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INCHIESTA SULLE MONACHE DI CLAUSURA

INCHIESTA SULLE MONACHE DI CLAUSURA

Chi sono queste donne che popolano i monasteri di clausura del duemila. Come vivono e come mantengono i loro monasteri nell’era di internet, che conoscono alla perfezione e che usano con parsimonia. Come riescono a comunicare con il mondo globalizzato

Martedi, 27/03/2012 - Scende la sera dietro la cupola di San Pietro. E’ stato il mio un lungo viaggio all’interno del ventre della Chiesa, quello meno esplorato, meno visibile, quello nascosto dietro le grate. Un ventre caldo di spiritualità e povertà, ma anche di una ricchezza immensa, inimmaginabile per me, laica e credente all’acqua di rose. Scende la sera dietro la sua corazza impenetrabile, ma forte e consapevole dei tesori che custodisce al suo interno. Mi appare all’improvviso enorme, grigia e ferrea, torno da uno dei suoi gioielli più preziosi nel primo giorno di primavera. Ne raccolgo la sua impenetrabilità dentro le ombre delle sera, dentro la sua corazza. E’ stato un viaggio tortuoso con mille strade da percorrere e di pregiudizi da abbattere. E nella ricorrenza del millenario di San Benedetto, il giorno di primavera, ho cantato in gregoriano insieme a loro, alle monache di clausura, unica laica ammessa nel loro tempio, nella messa solenne del primo che intonò alle pendici dell’Europa ancora inesistente il suo Ora et Labora. Ho incontrato donne coraggiose, orgogliose con un senso del rispetto che rare volte ho conosciuto. E che dire di Santa Caterina da Siena fondatrice dell’ordine delle clarisse, come negare la grandezza di questa donna che già nel del Medioevo riuscì ad imporsi sia al Papato, che alla nostra storia come una figura d’importanza gigantesca. Riuscì a fondare un ordine che ancora oggi può vantare monasteri sparsi in tutta Italia (114) superiori sia ai benedettini (78) e ai carmelitani (71).

E chi sono queste donne che popolano i monasteri di clausura del duemila. Come vivono e come mantengono i loro monasteri nell’era di internet, che conoscono alla perfezione e che usano con parsimonia. Come riescono a comunicare con il mondo globalizzato le monache claustrali, che hanno nel loro dna la contemplazione e la preghiera. Stanno dietro le grate, asserragliate in attesa della provvidenza o lavorano, studiano, viaggiano, si informano e gestiscono i loro monasteri come delle piccole o grandi aziende con un livello manageriale più o meno evoluto che viene dal passato. La loro massima fioritura ci fu nel cinquecento e mantengono ancora oggi, dopo lo spartiacque del Concilio Vaticano II, un'autonomia quando molte di loro decisero di passare da papali a monastico, gestiti dalla badessa o dalla priora.



VOCI DI MONACHE

L’unica monaca che incontro dietro una grata appartiene ad un'altra generazione, è entrata nel monastero negli anni cinquanta. Suor Sofia, agostiniana, è la vicaria del monastero di santa Lucia a Roma. La grata mi mette in soggezione, ma il viso e l’energia di questa monaca di un altro secolo mi travolgono. La loro vita dall’alba fino alla sera è scandita dalle preghiere, eppure è la seconda volta che torno, per trovare la vicaria. E non è la prima volta che mi capita. Con tutte è così: devo ritornare, almeno due volte, dopo aver preso appuntamento. “Abbiamo il permesso dalla badessa, in casi particolari possiamo uscire. Per il medico, per il lavoro, per le faccende”. E sì perché il monastero ha una vita propria, si autogestisce sia economicamente che in tutte le sue manifestazioni. “Noi assembliamo le sacre reliquie per le funzioni solenni, per le beatificazioni e le santificazioni, le facciamo per il Vicariato di Roma - mi dice Suor Sofia  - il Vicariato le manda nelle chiese di tutto il mondo”. Suor Schepa benedettina di un monastero berlinese “nel cuore della Germania dell’Est” in Italia perché insegna all’Università: “C’è molta differenza tra comunità e comunità, seguiamo le stesse regole, ma ognuno è indipendente, c’è una grande diversità. Pensi al nostro monastero nato in un ambiente come quello del’ex Germania comunista, noi sperimentiamo che non c’è uno scopo nella funzione di un monastero di clausura, ma ha un fine”. Suor Shepa continua a parlarmi delle attività del loro monastero, oltre ad occuparsi dell’insegnamento e della foresteria, producono le ostie e confezionano gli abiti per i preti, c’è una monaca artista che dipinge le icone. Insomma “tutti vanno sempre molto di corsa, fanno tantissime cose, anche nei monasteri, tentano di giustificare la propria esistenza”.

