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Inchiesta sui tanti modi di essere mamme nel Terzo Millennio

Inchiesta sui tanti modi di essere mamme nel Terzo Millennio

Mamme nel Terzo Millennio / 3 - Inchiesta sui tanti modi di essere mamme nel Terzo Millennio. Maia: una mamma single e il suo blog, una mamma 'normale', un 'mammo', le mamme straniere in Italia, da Londra: dove fare tanti figli è di moda

Dalla Negra Cecilia Lunedi, 16/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2012

Vengono genericamente definite “famiglie monoparentali”, ma raccontano situazioni diverse, eterogenee, complesse, come complesse sono le condizioni che hanno portato alla loro esistenza. Diverse dovrebbero essere anche le forme di assistenza, i servizi, le soluzioni per rendere più semplice la loro vita, così come l’analisi della nostra società che se ne può fare osservandole. La genitorialità, nella famiglia monoparentale, è uguale ma più difficile. Alcune donne la scelgono, altre si trovano costrette ad affrontarla, tutte sono accomunate dal tentativo di crescere adeguatamente i propri figli portando sulle proprie spalle, da sole, il peso della responsabilità e della serenità. Ma che cosa significa nella prassi quotidiana crescere figli completamente sole? Quali sono le difficoltà maggiori a fronte di un sistema di welfare inadeguato? Il numero di donne che vive sulla propria pelle questa condizione, in Italia, è costantemente in crescita. Diminuiscono i matrimoni, aumentano separazioni e divorzi, e oltre alla scelta di mettere al mondo figli da sole c’è anche chi è single “di ritorno”, magari perché i padri sono assenti, inadeguati, distanti. Tra queste donne che affrontano con consapevolezza la propria condizione anche Maia, che nel 2003 resta incinta del primo figlio e, suo malgrado, capisce che vivrà gravidanza e maternità da sola. Cerca sul web informazioni, contatti, siti, e scopre che online non esistono spazi dedicati alle mamme sole. Decide così di dare vita a “mamme single”, un blog rivolto alla donne sole “perché lo hanno scelto dall’inizio, perché hanno lasciato una relazione a due, o perché sono state lasciate con i figli”. Un luogo virtuale di incontro, scambio e dialogo tra persone accomunate da una condizione particolare e delicata che, con forza e determinazione, non vogliono essere considerate diverse. “Il vero cuore del progetto - spiega Maia - è il forum, intorno al quale si è raccolta sin dall’inizio una piccola comunità affiatata. La forma attuale del blog permette di raccogliere e diffondere informazioni a tema, abbinato a un luogo di discussione che consente il confronto”. Da quando l’idea è stata lanciata in rete “di acqua sotto i ponti ne è passata”: in questi nove anni da mamma single Maia si è sposata, per poi separarsi e trovarsi nuovamente sola, questa volta “di ritorno”. Quando parliamo di dati Istat, che raccontano di un numero sempre crescente di donne che crescono i figli autonomamente, ci tiene a sfatare un mito: “È vero che il numero di mamme sole è in crescita, ma per la maggior parte di loro non si tratta di una scelta. Io stessa in questi anni ho conosciuto pochissime donne che hanno deciso consapevolmente di essere madri sole, e anche in quei casi era per inadeguatezza o disinteresse del partner. Sono comunque sempre di più le madri che si trovano a dover sostenere sulle proprie spalle l’intero ménage familiare, sia a livello organizzativo che economico, a fronte di un’inadeguatezza reale del sistema di aiuti alle famiglie. Basta guardare i costi e l’accessibilità degli asili nido in Italia”. Perché monofamiliare vuol dire anche monoreddito, una questione economica centrale, che si somma alle difficoltà psico-emotive “non meno importanti, e messe in coda solo per necessità. Una mamma che viene abbandonata, magari in gravidanza, può sicuramente raggiungere un buon livello di forza emotiva, ma con un cammino interiore lungo e complesso”. Pregiudizi verso la sua condizione Maia in questi anni non ne ha sentiti, ma certo crescere uno o più figli da sole vuol dire affrontare da sole tutto quel carico di incertezze, dubbi, insicurezze e timori solitamente condivisi. “Le paure, la solitudine nel prendere decisioni importanti, l’ansia per la stabilità economica sono i punti più impegnativi del percorso di una mamma single. Le famiglie monogenitoriali sono in tutto e per tutto come quelle tradizionali, ma il carico di preoccupazioni e lavoro sono moltiplicati”. Il fatto che lo Stato e la società non prevedano aiuti specifici, strumenti legislativi e ammortizzatori sociali ad hoc per Maia “è criminale. Ma la soddisfazione di riuscire a cavarsela anche da sole è un’iniezione di fiducia”.



