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Infibulazione: in Italia sarà reato

Infibulazione: in Italia sarà reato

Società/ Stop alla vergogna - Dopo il via libera del Senato, la legge dovrà essere votata dalla Camera

Federica Lupparelli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2005

Presto l'infibulazione potrebbe diventare nel nostro Paese un reato punibile anche con il carcere fino a 12 anni. Lo prevede un disegno di legge approvato prima della pausa estiva dal Senato con un voto trasversale che ha registrato l'assenso di tutti i gruppi ad eccezione di Rifondazione Comunista, che si è astenuta. A titolo personale, e in dissenso dal proprio gruppo, ha scelto di non votare anche la senatrice Cinzia Dato, della Margherita, perplessa sulla portata di una legge che ritiene da un lato troppo repressiva, dall'altro insufficiente a contrastare un fenomeno sostanzialmente culturale. Il via libera di Palazzo Madama, tuttavia, deve essere confermato dalla Camera perché il testo diventi legge. Se e quando questo avverrà, nel nostro codice penale verrà introdotto un nuovo articolo, il 583 bis.
Il disegno di legge prevede il divieto di ogni tipo di mutilazione dei genitali femminili, dalla clitoridectomia, all'escissione, all'infibulazione, anche in caso di assenso della vittima. Il nuovo reato potrà essere punito con la reclusione da quattro a dodici anni, e la pena aumenta di un terzo se la vittima è minorenne e in tutti i casi in cui venga eseguita per fini di lucro. Quanto ai medici coinvolti, rischiano di essere cancellati dall'Ordine anche per dieci anni.
Ma la legge non si limita a punire, impegna il governo, a cominciare dai ministeri della Salute, dell'Istruzione e del Welfare, a realizzare campagne di informazione mirate con l'obiettivo di sensibilizzare le comunità di immigrati provenienti da quei paesi in cui le mutilazioni genitali sono pratica comune.
Un primo passo concreto, dunque, per fermare un rito che si va diffondendo in modo molto ampio anche nel nostro paese. Una legge giusta e laica secondo il senatore della Margherita Nando Dalla Chiesa, "si è affermato il principio della laicità dello Stato in un momento in cui sembrava essersi smarrito. E' un provvedimento giusto e umano, che pur affermando l'esistenza di uno specifico reato e colpendo chi lo compie con finalità di lucro, attenua la sua severità di fronte alla responsabilità dei familiari, in una logica di consapevole e lungimirante integrazione. Oggi è importante auspicare che questa affermazione di laicità sappia farsi valere di fronte a tutte le religioni. Non sono mancate tuttavia le riserve, come quelle formulate dalla senatrice Emanuela Baio Dossi, sempre del gruppo della Margherita. Secondo la senatrice la legge, pur significativa e positiva, costituisce un'occasione perduta, anzi 'dimezzata'. Nel testo, infatti, non viene recepita
"la richiesta del Parlamento europeo di riconoscere il diritto di asilo e lo status di rifugiate alle donne che hanno il coraggio di opporsi", ma evidentemente, sottolinea la Baio Dossi, "il nostro Stato di asilo preferisce non parlare" e continua "una legge importante che vuole intervenire sulla prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile. C'era un assoluto bisogno di una risposta normativa. Questi riti sono una violazione dei diritti umani. Siamo consapevoli che si tratta di un male millenario, basato sulla sopraffazione delle donne, sulla poligamia maschile e sulla servitù femminile, antiche consuetudini che non possono essere estirpate solo con una legge, anche se questa è un tassello importante. Speriamo possa essere un contributo per iniziare un nuovo corso".
"Abbiamo affrontato un tema complicato non perché non sia evidente a tutti la drammaticità delle situazioni su cui si interviene. Ma perché ci ha imposto due interrogativi particolari". A parlare è il senatore dei Democratici di Sinistra Elvio Fassone, magistrato. " In particolare, dobbiamo chiederci se e come il rispetto delle culture, delle tradizioni, dei costumi di altri popoli possa conciliarsi con le nostre categorie culturali e giuridiche. Credo che in questo caso non dobbiamo avere il timore di occidentalizzare il mondo, di imporre le nostre categorie, le nostre culture e le nostre spiritualità. Al contrario, dobbiamo essere consapevoli che affermiamo valori universali. Nelle varie carte internazionali il diritto all'integrità fisica è consacrato come universale. Per questo possiamo pretenderne l'osservanza da parte di tutti. La seconda domanda che ci dobbiamo porre è relativa all'efficacia del diritto penale a fronte di fenomeni sociali diffusi e radicati. Tutti noi abbiamo preso una penosa familiarità con le foto delle bambine terrorizzate a causa di questa pratica. Sono la manifestazione di una tragedia che continua a popolare ed inquinare i nostri giorni, quelli della violenza che tortura chi non può difendersi. Non possiamo pensare di estirpare con una legge tutto il male del mondo. Possiamo, però, fare qualcosa per circoscriverlo e ridurlo. Questa legge è appunto quel qualcosa, anche se siamo consapevoli che il cammino della storia è molto più lento di quello delle nostre impazienze". Anche il senatore Fassone ribadisce l'importanza che avrebbe il riconoscimento del diritto di asilo. "Avremmo voluto - dice - qualcosa di più per le donne migranti che lo chiedono terrorizzate dal pericolo di sopportare queste pratiche se rimpatriate, ma anche un maggior corredo di risorse per gli interventi sociologici e politici di contorno alla legge. Anche se questo giustifica qualche nostra riserva, la legge è comunque un primo passo nella giusta direzione e quindi positivo". Altri dubbi, altre perplessità, anche da una voce femminile, quella della senatrice della Margherita, Cinzia Dato, che alla fine ha scelto di astenersi, in dissenso dal suo gruppo. "Evidentemente - spiega - siamo di fronte a pratiche che vanno in qualche modo contrastate. Ritengo però che questa norma non sia adeguata, troppo repressiva da un lato, perché interviene su pratiche sostenute da tradizioni culturali e non da vincoli o obblighi di legge, e insufficiente dall'altro, dal momento che non rende disponibili servizi e misure per aiutare quei gruppi e quelle culture etniche che da soli devono giungere all'abbandono di queste pratiche. Mi sembra assolutamente iniquo introdurre misure repressive per pratiche che appartengono ad altre culture, senza che noi proviamo ad interrogarci su altre pratiche che evocano problemi non del tutto differenti in voga nel nostro Paese, sostenute da una cultura abbandonata a logiche di mercato. Non dovremmo interrogarci allora anche su certe pratiche di chirurgia estetica su corpi di giovani neanche maggiorenni, imposte in un certo senso da vincoli di tipo culturale?" .

