“Scrivere poesia in cinese per me significa scrivere su una situazione che non ha tempo,
e per mia fortuna posso scrivere in una lingua che non ha tempo”
Ultimo incontro di DirePoesia quello di venerdì 22 maggio al piano terra di Palazzo Chiericati, dove più di 150 persone attente e partecipi hanno ricevuto in overture l’elogio dallo stesso protagonista dell’incontro, il poeta cinese Yang Lian, candidato al Nobel nel 2002. Anch’egli poeta dell’esilio come l’amico Titos Patrikios che a Palazzo Leoni Montanari nella giornata mondiale della poesia aveva inaugurato questa copiosa e fortunata seconda edizione curata da Stefano Strazzabosco. Nato nel 1955 a Berna (dove i genitori erano funzionari di ambasciata) ma subito ritornato a Pechino, Lian inizia a scrivere nel 1976. Dal 1979 i suoi testi escono sulla rivista “Jintian” (Oggi), portavoce di un gruppo di autori definiti “menglong”, cioè “oscuri”, perché le loro poesie non obbedivano più alle leggi del socialismo reale imposte dai funzionari del Partito comunista. Dopo la realizzazione di molte altre opere, alcune delle quali ostacolate nella pubblicazione in Cina per più di un decennio, nel 1986 fonda il gruppo poetico “Xincunzhe”
(I sopravvissuti). Nel 1989, mentre si trova in Nuova Zelanda, condanna pubblicamente gli avvenimenti di Piazza Tien’anmen e per questo è costretto ad un lungo esilio in varie città: Berlino, New York, Sidney, Londra, dove tuttora vive. “Eppure l’esilio può diventare una fase attiva, creativa perché l’io dialoga sempre con l’esistenza” ci dice questo ragazzo cinquantacinquenne dai lunghi capelli corvini che incorniciano un volto franco e luminoso rischiarato da due pupille mobili per bocca di Marta Nori, pregevole interprete del pensiero di Lian il quale peraltro già aveva affermato che “sempre e dovunque la buona poesia è refrattaria alla traduzione e all’interpretazione, il che attesta il suo carattere ‘necessario’ ”
“Noi studiamo, leggiamo questi poeti - uno dei maggiori al mondo fra quelli che pubblicano le proprie opere, aveva puntualmente precisato Strazzabosco nell’ introduzione - e poi averli qui è emozionante, è davvero un onore per me” esordisce la Nori cui tocca il compito di introdurre e tradurre dall’inglese quanto il poeta premette alle sue poesie, poi offerte ai presenti in un incisivo italiano privo di eccessiva enfasi da Valentina Brusaferro e Martina Pittarello che ricevono un affettuoso “beautiful” dallo stesso Lian. L’emozione di cui parla Marta Nori pervade anche i presenti e in particolare gli studenti vicentini del liceo Pigafetta.
Suddivise per significative tappe storiche le quattro letture fondamentali concluse da scroscianti applausi : “Violenza nella foresta” (“Non solo la violenza delle guerre, ma anche quella silenziosa e infida di ogni giorno, collegata alla realtà del rifiuto..”); “Il vetraio” (l’amore del vetro rende il mare incapace di rovesciarsi/ ciò che non teme la corruzione/ stringe gli occhi/ nella luce solare”;
“Farfalla vendicatrice”conclusa con questi rappresi e pregnanti versi: “più vorresti dimenticare e più ti è chiaro/ che la farfalla si sta vendicando”
Segue la rituale lettura dell’inedito “La tomba dei saggi” scritto espressamente per DirePoesia e stampato dall’operoso torchio dell’Officina in esemplari limitati, letteralmente andati a ruba (la sottoscritta deve la copia numero 168 alla cortesia di Strazzabosco).
“Non possono far altro che discutere di capre/ lentamente sorseggiano un the – si addensa il crepuscolo/ persino su uno strato di aghi di pino oscilla la luna/ l’albero che profuma di pino solido si sostiene/l’ombra dei monti circostanti – diffonde il cinguettio del giorno/ una panca di pietra verde rinchiude il viaggiatore/nell’ascolto attento – a loro viene tolto l’accento/ una tazza di porcellana raddensa la lontananza come giada/ quando leggera si appoggia è ancora tiepida e trasparente”.
