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In ricordo di Susanna Agnelli - di Giancarla Codrignani

In ricordo di Susanna Agnelli - di Giancarla Codrignani

Una volta mi disse “pensa come sarebbe diverso l'impatto con me se mi chiamassi Pecora invece che Agnelli”....

Giovedi, 21/05/2009 - Una volta mi disse “pensa come sarebbe diverso l'impatto con me se mi chiamassi Pecora invece che Agnelli”.

Eletta per la prima volta quando toccò anche a me, ci trovammo in tre a simpatizzare: io, lei ed Emma Bonino. Facevamo nostri commenti da neofite in "transatlantico" e stavamo volentieri vicine durante le interminabili discussioni che lasciavano deserta l'aula, sedute tutte e tre nei banchi del partito comunista. I partiti avvertirono che "non si doveva". Il Partito repubblicano la richiamò all'ordine anche quando, ascoltato un intervento di Luciana Castellina, applaudì: “mi era sembrato un bel discorso...ma in Parlamento si applaudono soltanto i propri colleghi di partito e, più tiepidamente, quelli della maggioranza di cui si fa parte”. Già aveva subito un impatto pesante con Ugo La Malfa quando il PRI le propose di candidarsi, e lei, che era andata a colloquio consapevole ed emozionata, si sentì dire "naturalmente se accettasse suo fratello Gianni, per lei, la cosa cadrebbe" .

Cose che capitano alle donne per una storia troppo antica. Anche Susanna, destinata ad essere "nipote di-, figlia di-, sorella di-“. reagiva alle istituzioni maschili e maschiliste e accompagnò le parlamentari più sensibili che, per esempio, andarono a visitare le carceri femminili facendosi accompagnare da giornaliste femministe perché si realizzasse un'indagine sulla condizione delle donne in prigione. Non tuttavia femminista se, partendo da un sé privilegiato, sosteneva che la violenza sessuale era anche responsabilità delle donne, perché "a lei" non sarebbe mai capitato.

Non aveva remore e esprimeva giudizi severi per puro rispetto della verità. La Stampa le aveva affidato la rubrica "l'Aula", ma gliela tolse subito perché “si offendevano tutti”’, e anche il fratello Umberto, che aveva accettato di essere senatore per la DC, ricevette non tenere critiche. Andò nel Cile di Pinochet e per i suoi giudizi i giornali locali le attribuirono l'iscrizione al partito comunista; non così in Argentina, dove non poteva solidarizzare con la resistenza dei fratelli Santucho che avevano rapito e ucciso il rappresentante della Fiat. Da sottosegretaria agli esteri, lavorava senza risparmio e rispondeva, spesso di sua mano, a chi l'interpellava. Tuttavia, né il ruolo parlamentare, né la rappresentanza del governo le sembravano così costruttive come la responsabilità di sindaco: ricordava l'amministrazione del comune dell'Argentario come la sua attività migliore, anche se avendo difeso a spada tratta l'ambiente contro la speculazione edilizia, ne era uscita sconfitta. E' la sola volta che dice di avere pianto. Lo dice in quel libro ‘Addio,addio mio ultimo amore’, meno noto di ‘Vestivamo alla marinara’, ma più trasgressivo e perbenisticamente occultato ad opera dei grandi apparati di famiglia.

Il pettegolezzo giornalistico le dava fastidio: meglio la verità, nuda. Anche per sé stessa meglio l'autenticità e mettere per iscritto il nome e cognome dei suoi partners e il giudizio impietoso su uomini che si presumevano Pigmalioni.

Pigmalioni per Susanna?! Se li incontra mai nell'aldilà si sprecheranno le ironie.

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