A proposito del certificato di verginità: fino a che punto è lecito accettare e preservare nella società determinate pratiche in nome del rispetto di una particolare tradizione culturale?
Domenica, 11/10/2020 - Fino a che punto è lecito accettare e preservare nella società determinate pratiche in nome del rispetto di una particolare tradizione culturale? Fino a quando, credo, non vengano lesi i diritti inalienabili di ciascun essere umano.
Il certificato di verginità previsto prima del matrimonio per le donne islamiche, su cui si sta dibattendo in Francia, nega loro il diritto alla dignità, alla libertà e alla uguaglianza e perciò pone una questione di importanza immensa e che in linea di principio riguarda tutti.
Non è una novità che in nome delle tradizioni e delle religioni siano state perpetrate ingiustizie fino ai crimini più disumani.
Anzi, spesso la religione diventa lo scudo dietro al quale si nascondono le vere origini di costumi retrivi e prevaricatori. A questo proposito val la pena ricordare che nel Corano la verginità di una donna non è menzionata come una condizione necessaria al matrimonio e che lo stesso Maometto sposò come sappiamo una vedova.
Il test di verginità, con conseguente certificato, disconosce innanzitutto il diritto alla parità dei sessi. Perquisire il corpo di una donna per verificare l’integrità del suo imene è una prepotenza insopportabile che viene spacciata per pratica etica e fatta risalire a un valore sacro, mentre invece viene violato il corpo delle donne e prima ancora il loro decoro e la loro coscienza.
Purtroppo questa legge è simbolica del dominio dell’uomo sulla donna alla quale non sempre viene riconosciuta la facoltà della autodeterminazione: in nome della legalità e di ideali morali, essa viene controllata brutalmente e perciò cosificata.
Di fatto, anche nel mondo occidentale, apparentemente apologetico nei confronti della libertà di ogni essere umano, sussiste una forte corrente, pur mascherata, che diffonde nei modi più ipocriti la supremazia maschile sulle donne fingendo disinvoltamente che il sistema patriarcale sia una realtà che ci siamo lasciati alle spalle.
Non sarà che è solo cambiato il modo di perpetrare il condizionamento? Basta dare uno sguardo alla pubblicità o alle trasmissioni televisive dove a tutt’oggi la donna viene presentata e ‘offerta’ come merce del desiderio. Desiderio, si badi bene, appannaggio anche dalle donne stesse che spesso si immedesimano inconsciamente in quelle immagini insultanti come se fossero una promessa di felicità.
Altrimenti non si spiega la rincorsa affannosa - e dispendiosissima - delle donne per emulare presunti ideali estetici che appaiono come il viatico per la beatitudine, mentre gli uomini vedono implicitamente legittimarsi l’atavica tendenza al possesso della donna che rischia di essere identificata quasi esclusivamente attraverso il suo corpo.
Altrimenti non si può venire a capo del fatto che ancora oggi il sentimento della gelosia venga spacciato per amore e che, in nome dell’amore, tante donne accettino violenze quotidiane mentre con gratitudine si credono oggetto esclusivo dell’amore del partner.
Altrimenti non si capisce come tuttora vengano concessi ai figli maschi e alle figlie femmine libertà diverse nel corso della loro crescita “educandoli” a pensare che il ‘maschio’ può - anzi deve - fare il più possibile esperienza del mondo mentre la ‘femmina’ deve sottostare a determinate regole di perbenismo.
Altrimenti non si comprendono i femminicidi purtroppo ben distribuiti in tanti paesi del mondo.
Non sono sicura che stiamo percorrendo la via maestra della emancipazione, della conquista dei diritti universali e della libertà come viene da più parti teorizzato. Mi sembra piuttosto che si siano trovate strade più subdole per continuare a ridurre la donna a una condizione di subalternità, mentre sia gli uomini che le donne smarriscono ogni giorno la rotta verso una autentica serenità e la possibilità di incontrarsi su un piano di onestà e di parità.
In nome dell’amore si può - disgraziatamente con troppa facilità - veicolare odio e rabbia, dei quali incredibilmente non ci si occupa nella ‘evoluta’ società contemporanea e di cui poco si parla.
Come possono alcuni medici francesi difendere questa pratica come un baluardo contro la violenza sulle donne ignorando che quest’ultima avrebbe bisogno di ben altre scelte per essere combattuta? Che pseudo soluzione è mai questa? Siccome ci sono uomini che stuprano le donne, allora si indaga il loro imene piuttosto che indagare e fare fronte alle origini della violenza stessa?
Naturalmente la condizione generale di aggressività camuffata produce non solo malessere nelle relazioni, ma vere e proprie patologie sia negli uomini che nelle donne.
D’altronde non c’è da meravigliarsi che la società sia malata, se persino la classe medica, che dovrebbe occuparsi della salute dei cittadini, sceglie spesso di ignorare le vere cause delle loro sofferenze.
Se un medico ha il sospetto che la paziente che chiede il test di verginità corra dei rischi di violenza, perché ritiene che fornendo il certificato abbia svolto ed esaurito il suo compito? Perché non si fa carico di quella sofferenza? Perché non solleva il problema facendosene quantomeno portavoce per coinvolgere il Sistema sanitario, l’Ordine dei medici, le istituzioni affinché se ne occupino nel modo più efficace possibile? Perché ad esempio non si promuovono delle politiche di sensibilizzazione con il supporto di psicoterapeuti ed altre figure professionali? Perché l’equilibrio di quella singola ragazza, e di tutte le altre, deve essere ri-consegnato al clima di prepotenza nel quale vivono?
Se il Bene è davvero tale, quello degli uomini non può che corrispondere a quello delle donne e viceversa; perciò finché non sarà una acquisizione reale che il vero bene è uno e quindi deve coincidere con quello di tutti, si continuerà ad andare avanti sul filo di un tragico ‘equivoco’ che produrrà conflitti e infelicità, magari soffocati al massimo, ma pur sempre vivi e in grado di agire in modo venefico parimenti su uomini e donne.
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