Tre figli, lavoro, sensi di colpa e pochi servizi

“Hai presente un puzzle? Ecco, la mia vita è così”. Quando le domandi come riesca ad incastrare tutto, Romina sospira. Sposata, lavoro part-time, con due figli piccoli e il terzo in arrivo rappresenta un caso ormai sempre più insolito in un paese in cui la natalità è scesa a livelli record, tra crisi economica, incertezza lavorativa, precariato. Come tante altre mamme cerca di incastrare lavoro, famiglia, asilo nido, sfera personale. “È dura, soprattutto perché quelle tutele garantite durante la gravidanza e la maternità si dissolvono al compimento del terzo anno di età dei tuoi figli. Da quel momento si resta in balia degli eventi: per poter continuare a lavorare o ci si fa aiutare da una tata, o entra in gioco quella catena di solidarietà femminile fatta dall’alleanza tra mamme che si aiutano a vicenda, o il sistema di welfare familiare costituito dalle nonne”. Un problema reale per il molte donne, che nel nostro paese non trovano risposte adeguate, e in cui le tutele diventano privilegio di pochi, e non diritti acquisiti da migliorare, coinvolgendo nella responsabilità della gestione familiare anche le figure paterne. “Nel mio ufficio ci sono padri che chiedono permessi settimanali per maternità: sono sempre di più, segno che qualcosa sta cambiando, ma noi ancora lo troviamo sorprendente”. Di fronte alla difficoltà di incastrare la cura di due bambini piccoli con il resto della vita, Romina confessa che ha pensato spesso di lasciare il lavoro e fare la mamma a tempo pieno. “Soprattutto quando i figli sono piccoli ci sono momenti di sconforto in cui temi di non riuscire a garantirgli una presenza adeguata, di perderti momenti che non torneranno più. Allo stress e alle difficoltà si aggiunge il senso di colpa per la sensazione di non dedicargli abbastanza tempo. Ma quello materno è un ruolo destinato ad esaurirsi: mantenere un’individualità di donna prima che di madre è fondamentale per crescere anche figli migliori, che abbiano la consapevolezza della nostra specificità. Essere madri è bellissimo, ma rinunciare alla propria realizzazione personale è pericoloso anche per i nostri figli”.

 

 

Mamme che vengono da lontano…

Tradizioni culturali diverse, lontananza dalla famiglia di origine, ostacoli linguistici. Per le madri straniere che danno alla luce i propri figli in Italia il percorso che porta alla maternità, già delicato e complesso, lo è ancora di più. Una questione che acquisisce sempre maggiore importanza nel nostro paese, se nel 2010 sono stati 78mila i bambini nati in Italia da genitori stranieri, pari al 13,9% del totale. Strumenti dedicati e tutele che esistono in Italia - seppur con tanti limiti - diventano spesso inaccessibili per le donne straniere, che a causa di un inserimento solo parziale nel tessuto sociale, della difficoltà linguistica e delle svantaggiate condizioni lavorative restano tagliate fuori da quei percorsi di accompagnamento alla gravidanza e alla nascita di cui usufruiscono le mamme italiane. Costrette spesso al lavoro nero, quasi sempre escluse dal welfare e lontane dalle famiglie di origine, le testimonianze raccontano di aiuti e sostegni che vengono ricercati all’interno delle stesse comunità migranti e dell’importanza sempre maggiore che acquisiscono figure professionali come i mediatori culturali. Disparità non solo materiali ma imposte da tradizioni culturali altre, che coinvolgono anche la sfera specifica della cura neonatale: dall’allattamento alla gestione dell’educazione, alle abitudini madre-figlio, che rappresentano un patrimonio culturale non sempre in sintonia con i servizi garantiti dalla sanità pubblica italiana.