Il discorso fatto da Lian - come egli stesso conferma - è di tipo filosofico: “la lingua ha a che fare con le nostre origini… Io mi chiamo in tre modi. C’è un Yang Lian poeta della Cina, un Yang Lian che scrive in cinese, e un Yang Lian che versifica in inglese… Non solo il poeta appartiene alla lingua madre ma anche la lingua appartiene al poeta”. Molto interessanti le precisazioni offerte da Marta Nori su alcune particolarità e peculiarità linguistiche e grammaticali (la mancanza di tempi verbali, ad esempio) della lingua cinese prima e dopo l’intervista che funge da spartiacque fra i due momenti di lettura durante i quali il poeta sta in piedi in uno stupefacente funambolismo tra un cinese musicalissimo e un inglese frutto dei tanti anni in cui vive a Londra “tornando però spesso in Cina a trovare mio padre ottantottenne e per stare a contatto con i poeti contemporanei..” “La Cina è sempre un Paese comunista ma è grande fratello delle società nazionali capitaliste.. Sapete cosa fanno i politici del modo quando arrivano in Cina? Prima parlano di diritti umanitari, di democrazia e poi si siedono e parlano di contratti di lavoro” dirà alla fine rispondendo alla domanda del secondo interlocutore. “Qual è la distanza fra presente e passato? Si ha la sensazione che la lingua cinese afferri il concreto e poi torni indietro. Dopo la rivoluzione industriale – continua Yang Lian - tutti urlavano slogans, poi tutto è finito.. dopo i noti avvenimenti del 1989 di Tian'anmen tutti erano disperati per il massacro, ma dopo il silenzio; ma, mi chiedo, dov’è la memoria per i morti prima del 1989?” Qui è avvertibile la profonda la consonanza con l’altro esule, Titos Patrikios che si esprimeva sulla stessa lunghezza d’onda. La lingua si incarna nel viaggio fino al punto che “tutto il mio girovagare ha un unico significato: quello di rendere più profonda la esperienza”.
“Maestro, come considera la sua produzione poetica, più legata a quella classica o più moderna?” Esaustiva ed eloquente la risposta di Lian che si congratula con l’interlocutore per la bontà della domanda. “Io amo la poesia classica, ma non c’è modo di copiarla, io mi pongo sempre delle domande, da un punto di vista filosofico direi che la mia poesia serve ad esprimere la situazione dell’uomo.. Anche se scrivo testi moderni, la lezione degli antichi poeti come Li Po (il termine “lezione” rievoca nella mia mente l’unica poesia di Li Po presente nell’antologia della scuola media che forse una volta ho proposto ai mie allievi!) sono sempre dentro di me.
La seconda parte dell’incontro è dedicata alla lettura di alcuni testi della raccolta “Dove si ferma il mare”, uscita nel 2004 per i tipi di Libri Schewiller, elegante testo trilingue (cinese, inglese e italiano) frutto un lavoro complesso realizzato dalla più volte nominata Claudia Pozzana. Sono poesie dell’esilio scritte tra il 1992 e il 1993, in un periodo che egli stesso definisce “particolarmente tenebroso” , un’opera solcata da un reticolo di sentieri (ma tuttavia unitaria) che portano verso la luce. Il luogo dove la barca che affonda appena vicino a Sidney è la metafora della vita e della morte nel mezzo di una situazione senza tempo, “solo in cento anni si capisce il vero significato dell’orologio…L’età paralizzata/ l’età della barca affondata/ spalanca la pelle /e infine viene toccata dall’Oceano…le maree raschiano incessanti uteri/ prima che lo sguardo sia infuriato dal sangue”). Un po’ decadente e un po’ “furbetta” l’ultima composizione intitolata “Una notte nel palazzo dei tulipani di porpora”, ricca di musicalità che lo stesso Lian invita a riconoscere nella lettura. Le varie sembianze assunte da un mazzo di tulipani durante la graduale sfioritura digradante nei toni del porpora e nel verde delle foglie offre al poeta l’accostamento con le sembianze di una donna bellissima che sta danzando. Personalmente vi ho captato un eros forte e lancinante molto diverso da quello dei modelli occidentali: “impaziente attende di essere presa/ in una danza lenta…sussurro porpora come una concubina/ che attende… attende con impazienza di essere succhiata…un mazzo di tulipani scivola/ in un’unica notte…la concubina porpora con delicatezza sonora/ si spalanca…deposita una grammatica completamente scura.. il vaso ormai è una parola lasciata riposare tra le mani”.
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