130 milioni di vittime in tutto il mondo
Una nuova legge per punire e contrastare quello che potrebbe essere definito un reato d'importazione. L'infibulazione, infatti, praticata in Africa e per lo più in Somalia, nel Sudan, in Etiopia e in Eritrea, è diventato ora un fenomeno diffuso anche nel nostro paese. Sono oltre 40mila le donne che vivono nel nostro paese e che hanno subito mutilazioni sessuali. Ogni anno, sul nostro territorio, subiscono questo rito 6mila bambine anche piccolissime, dai 4 ai 12 anni.
In tutto il mondo sono oltre 130 milioni le donne vittime di questo rito, mentre si calcola che siano circa due milioni le bambine che ogni anno rischiano la stessa sorte.
In Europa, la Svezia è stato il primo paese, subito seguito dalla vicina Norvegia, ad adottare nel 1979 una legge che proibisce e punisce l'infibulazione. In Gran Bretagna questa pratica è punita sin dal 1985. Sono perseguibili anche tutti coloro che collaborano, incitano, consigliano o forniscono gli strumenti per praticare mutilazioni sul corpo di un'altra persona. In Francia non esiste una normativa ad hoc, ma sono punite severamente le mutilazioni compiute su bambine e adolescenti, grazie all'applicazione degli articoli del codice penale che si riferiscono alle violenze su minori di quindici anni. Le pene vanno dai 10 ai 20 anni di reclusione e fino al carcere a vita se l'atto è compiuto da una persona che ha autorità sul bambino.

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