In Irlanda una campagna contro il divieto di aborto
In Irlanda abortire è illegale, fatta eccezione per il caso in cui la salute della madre sia a rischio. Ogni anno 4mila donne raggiungono il Regno Unito per avere accesso all’interruzione volontaria di gravidanza.
Le donne irlandesi ci mettono la faccia. Questa l’idea diThe X-ile Project, campagna per chiedere la legalizzazione dell’aborto, che raccoglie i volti di chi ha avuto accesso all’IVG solo oltre i confini del paese. Dagli anni Settanta, quando un referendum costituzionale vietava l’interruzione volontaria di gravidanza, sono state 177mila le donne che hanno raggiunto il Galles e la Gran Bretagna, ma anche l’Olanda e il Belgio, per abortire. Un esilio, suggerisce il nome del progetto, causato dalle restrizioni che il paese riserva alle possibilità di portare a termine la gestazione.
Fatta eccezione per il caso in cui la vita della madre sia a rischio, in Irlanda l’aborto è illegale. La non legalità permane nella circostanza dello stupro, incesto, malformazione del feto e problemi per la salute della donna. Oggi un medico nel procurare un aborto illegale, o una donna che abortisce illegalmente, rischia 14 anni di carcere. E fino al 2014 la pena prevista era l’ergastolo.
Puntato il dito contro la restrizione delle norme, il progetto vuole mostrare come «le donne che viaggiano per avere un aborto hanno preso una scelta responsabile. Sono le nostre vicine di casa, le colleghe di lavoro, le madri e le figlie». Dare visibilità alle storie per alimentare un dibattito pubblico e rovesciare lo stigma sociale riservato al pro-choice gli obiettivi da raggiungere. «Crediamo sia fondamentale stabilire relazioni forti tra le donne che hanno dovuto lasciare l’Irlanda per accedere all’interruzione volontaria di gravidanza. E presentarle come un gruppo coeso», dichiarano le fondatrici.
Lanciato il 10 dicembre, The X-ile Project ha raccolto le prime undici testimonianze. E il numero sembra destinato ad aumentare; «sono numerose le donne che negli ultimi tempi hanno raccontato le loro esperienze e The X-ile Project ne raccoglie l'eredità. Continueremo a chiedere di partecipare alla campagna. È il momento di costruire un futuro progressista in cui le donne sono ascoltate e rispettate. Ci impegniamo a rompere il tabù dell’aborto e siamo vicine a chi ha lasciato l’Irlanda per potervi accedere». Secondo la tesi che solo l’eliminazione dello stigma, e la variazione della percezione sociale, permetterà il cambiamento legislativo.
Sulla criminalizzazione dell’IVG si erano già espresse Amnesty International – con la campagna #notacrime organizzata nell’ambito di My body my rights – e la Corte europea dei diritti umani. Nel 2014 quest’ultima aveva stabilito che, a causa dei limiti imposti, l’Irlanda violava la Convenzione sui diritti umani. Sul banco dell’accusa non solo le barriere di accesso troppo alte ma anche l’impatto finanziario, psicologico e fisico riservato a chi abortisce fuori dal paese. Eppure sembrerebbe – come riporta in un’intervista rilasciata ad Amnesty International il direttore dell’Irish Family Planning Association (Ifpa) – che piccoli cambiamenti siano in atto. Non solo perché l’Irlanda vede se stessa come un paese democratico e occidentale e la legge sull’aborto, di fronte alle pressioni della comunità internazionale, provoca imbarazzo. In maniera particolare perché la vittoria del referendum sui matrimoni omosessuali ha segnato un cambiamento nell’opinione pubblica e nella percezione dei diritti sessuali e riproduttivi.
Per quanto riguarda casi estremi come lo stupro, l’incesto o le malformazioni del feto, il 75-80 per cento sarebbe favorevole a legalizzare l’IVG. Un aspetto non marginale se si ricorda la storia della ragazza di 14 anni, rimasta incinta a seguito di una violenza, alla quale lo Stato tentò di impedire di recarsi all’estero per interrompere la gravidanza.
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