Ma la Chiesa aiuta economicamente i monasteri? “No assolutamente, non è previsto - mi dice Suor Marta Tedeschin camaldolese professoressa all’Ateneo di Sant’Anselmo -. Tutti sono convinti che noi prendiamo l’8 per mille, ma non è vero! Noi non abbiamo diritto sia come regola, l’idea di san Benedetto già dall’epoca era che il monastero dovesse essere autosufficiente al proprio interno”. E continua “Oggi si fa fatica, il problema del lavoro è il problema di tutte, in Francia hanno trovato una qualche soluzione e dovremo capirlo anche noi qui in Italia”. Me lo ripetono tutte: il monastero vive da sé. “Tutti ci fanno questa domanda, ma lei pensi... come potrebbe il Vaticano aiutare tutti…, è così da sempre da quando i monasteri sono nati, sono autosufficienti”. E' la Badessa del monastero di San Giovanni Battista di Montemario, Donna Ildefonsa. E’ un organizzazione di tipo manageriale. “Decido io ma le scelte importanti, come dare in affitto i locali per laboratori, si devono prendere insieme con il voto della comunità”. Succede così da secoli, si discute per le cose che competono alla comunità, si mette ai voti e decide l’assemblea. “Ad esempio per chiudere la scuola - continua Donna Ildefonsa - e dare in affitto abbiamo votato, adesso sono in affitto con contratto con le tasse, l’ici tutto regolare. C’è un avvocato che se ne occupa…”, e continua “Per le spese giornaliere gestiamo una foresteria di sei stanze, poi ci stiamo organizzando per una piccola casa di ritiro per giovani. Prima avevamo la scuole fino al 2003, e una fattoria, ma eravamo tante circa ottanta e avevamo tanta terra. Oggi abbiamo internet, adesso ho chiesto di riguardarmelo lo facciamo più dinamico, con tante foto per attirare la gioventù. Nel 2003 mi è stato chiesto di aprire un laboratorio per ciliaci, poi abbiamo abbandonato. Facciamo parte di una società srl in cui ci sono laici, musulmani, l’amministratrice è un'architetta, una di noi lavora solo per tre ore al giorno”. Mi chiarisce meglio Mons. Natalino Zagotto, assistente diocesiano dell’Usmi, Rettore della Chiesa di Santo Spirito dei napoletani. “Ogni monastero è sui iuris ha un proprio statuto. Dipendono dalla Badessa e non dal Papa e ognuno è organizzato secondo la propria regola che gestisce la vita comunitaria, fedele al carisma”.

Molte sono le comunità fuori dall’Italia e per alcune, forse, l’attività principale è gestire queste comunità: “No no, per noi la cosa principale è fare le monache! - ribadisce suor Marta - semplicemente è accaduto, poichè da questa comunità ne sono nate in Tanzania, in India e in Brasile, adesso c’è l’impegno di seguirle anche se qualcuna è diventata autonoma".



LA CRISI DELLA VOCAZIONI

La crisi delle vocazioni c’è per tutte negli ultimi trent’anni, ma sempre meno dei monasteri maschili, dove la mancanza di entrate in molti casi ha come conseguenza la chiusura del monastero, anche in quelli femminili, ma di meno, una vera e propria casistica non si può fare, dipende come sempre da caso a caso. “Non c’è un calo nelle vocazioni le entrate sono alte, ma sono alte anche le uscite, quelle non le dicono…I grandi monasteri, quello di Isola san Giulio o quello di Firenze, hanno grossi numeri, come quello di Assisi, ma sono i proto-monasteri, dove arrivano da tutto il mondo” mi dice suor Benedetta del Monastero di San Luca a Fabriano, anche lei Prof.ssa al Laterano di Teologia Spirituale. E anche per l’età non c’è una soglia definita per entrare “neanche in società si fanno delle scelte prima dei trent’anni, è come in società: si sposano più tardi quindi entrano più tardi in monastero va insieme alla cultura del tempo”. Leggo su internet che qualche tempo fa la Badessa delle Clarisse di Napoli del monastero di santa Chiara a piazza del Gesù fece un appello per incrementare le vocazione, per uscire all’esterno, per farsi conoscere. Chiedo alla monaca se dopo l’appello era successo qualcosa. Una voce dolce come il miele mi sorride al telefono: “ci deve richiamare, prendere appuntamento, io non posso risponderle". Ma rimaniamo a parlare del più e del meno. “Adesso siamo in 14, non è successo granchè dopo l’appello, nessuna altra novizia, ma riceviamo molte richieste di preghiere e delle mamme di famiglia con mariti e figli che ci chiedono di entrare nel nostro monastero, ma quello lo fanno le suore di vita attiva, il nostro primo lavoro è la preghiera”. Quanta profondità e dolcezza in quelle frasi. Mi invita alla processione e alla messa con il vescovo, per il centenario di Santa Chiara. Faccio fatica a dirle che sono a Roma e che in questo viaggio le loro voci mi accarezzano l’anima ... “se posso …” la lascio con un sussurro. Alla sua diffidenza iniziale è corrisposta una totale condivisione.