 

 

Qui lo chiamano ‘mammo’

Corinna è italiana, Ben americano: sposati e con una bimba piccola, hanno scelto di vivere a Roma. Ricercatrice lei, dottorando lui, invece di ripiegare sui nonni o pagare una tata hanno deciso che a casa con la figlia sarebbe rimasto il papà. Ben è quello che, in un paese fortemente ancorato alle tradizioni e penalizzato dalla disparità di genere viene definito “mammo”, temine che parla di cose date per scontate, ruoli prestabiliti. E insieme un paradigma di ciò che la società continua ad aspettarsi dalle donne, nel ruolo che ancora continua ad attribuire loro. Quale sarebbe stato l’approccio alla loro scelta Corinna lo ha capito sin dal corso pre-parto: tutto al femminile, padri assenti, ostetriche che impartivano lezioni solo alle mamme. Una scelta accettata dalla società, la loro? “Durante tutta la settimana è Ben a portare la bimba al parco. A fargli compagnia di solito un esercito di tate e nonni. Quando nel fine settimana sono io a dedicarle più tempo, il parco si riempie di papà. Non è questione di pregiudizi, ma di come è impostata la società”. Secondo lei “nessuno dovrebbe essere costretto a scegliere tra lavoro e genitorialità, né uomini né donne. Noi, con un posto all’asilo pubblico e alle spalle una famiglia che ci ha aiutati, ci sentiamo privilegiati. Se il sistema di welfare funzionasse meglio e le strutture pubbliche fossero più accessibili sarebbe più semplice”. Di una cosa Corinna è sicura: se Ben non fosse stato un giovane papà americano, ma un padre italiano-medio, la scelta di restare a casa con la figlia non sarebbe stata altrettanto spontanea. “Nella maggior parte degli uomini che conosco non vedo la stessa voglia che ha lui di dedicare così tanto tempo ai figli. Ma essere un “mammo” alla fine significa fare esattamente quello che la società si aspetta debba essere una responsabilità materna: crescere i figli. Essere genitori nel nostro paese è difficilissimo, ed è molto più che passare con loro il week end”.  

 

