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In viaggio con Cecilia

In viaggio con Cecilia

- Tornare in Piglia per documentare il post-industrale. Le registe Cecilia Mangini e Mariangela Barbanente fanno tappa a Taranto e a Brindisi osservando i due poli industriali

Soleti Maria Alessandra Giovedi, 02/04/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2015

“Le donne hanno bisogno di più tempo per esprimere il proprio pensiero, credo che per cultura preferiscano meditare su quello che dicono e usare con maggiore consapevolezza le parole”, così Mariangela Barbanente, co-regista del documentario ‘In viaggio con Cecilia’, interpreta lo schermirsi di alcune ragazze brindisine dinanzi alla telecamera quando Cecilia le intervista a bruciapelo.

Il cammino delle due documentariste si snoda in modo imprevisto rispetto all’itinerario inizialmente programmato: nell’estate del 2012 l’urgenza degli eventi chiama le due registe Cecilia Mangini e Mariangela Barbanente, entrambe di origine pugliese, a fare tappa prima a Taranto poi a Brindisi, rimbalzando fra i due poli industriali per osservarne la diversa sorte. L’orizzonte è solcato dalle ciminiere, ha così inizio un “viaggio di ritorno” che le porterà “dinanzi” alla camera per riflettere sulle trasformazioni della loro terra, per ascoltarne voci di ieri e di oggi, lamenti e perfino inerti silenzi. Quella “inerzia” che Cecilia Mangini denuncia con disdegno nel documentario; una condizione su cui si confronta con Mariangela Barbanente, compagna di “road riprese”, che a lei controbatte: “A cosa è servito manifestare, imbrattare i muri, protestare?” Eppure continuare a denunciare con le parole e con la macchina da presa è un modo per resistere proprio a quel senso di impotenza, soprattutto in un paese afflitto dalla prescrizione dove vige una memoria a tempo.



Una piaga sanguinante osservata con disincanto dalla giovane regista pugliese: “La vicenda del Petrolchimico è stata archiviata prima ancora di finire nelle aule di un tribunale. Una ferita per la città di Brindisi che la rende più fragile, più esposta, più ripiegata su se stessa. Ecco perché Taranto, in quella magnifica estate del 2012, è stata così reattiva e vivace: perché il fatto che dei giudici avessero riconosciuto il torto a loro fatto ha infuso nuova fiducia. Due anni dopo quella fiducia è stata sperperata facendo ripiombare la città nella disperazione e nel disincanto.” Nelle stanze del potere ancora si discute dalla sorte di uno stabilimento, che lascia in bilico la cittadinanza nella falsa alternativa tra lavoro e ambiente, tra salute e sussistenza; perciò diventa stringente puntare lo sguardo e le camere sull’umanità che respira quei fumi.

 

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