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In Italia una donna

In Italia una donna

Il comunicato dell'Udi di Napoli sulla donna segregata e torturata insieme ai suoi figli

Lunedi, 05/10/2009 - Segregata e torturata insieme ai suoi figli, in uno Stato che ripudia la guerra e la tortura, nella famiglia sede d’ogni diritto. Una donna senza telefono, senza contatti con l’esterno, violentata e maltrattata davanti ai suoi figli. Dal capo-famiglia. La contraddizione quotidiana tra principi e realtà fa vittime.



È successo a Napoli, mentre succede in tutte, lo sappiamo, tutte le altre città e con una frequenza mal rappresentata dalla cronaca, che continua a chiamare gli aguzzini mostri, come se fossero una rarità. Non sempre riteniamo di dover scrivere sull’emergere della violenza sessuata, perché le donne sanno del nostro impegno della partecipazione al loro dolore, e la stampa è a piena conoscenza della nostra attività. Abbiamo una dimensione attiva fattiva che non va confermata sempre e a prescindere.



Le modalità di liberazione della vittima e dei suoi figli ci spingono ad esprimerci per motivi densamente politici ed attinenti al deriva pubblica in materia di contrasto alle violenze.



Il fatto che a denunciare e rendere possibile la liberazione sia stata la madre e nonna delle vittime, dice molto sulla retorica “del coraggio di denunciare”, che è la cifra unica degli spot governativi attualmente trasmessi. E dice anche molto sul fatto che lo stupro e i maltrattamenti siano sottoposti più di altri alla possibilità ricattatoria dei delinquenti autori, per effetto della legge che prevede una denuncia-querela. Non sarà mai abbastanza ripetuto che stupri e maltrattamenti precedono direttamente e indirettamente la morte. E la morte delle donne per mano di uomini ha dimensioni sociali estese e impresse in ogni sistema. Si chiama femminicidio.



Scriviamo con dolore di questo ennesimo delitto anche perché ci dà l’opportunità di evidenziare la circostanza che a documentare, e sostenere la vittima, con refertazione precisa lo stato fisico e psicologico gli effetti del reato, è stato un ospedale pubblico: il S. Paolo di Napoli.



Le prove in questo caso non saranno perse, né occultabili.



Ormai andiamo dicendo da anni, che il contrasto alle violenze lo fanno le donne, anche attribuendo le giuste responsabilità istituzionali. Le responsabilità del pronto soccorso di ogni ospedale sono da attivare, come diciamo pubblicamente e ripetutamente dal 2005, doverosamente.



Lo sportello antiviolenza del S.Paolo , costruito sulla spinta di un movimento di donne e col lavoro volontario di Elvira Reale, che ha predisposto la competenza che quella donna ha trovato, non deve e non può restare un esperimento. Ogni vittima di violenze sessuate ha diritto, ovunque, di trovare nel pronto soccorso la competenza che nessuno si sognerebbe di negare ad un malato di cuore.

Udi di Napoli



Napoli, 01/10/09

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