VERSIONE SANTIPPE - ...con la crisi, economica e di valori, si rischia di confondere l’indipendenza con una serrata competizione tra donne e donne e donne e uomini, senza più limiti alla libertà, al pudore, all’etica....
Camilla Ghedini Lunedi, 31/03/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2014
Sdraiata in maniera poco languida sul divano, qualche sera fa, ragionavo sul concetto d’indipendenza femminile. Sarà che è appena trascorso l’8 marzo, con tutta la liturgia di eventi dedicati, sarà che almeno una volta al giorno mi sento dire da amiche e colleghe, tra ammirazione e invidia buona, ‘ma dai, tu almeno sei sola e indipendente’. Fatto sta che abbruttita da una giornata di lavoro, arrabbiata perché in tv non c’era niente, incavolata con me stessa perché per sgonfiarmi avevo preso una tisana drenante che per ovvi motivi consigliano di bere al mattino e non la sera, riflettevo. Guardavo il carrellino della tv, che per andare al bagno devo spostare perché ingombra e mi chiedevo: davvero l’indipendenza è vivere in una casa ad incastro in cui ci si potrebbe muovere camminando sulle mensole affisse ai muri perche lo spazio a ‘terra’ è poco? In cui spendere un botto di affitto per soffrire di claustrofobia perché il punto non è come ci si vive, ma che si riesce a pagarlo da sole? In cui devi ripeterti che se non c’è il balcone per stendere i panni chi se ne frega, perché una vera donna, indipendente, non lava e non stira, ma va in lavanderia? Che se non c’è lo spazio per tenere un minimo di riserva ‘alimentare’, chi se ne frega, perché una vera donna, indipendente, va a mangiare fuori? Che se non c’è una piastrella libera per ospitare una pianta, e tocca disegnarla sul vetro della finestra, chi se ne frega, perché una vera donna, indipendente, non ama così tanto la natura? Il falso mito dell’indipendenza - cosa ben diversa dall’autonomia - ha accompagnato la crescita della mia generazione, di quarantenni. Una generazione fortunata, perché dotata della possibilità di istruirsi e scegliere cosa fare da ‘grandi’. E che si permette spesso il lusso - non per sua responsabilità, ma per responsabilità di anni di benessere che ci hanno mostrato soprattutto il bello dell’esistenza - di non conoscere le lotte fatte dalla generazione delle nostre nonne e mamme, la cui vita ‘giusta’ era già stata definita tra assenza di ambizioni professionali e imposizioni di virtù domestiche. Lotte che Noi Donne, nei suoi settant’anni di vita, ha sempre seguito e sostenuto dalle proprie pagine. E se da ragazzina, per me e le mie amiche, l’indipendenza non era alfabetizzarmi ma marinare la scuola per ottenere il consenso dei ‘maschi’ e da semi adulta era ispirarmi a Simone de Beauvoir, che disprezzò la sua provenienza borghese e accettò l’amore libero di Jean Paul Sartre, va detto che ogni epoca, e soprattutto ogni Paese, ha il suo concetto di indipendenza. La mia generazione è cresciuta con quello ingannevole della ‘forza’, intesa come assenza di bisogni, maternità compresa, in una sorta di brutta emulazione del modello maschile. Intesa come capacità di vivere senza un uomo che ci mantenga, e senza figli che ci limitano la carriera. Quasi che l’amore, nelle sue declinazioni, fosse un orpello. Ma con la crisi, economica e di valori, si rischia di confondere l’indipendenza con una serrata competizione tra donne e donne e donne e uomini, senza più limiti alla libertà, al pudore, all’etica. Con la legittimazione del mors tua vita mea. E d’istinto penso alle ventenni che potrebbero essere mie figlie. E le vedo fragili, perché hanno tutto e niente. E mi chiedo cosa sia per loro l’indipendenza. Io sono certa che a loro Santippe direbbe “ragazze non cercate di essere indipendenti a tutti i costi. Cercate di essere autonome, di farvi rispettare. Ma non vergognatevi dei vostri bisogni perché non esiste nessuno, ma proprio nessuno, che non ne ha. Né uomo né donna”.
Lascia un Commento