Un contagio… Un contagio senz’altro positivo e indelebile quello esercitato sulla sottoscritta dal poeta greco Tito Patrikios che il 21 marzo, Giornata Mondiale della Poesia, ha inaugurato la seconda edizione di “DirePoesia”, encomiabile iniziativa promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Vicenza e da Intesa Sanpaolo e curata dal poeta vicentino Stefano Strazzabosco.
Nelle stupende sale affrescate di Palazzo Leoni Montanari si omaggia l’arte di Calliope, Erato e Euterpe (il richiamo alle tre Muse non è casuale, visto che le Gallerie del palazzo ospitano in questi mesi una preziosa mostra dedicata alle raffigurazioni della femminilità nel mondo greco antico), di fronte ad un foltissimo e altrettanto attento pubblico, da Patrikios fotografato in tre inaspettati e gioiosissimi scatti, l’autore recentemente insignito a L’Aquila di un prestigioso premio internazionale, ha parlato con proficua “leggerezza” di tematiche pesanti come l’occupazione nazifascista della Grecia e la perdita della libertà, la sua partecipazione alla Resistenza che gli aveva fatto rischiare l’esecuzione, il senso di colpa, il vuoto e il valore autentico della poesia “che ci dà autocoscienza, al contrario della Tv che ci dà demistificazione, vuoto e solitudine” e del ridicolo (“meglio dire qualcosa magari ridicola che non dire; la poesia ripudia il silenzio”).
Laureato in Giurisprudenza all’Università di Atene, dopo il colpo di stato dei colonnelli in Grecia, Tito Patrikios è vissuto in esilio a Parigi e a Roma, lavorando come avvocato, giornalista, sociologo e ricercatore. L’Italia gli è sempre piaciuta, e in particolare Vicenza dove con la moglie era già stato più volte “ma senza dormirci; adesso che ci dormo, posso dire di conoscere davvero la città del Palladio”. La lettura in lingua madre di versi tratti da “La resistenza dei fatti” (tradotti in Italia da Crocetti Editore), poi letti nella nostra lingua da Filippo Maria Pontani, docente al Ca’ Foscari di Venezia, ha generato calorosi e protratti applausi fra i presenti. Il poeta, parlando della sua produzione letteraria (che comprende anche racconti e saggi), ha accennato anche a “La casa e altre poesie” (Interlinea Editore), silloge poetica dal sapore autobiografico, anche se - come ribadito dallo stesso Tito, “adesso il poeta scrive la sua autobiografia, mentre dovrebbe avvenire il contrario: il lettore, leggendo i versi del poeta, dovrebbe pervenire alla propria autobiografia”.
In un italiano perfetto (due cenni all’orecchio di Pontani, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, subito confermati nell’esattezza semantico-lessicale), intriso di schietta e pacata ironia, Patrikios è riuscito a calamitare l’attenzione del pubblico e a soddisfare tutti i postulanti: la donna ellenica che rivendicava l’insegnamento del greco nelle scuole italiane (“Sì, sì studiate bene il greco moderno… e non vi servirà a niente”), il signore che gli chiedeva il parere sul senso di colpa nei riguardi dei defunti (“non dobbiamo dimenticare i nostri morti, questo no, ma non dobbiamo lasciarci opprimere dalla colpevolezza”), e anche i bambini ai quali, a fine intervento, ha dedicato il frontespizio dei suoi libri.
Leggo il primo verso de “La casa”: “la casa dove sono realmente cresciuto…” e penso a quanto sarebbe bello avere Tito Patrikios come insegnante o lettore al liceo… leggo ancora alla luce della lezione di vita del poeta greco.
Mi viene in mente che sul tema del ridicolo Wislawa Syzmborska dice: “Meglio il ridicolo di scrivere poesie al ridicolo di non scriverne”.
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