Nella iper-civile Svezia le quote “rosa” del 50 per cento (ossia parità matematica assoluta) non funzionano più.
Premetto che, pur non accettando le discutibili conseguenze del sistema delle quote (a.k.a. quote-panda, riserve indiane, fate un po’ voi), mi tocca sostenerle, essendo finora l’unico mezzo che ha dato qualche risultato nel dare spazio alle donne. Quali, poi? Beh, pazienza.
Ma andiamo alla notizia.
È successo che in alcune attività di alta professionalità (in particolar modo in Medicina e Psicologia) le donne svedesi abbiano superato per numero i loro colleghi maschietti. Significa che molte di loro – seppur bravissime, ancor più dei loro colleghi – sono state escluse dalle assegnazioni universitarie (dopo le selezioni), proprio a causa dello sbarramento al 50% che obbliga rigidamente, dal 2003, l’assoluta parità nell’assegnazione degli incarichi accademici.
Il danno, paradossalmente, oltre a penalizzare ancora una volta le donne (sembra quasi assurdo ma è così!) penalizza la società intera perché impedisce di giovarsi delle migliori menti, solo perché eccedenti la quota rosa. Così, il Ministro per l’Istruzione svedese ha accettato di rivedere il sistema delle parità.
Molti anni fa (quasi all’inizio degli ’80 se non ricordo male), negli States successe un episodio analogo. Solo che allora si trattò di una discriminazione au contraire tra bianchi e coloured. Cioè, un ragazzo wasp di nome Bakker (da lì il nome del famoso ‘caso’ giudiziario) si vide negare l’iscrizione universitaria in favore di un coloured, perché eccedente la quota riservata ai bianchi, sebbene si fosse piazzato meglio alle ammissioni.
Poiché rimango granitica dell’idea che siamo tutte persone e solo persone, se proprio dobbiamo operare una distinzione, che allora sia sulla competenza, lasciando perdere ogni altra categoria di genere, razza, religione, credo politico, orientamento sessuale o età.
Se amate, invece, le categorie, aggiungiamone allora un’altra a quelle classiche: uomini, donne e competenti (maschile/femminile plurale).
“Trentatrè, trentatrè e trentatrè”, diceva il mio adorato Massimo Troisi ad un allibito Leonardo da Vinci.
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