Venerdi, 25/01/2013 - Purtroppo non era il primo né sarà l’ultimo…e allora perché il terribile stupro della ragazza di 23 anni il 16 dicembre a New Delhi, morta poi in un ospedale di Singapore, ha scosso l’intero Paese provocando una reazione di massa senza precedenti? Cos’è che ha reso questo fatto un evento mediatico tale da portare migliaia di donne e uomini in piazza; tale da smuovere media e istituzioni; tale da provocare un’ondata di indignazione, rabbia, solidarietà anche fuori dall’India?
Da queste domande prendono le mosse le due giornate (sabato 19 e giovedì 24 gennaio), intitolate “Civiltà ferita, guerra alle donne”, dedicate dall’Udi nazionale e dalla Casa Internazionale delle Donne a ciò che sta avvenendo in India dopo lo stupro della giovane ragazza di New Delhi su un autobus cittadino.
Come sottolineato dalla Presidente della Casa Internazionale delle Donne, Francesca Koch, la violenza sulle donne non è un fatto privato, ma una questione squisitamente politica che parte da stereotipi radicati, da una tradizione e una cultura patriarcale che hanno fatto sì che la donna venisse considerata un oggetto. C’è un filo rosso comune, spiega ancora Francesca Koch, che percorre gli ultimi fatti di cronaca e li lega anche a distanza di chilometri, di continenti, di cultura e tradizione, di lingua e colore della pelle. Le dichiarazioni del parroco di Lerici, quelle del Presidente indiano che dice alle donne copritevi e non provocate, quelle di chi a Bergamo consiglia alle donne di non uscire da sole, sono tutte in qualche modo collegate tra loro. Per cui quello promosso da Casa e Udi non può e non vuole essere un pomeriggio in cui dare giudizi, ma uno spazio comune in compagnia di donne e uomini di etnie diverse, di storie e vite diverse, in cui interrogarsi, raccontare e raccontarsi, cercando di capire insieme, grazie anche al prezioso aiuto di donne esperte dell’India, cosa ha smosso quella terribile barbarie del 16 dicembre; cosa sta accadendo in una realtà tanto complessa come quella indiana. E su questo moltissime sono state le domande e le considerazioni, in un’affollata assemblea condotta magistralmente da Marcella Sansoni, su un paese straordinariamente vitale ma attraversato da contraddizioni enormi in cui si mescolano in modo incredibile problemi secolari e una modernità a volte disumana.
Tutte quelle manifestazioni che hanno portato in piazza indistintamente donne e uomini (un aspetto che a noi, donne italiane non abituate a vedere molti uomini che combattono queste battaglie, ci ha sorprese non poco!) sono una reazione ad un evento contingente? Sono una presa di coscienza? O celano lo startup, la molla per un movimento che cambierà la condizione politica in India? Questa situazione ha gettato dei semi di rivolta, di rivoluzione sociale o è solo l’agitazione di un momento? Le risposte sono molteplici.
Sicuramente il rischio che i riflettori si spengano, che l’attenzione, anche o soprattutto quella dei media, vada scemando e che tutto alla fine si dissolva in una grande bolla di sapone o meglio, sparisca come la polvere sotto al tappeto, c’è ed è reale.
Per questo è necessario agire ora; è fondamentale che non cali il silenzio ma che al contrario si inizi a parlare anche di tutte quelle violenze e di tutti quei femminicidi che non hanno mai fatto notizia: quelli privati tra le mura di casa o quelli nelle zone rurali ad esempio.
Il caso della giovane di New Delhi ha scosso l’intero Paese, tanto che governo e magistratura rispondono all’emergenza con la creazione di una commissione per ridefinire la legislazione sulla violenza sessuale. Si sta discutendo sui pro e i contro della pena capitale per stupro in un Paese in cui, però, stupro è solo la penetrazione carnale e non gli atti di libidine violenta né lo stupro con uso di mezzi meccanici, dove la complicità della polizia con gli stupratori è enorme, dove la pena di morte può portare gli stupratori a uccidere per evitare testimoni .
Il grande sviluppo economico di cui l’India è stata protagonista negli ultimi anni non ha cambiato la concezione subalterna della donna ancora profondamente radicata.
Per il caso della ragazza di Delhi c’è stata forse un’identificazione senza precedenti: era una giovane di ceto medio in una città moderna, non era una tribale degli angoli remoti dell’India. E questo è bastato per colpire maggiormente l’immaginario di tutti, per dar vita ad un processo di identificazione in cui ognuna (e ognuno) ha riconosciuto sé stessa, sua sorella, sua madre o una sua amica. Ma non è così che deve andare. Non si può certo parlare di rivoluzione sociale se la violenza su una tribale non sconvolge gli animi tanto quanto quella su una giovane di ceto medio.
Ma a sconvolgere in questo caso non è stato “solo” lo stupro in sé e quel processo di identificazione, ma la brutalità che gli aguzzini hanno riservato alla ragazza tanto da riportarci con la mente all’evento shock che sconvolse l’Italia scuotendo gli animi e dando avvio ad un movimento femminista ancora più agguerrito e appassionato: il massacro del Circeo, come ha ricordato Vittoria Tola.
Ma non è neanche “solo” questo. Quella sera la ragazza non era sola, era accompagnata da un uomo e questo ribalta senza appello qualsiasi vecchio ordine patriarcale, qualsiasi idea del tipo: non si tocca la donna d’altri o donne non uscite da sole, fatevi accompagnare da un uomo. Non ci sono più regole. Non c’è un peggio o un meglio da cui rifuggire o a cui adeguarsi. Ci sono leggi ma è la pratica, figlia di una mentalità e di una cultura, che fa carta straccia della teoria.
E allora che fare? Insistere sull’uguaglianza di donne e uomini, lavorare su come gli uomini vedono le donne e su come le donne vedono sé stesse. E poi c’è l’istruzione…un processo di cambiamento che parta da subito, dai più piccoli, senza dimenticare, però, che sono gli adulti ad insegnare ai bambini.
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