Londra, dove fare i figli è di moda

Anglotedesca, sposata con un inglese di origine indiana, 3 figli in dieci anni (Xavier, Elias e Althea) e un lavoro part time. Corinne ha una marea di interessi e un’organizzazione di vita molto meditata che coniuga i servizi pubblici con il privato. “La maggior parte dei miei amici ha tre figli, come me. In questo momento in Gran Bretagna avere una famiglia numerosa è cool, va di moda. Frutto probabilmente di una serie di fattori tra cui l’immagine rimandata dai media dei nostri politici, tutti abbastanza giovani e con famiglie numerose, e dalle nostre celebrities, vedi David Beckham. E poi, molto importante, una serie di aiuti statali che vanno dal Bonus universale per figlio che si riscuote fino ai 18 anni del ragazzo/a, alla possibilità di usufruire fino ad un anno di aspettativa dopo la nascita (ovviamente non a stipendio pieno), al part time senza problemi. Negli anni ’70, quando ero una ragazzina, i miei genitori erano votati alla tecnologia, al lavoro. Anche la riproduzione veniva inglobata in questi processi e quindi non più di due figli, parti ipermedicalizzati per poter tornare velocemente al lavoro, di allattamento neanche a parlarne, e i bambini/e rapidamente spediti a scuola. Ho l’impressione che io e le mie amiche abbiamo voluto rispondere a questo riscoprendo dei tempi più vicini ai ritmi naturali. Nel mio caso ho partorito in casa due dei miei tre figli. È un servizio offerto dallo Stato ed è stata un’esperienza fantastica specialmente dopo la nascita; le settimane più serene della mia vita dove in un ambiente protetto abbiamo dato il benvenuto a queste nuove persone. Ho anche allattato i miei bambini per tre anni e fino a questa età non ho voluto mandarli al nido. Credo infatti che da piccoli si possa imparare solo dagli adulti; è in un secondo tempo che i compagni cominciano ad avere un ruolo nella vita. Inoltre penso che per i miei figli l’aver sperimentato nell’infanzia il mondo come un luogo sicuro e protetto li renderà più liberi e autonomi nel futuro. In questo momento Xavier, il più grande, 10 anni, ha vinto una borsa di studio e sta frequentando una scuola che prevede la residenzialità, quindi dorme fuori casa 5 notti a settimana. È stata, ed è ogni giorno, una scelta difficile che abbiamo fatto insieme a lui per permettergli di dedicarsi a tempo pieno alla musica che è la sua passione”. E quella che sembra una contraddizione segna invece una capacità, tutta d’Oltremanica, di coniugare i vincoli di amore e relazione con la libertà. “La mia vita non si esaurisce assolutamente in famiglia. Sono sociologa ed insegno in una scuola pubblica e quando i ragazzi cresceranno ho intenzione di tornare a tempo pieno. In questi anni, malgrado le mie assenze per maternità, ho fatto carriera e ora sono, con grande soddisfazione, responsabile del Dipartimento di Sociologia. Dal punto di vista degli scatti di anzianità sono addirittura più avanti di una collega che è entrata a lavorare con me e invece di avere tre figli ha preso un anno sabbatico. La maternità non è solo cool, è anche riconosciuta come valore sociale”.

 

Un figlio ciascuna. I dati ufficiali

Sono i dati a raccontare come muti la famiglia “tradizionale”. Secondo l’ultimo censimento Istat, nel 2009 erano 6 milioni e 866mila i monogenitori single non vedovi. 12 milioni di persone in Italia, pari al 20% della popolazione, vivono in famiglie composte da coppie non coniugate o separate e ricostituite in forme cosiddette “non tradizionali”, un dato raddoppiato rispetto al decennio passato. I nuclei familiari monogenitoriali erano 1 milione e 775mila nel 1993, 2 milioni circa 10 anni dopo. Tra i monogenitori, l’86,1% sono donne, mentre i single non vedovi sono nel 55,3% dei casi uomini. Nel 39,5% dei casi i nuclei monogenitoriali sono sotto la responsabilità di donne separate o divorziate, nel 52,8% di vedove e solo nel 7,7% di nubili. Il mutamento delle forme familiari è dovuto in parte all’aumento di separazione e divorzi e, parallelamente, dalla diminuzione dei matrimoni celebrati nel nostro paese. Una tendenza in atto già dall’inizio degli anni Settanta, che ha visto però nel biennio 2009-2010 un calo del 6% delle nozze celebrate, con una media di 3,6 matrimoni ogni 1000 abitanti. Numeri che tornano a confermare come la gestione familiare, che sia tradizionale o ricomposta in forme alternative, resti comunque nella maggioranza dei casi sulle spalle delle donne, sole o accompagnate. Nel biennio 2008-2009 il 76,2% del lavoro familiare delle coppie era ancora a carico delle donne, mantenendo intatta una forte disuguaglianza di genere. Le madri che hanno avuto figli prima di compiere i 20 anni erano lo 0,57% nel 1995, l’1,77% nel 2008, concentrate per la maggior parte nelle aree del Mezzogiorno e delle Isole. I piccoli nati in Italia da genitori stranieri nel 2010 sono stati oltre 78mila: la media di figli per le donne italiane è di 1,33, contro il 2,05 delle donne straniere.

(Dati: Istat, Eurostat, Rapporto Save The Children maggio 2011, “Madri sole – sfide politiche e genitorialità alla prova, F.Bimbi ed. Lavoro, Roma 2005).

 

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