I MONASTERI LABORATORI MANAGERIALI DAL PASSATO AL PRESENTE

Ma com’erano i monasteri di clausura nel passato. La clausura aveva una funzione di controllo sociale, di prestigio, di potere politico. Le famiglie nobili del ‘500 e del ‘600 i Barberini, i Colonna o gli Aldobrandini ritenevano prestigioso avere oltre ai grandi palazzi anche i monasteri e le loro figlie all’interno ne determinava la gestione del potere economico e politico. Tutto cambia dopo il Concilio di Trento. Per entrare in convento bisognava come obbligo saper leggere e scrivere, questo per rispondere alla riforma che aveva attaccato i monasteri femminili affermando l’inutilità delle donne rinchiuse in clausura. Per dimostrare invece la loro importanza e per sopravvivere ne innalzarono il livello di istruzione scrivendo tutto ciò che succedeva. Come delle moderne amministratrici fanno i conti, quello che spendono, come gestiscono, come amministrano, ma anche quante monacazioni vengono fatte, quanto si spende per la monacazione, descrivono le cerimonie delle monacazione e tutta la vita del monastero. Tutto questo è gestito da una sola donna, da una Badessa. Oggi abbiamo quindi l'evoluzione della gestione di questo piccolo grande laboratorio nato e sviluppatosi all’interno e nell’incredulità stessa della Chiesa. Le donne hanno sempre reagito all’imposizione che veniva dalle Chiesa ufficiale. Hanno saputo rispondere, ad esempio, all’invasione dei piemontesi nel Risorgimento e alla loro arroganza di voler chiudere, come successe per molti monasteri e appropriarsi delle proprietà della Chiesa, le claustrali risposero con l’invenzione delle scuole laiche all’interno dei monasteri per sopravvivere e per dimostrare che inutili non erano.

Marina Caffiero, Prof.ssa di storia moderna alla Sapienza di Roma, nella collana di storia delle donne che cura da vari anni: “Abbiamo trovato del materiale inedito relativo ai racconti di sè in cui queste donne si raccontano della propria vita attraverso diari epistolari, autobiografie e dimostrando che la diffusione della scrittura era molto più diffusa di quello che si pensa”, normalmente relegata ai monasteri maschili. Ma nel mondo dell’antico regime quelle che sapevano leggere e scrivere erano le religiose. La Prof.ssa Emanuela Prinzivalli, Storia del Cristianesimo alla Sapienza di Roma, ha tenuto svariate lezioni all’interno dei monasteri benedettini e agostiniani. Queste monache “rappresentano un'eccellenza nell’ambito dell’attuale Chiesa, sono donne di estrema raffinatezza intellettuale e di una sincera e forte spiritualità. E’ una scelta estrema ed estremamente coraggiosa perché controcorrente e considerando l’attuale situazione per la Chiesa sono una risorsa”. La scelta di queste monache è, sia per un ateo che un credente, una scelta esistenziale forte, meditata, rischiosa in cui ci si mette in gioco totalment, una scelta che sollecita una meditazione interiore che fa sempre bene. “Siamo di fronte spesso a giovani donne che hanno lauree, sono intellettuali, assolutamente consapevoli di tutte le problematiche riguardanti la corporeità, che non è negata, ma affermata, è chiaro, in una visione di donazione a Dio. La Chiesa è ossequiosa verso queste donne così indipendenti e rispettosa della loro storia e della loro lunghissima tradizione. Preferirei che la Chiesa ne traesse esempio per una loro purificazione all’interno”.

E Giovanni Paolo II per la prima volta nella storia della Chiesa le ha volute in Vaticano, si alternano ogni tre anni, come a dire nessun potere dell’una rispetto all’altra, cosa difficile all’interno della politica ecclesiastica, forse per dare esempio ad altre lobby politiche troppo spesso ingombranti.



Maria Fabbricatore

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