirette a chi rifiuta ogni soluzione negoziale, dimostrando a parole un’apertura e nei fatti mettendo in pericolo gli ostaggi; solo per ricordare gli ultimi avvenimenti, la prima fase del rilascio di Clara Rojas e Consuelo Gonzalez de Perdomo fu rimandata perché, contravvenendo agli accordi, l’esercito colombiano continuava a bombardare la zona di selva in cui erano in corso le operazioni di riconsegna, mettendo in pericolo la vita dei sequestrati.
Al di là dei tanti proclami per chiedere la sua liberazione, diciamo pure che il suo sequestro, e il suo permanere nelle mani della guerriglia, fa comodo a parecchi e per questo la vorremmo tra la gente, con il suo carisma e le sue parole, sensibili e salde allo stesso tempo, per contribuire alla costruzione di una nuova America latina e di un mondo un po’ più femminile, lei che ne è così capace.

(26 febbraio 2008)

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