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In pensione a 65 anni? Vorrei scegliere

In pensione a 65 anni? Vorrei scegliere

Note ai margini - Cosa accade se dietro le scelte c’è soltanto il tentativo di fare cassa a tutti i costi

Castelli Alida Giovedi, 29/07/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Agosto 2010

Tutte le discussioni politiche stanno diventando sempre di più come il tifo da stadio. Non ci sono argomentazioni, ma dei veloci pro o contro, anche quando le questioni sono importanti e coinvolgono le nostre vite. Penso a quanto sta nuovamente accadendo sulla questione dell’età pensionabile delle donne del Pubblico impiego. Il recente nuovo richiamo dell’Unione europea si sta rivelando ancora una volta questo, un semplice pro o contro: anche la presidente di Confindustria Marcegaglia interrogata in proposito ha affermato che “è un tema che non la spaventa e che va affrontato”. Allora bisognerebbe affrontarlo, e capire anche perché sono alcuni anni di fronte alle richieste della Corte Europea e della Commissione il nostro governo o non ha risposto o ha risposto solo in modo non soddisfacente: anche il recente provvedimento di innalzare gradualmente l’età pensionabile per le donne è stato giudicato insufficiente. Eppure quello che ci è stato contestato deriva dalla mancata applicazione del concetto che occorre garantire “parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile”.

Il Governo italiano avrebbe dovuto più efficacemente spiegare che era “una facoltà” per le donne del settore pubblico, come per quelle del privato andare in pensione al raggiungimento dei 60 anni e non un obbligo, quindi discriminatorio. Questa facoltà venne introdotta nel nostro ordinamento dalla legge di parità 903 del 1977, e anche recentemente ribadita nel “codice delle pari opportunità”. (Codice nel quale è stato anche introdotto una differenziale a svantaggio delle donne per tutte le prestazioni previdenziali complementari partendo dalla considerazione che l’aspettativa di vita media delle donne è più lunga di quelle degli uomini).

La soluzione adatta potrebbe essere quella di reintrodurre il concetto di flessibilità per tutti: magari con un range che potrebbe andare tra i 60 e i 70 anni, e ciò non peserebbe sul sistema pensionistico, in quanto ognuno percepirebbe in base a quanto versato. E per molte donne poter scegliere di continuare a lavorare potrebbe essere vantaggioso per poter percepire una pensione un po’ più “pesante” visto che molte sono state lontano dal mondo del lavoro durante la maternità, e per accudire i figli, gli anziani.

Cercare soluzioni oneste per donne e uomini, non in contrasto con le norme europee, è possibile, non si può, se dietro le scelte c’è invece soltanto il tentativo di risparmiare, di fare cassa a tutti i costi.



(23 agosto 2010)

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