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In memoria di Fakhra. Una conversazione con la giornalista di guerra Barbara Schiavulli.

In memoria di Fakhra. Una conversazione con la giornalista di guerra Barbara Schiavulli.

Il 17 marzo di un anno fa Younas Fakhra si è uccisa gettandosi da un balcone. Una conversazione con la giornalista di guerra Barbara Schiavulli

Domenica, 17/03/2013 - "Ci sono storie mortali che non devono essere dimenticate. Storie che ti trascinano nel fango in cui sono state gettate. Storie che sono di persone ma che diventano di tutti. Storie dove il dolore diventa coraggio fino a che uno non ne può più. Storie dove la vita ti marchia e ti uccide piano piano. Fakhra si è uccisa. Ma la sua morte è cominciata molto tempo fa. Si è buttata da un balcone di Roma qualche giorno fa, decisa a non essere salvata per la quarta volta. La mano che l’ha spinta da lontano è quella del marito che più di dieci anni fa in una notte colma di gelosia, l’ha cancellata con l’acido. Ha violato il volto di una bella ragazza pakistana. Ha trafitto il suo spirito e un’anima a brandelli non sopravvive. 'Ho paura che gli altri abbiamo paura di me quando mi guardano' disse una volta Fakhra trasferitasi a Roma per operarsi. 39 volte per potersi guardare senza riuscire a capire quanto fosse bella. Quanto ognuna di quelle piaghe fosse un gioiello che le attraversava il volto, quanto la sua forza la rendesse ricca, speciale, unica. Non era un mostro. Non poteva fare paura a chi la conosceva perché gli occhi della gente sanno riconoscere quello che vale. Sanno riconoscere la forza, il coraggio. E anche la sofferenza" (Barbara Schiavulli).

Il 17 marzo di un anno fa Younas Fakhra si è uccisa. Da architetto ancora una volta mi trovo a sconfinare in un territorio intermedio che non ha a che fare con l'architettura in senso stretto, ma ha a che fare con le forme sociali dell'abitare, con il modo di sostenere o calpestare i diritti, le ragioni e le forme della vita. In questo senso, la condizione femminile è ancora un problema, un territorio di abuso e sopruso, in buona parte del mondo. Per questo credo sia importante parlarne, discutendone con Barbara Schiavulli, giornalista freelance, da quindici anni in prima linea tra Medio Oriente, Africa ed Asia.



Barbara in base alla tua esperienza in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Israele, Palestina, come vive una donna in quella parte del mondo?

Le donne musulmane, come la maggior parte delle donne del mondo, vivono a seconda del loro status sociale. Le donne benestanti, che hanno studiato, che hanno famiglie che viaggiano vivono meglio e svolgono un ruolo importante nella società civile e spesso politica di un paese. Ma i progressi di classe non si applicano a tutte le donne del proprio paese. Anche se il Pakistan ha avuto un primo ministro donna, non significa che non ci siano centinaia di altre sfigurate dall’acido perché i mariti pensano che così si debba proteggere il proprio onore. In Afghanistan il 25 per cento del parlamento è donna, ma l'80 per cento delle afgane non sa né leggere, né scrivere. Ci sono matrimoni combinati, ragazzine vendute per pagare i debiti. In Iran le donne per legge devono girare velate, ma poi quando entrano nelle loro case e chiudono le porte, spuntano minigonne e alcool. In Arabia Saudita le donne non possono guidare, ma indossano collane da migliaia di euro. Le donne del Medio e Vicino oriente vivono le contraddizioni di paesi ancora radicati nelle tradizioni dove l’uomo comanda e non ha grandi intenzioni di cambiare qualcosa che fa comodo. Questo vale anche per le donne ebree ortodosse dove lo stile di vita non cambia molto da quello delle donne musulmane.

La differenza la fa la cultura, quando una donna comincia a conoscere, comincia anche a pretendere i diritti che scopre di poter avere. E allora la sua vita diventa una fuga verso una nuova vita, in posti spesso non ancora pronti a stare al passo. Diventa una vita da donne che corrono verso la libertà ma che affondano negli ostacoli, spesso letali. Ma le donne sanno essere forti. Hanno risorse spesso inaspettate, si piegano ma raramente si spezzano e riconoscono il limite di quanto possono sopportare. Il problema è che realizzato questo ci siano strutture pronte ad accoglierle e a capirle, dalle scuole, ai centri antiviolenza, alla politica.



Che idea ti sei fatta della differenza tra gli spazi privati delle case, lo spazio pubblico della città (strade, mercati, caffè...) e altri spazi intermedi dedicati magari solo alle donne?

Le donne vivono di solito in contesti separati, si va dalla spiaggia solo donne in Libano, all’autobus israeliano dove le donne ebree ortodosse di Gerusalemme si devono sedere in fondo. In Afghanistan nei ristoranti ci sono sale per donne, sale per uomini e sale per famiglie. Ma questo non è sempre male, fa sentire le donne al sicuro. In Afghanistan non c’è più l’obbligo sociale o legale di indossare il burqa, ma se non lo impongono i mariti, sono le donne stesse a volerlo indossare per sentirsi più protette. Se nessuno ti vede, nessuno può riferire o parlar male. I ragazzi e le ragazze sono in genere separati anche a scuola, si incontrano molto in internet, o clandestinamente nei caffè. A Teheran c’è una delle strade principali, una tra le strade più trafficate al mondo, dove ragazze e ragazzi chiacchierano e fanno conoscenza attraverso i finestrini da una macchina all’altra mentre sono in coda. Anche le case sono divise, le donne stanno nel loro spazio dove non vedono di solito gli amici del marito che vengono accolti in una sala dove loro entrano raramente. Nei paesi del nord africa dove la condizione delle donne è più serena, le donne affollano anche le strade, non hanno timore di essere belle. In Libano le banche offrono persino prestiti per la chirurgia plastica.



Internet e in particolare i blog stanno assumendo un ruolo importante di incontro, confronto e anche in un certo senso di riorganizzazione culturale anche nel mondo arabo. Che ne pensi?

Ritengo sia uno strumento di socializzazione a doppio senso, vero che può essere stato uno dei veicoli di trasmissione della rivolta, vero anche che grazie ad internet le organizzazioni terroristiche sono fiorite e hanno imparato ad essere moderne ed efficienti telematicamente nonostante quello che predichino. Internet raggiunge tutti, nel bene e nel male. Come crea onde di dissenso, crea anche classi di estremisti che possono essere istruiti da imam radicali a migliaia di km di distanza. A Kabul tutti hanno il telefonino, ma molti firmano il contratto con gestore della linea con l’impronta digitale perché non sanno neanche scrivere il proprio nome. Detto questo, le città pullulano di internet caffè, basta solo pensare a quanto è utile per le famiglie che vivono a Gaza e non possono incontrare i parenti che stanno in Cisgiordania. Una volta incontrai una ragazza di Ramallah (Cisgiordania), che grazie a skype si innamorò di un ragazzo, si fidanzò con le rispettive famiglie davanti al video, ma al momento del matrimonio dovette dire addio ai suoi genitori, andare in Giordania, entrare in Egitto, e poi attraverso i tunnel attraversare la frontiera con Gaza e incontrare per la prima volta il suo fidanzato conscia che non sarebbe mai più potuta tornare indietro perché gli israeliani non lo avrebbero permesso...

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