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In grotta con Ottavia Piana e con la speleologia, questa sconosciuta

In grotta con Ottavia Piana e con la speleologia, questa sconosciuta

La professionalità e la generosità di 156 volontari esperti arrivati da 13 regioni, 6 medici e 8 infermieri l'hanno salvata, facendo conoscere l'importanza anche scientifica di questa disciplina, anche ma non solo sportiva

Domenica, 22/12/2024 - Il femminile di giornata / trentanove. In grotta con Ottavia e con la speleologia, questa sconosciuta
Ottavia Piana è una speleologa esperta la cui disavventura nella grotta di Bueno Fonteno in provincia di Bergamo, seguita per giorni su tutti i giornali fino al suo lieto fine, ha permesso di scoprire un'attività importante e poco conosciuta come la speleologia e il mondo umano e scientifico che la pratica, spesso immaginato semplicemente come passione sportiva. Una vicenda che ha mostrato  l'ignoranza e i pregiudizi, espressi con superficialità ed arroganza, di chi non sa e più che a capire è interessato a trinciare giudizi e cattiverie aprendo la bocca e dandogli fiato con l'aggravante, oggi, di poterli divulgare sul web.
Ripartiamo da Ottavia per ripercorrere giorni di paura e speranza segnati da tanto lavoro, passione e professionalità ad altissimo livello.
Ottavia, 33 anni, è una speleologa stimata, con una lunga “militanza” ed esperienza nel sottosuolo. Il 14 di dicembre discende, insieme ad altri nove colleghi, nella grotta Abisso di Bueno Fonteno in provincia di Bergamo per effetuare delle ricerche in una parte della grotta non ancora mappata e da lei ben conosciuta e studiata e dove, già nel luglio del 2023, aveva avuto un incidente notevole. In fasce di uscita dalla grotta scivola e fa un salto di sei metri. I suoi colleghi, valutata la gravità della situazione, mettono in moto la richiesta di soccorso. Quella del salvataggio è una storia al batticuore, ma esemplare per il suo lieto fine non casuale ma frutto di professionalità, pazienza, competenze e dello spirito di collaborazione e solidarietà che arriva e parte da Ottavia stessa, come racconta il medico che l’ha accompagnata nel suo viaggio verso la salvezza e come narra l’infermiera che le è stata al fianco per più di tre giorni.
L’incidente, verificatosi a 4 km dall’ingresso della grotta e a più di 600 metri di profondità, ha impegnato 159 tecnici del soccorso alpino e speleologico arrivati da 13 regioni italiane, 6 medici e 8 infermieri con la solidarietà concreta del paese di Fonteno, appunto, dei Carabinieri dei Vigili del fuoco e, probabilmente, di tanti altri ancora. Un vero esercito coeso attorno alla nostra Ottavia, che proprio grazie alla solidarietà, stima e affetto dei soccorritori non ha mai smesso di collaborare facendola strisciare in barella in un ”viaggio” doloroso e faticosissimo di 75 ore per lei e anche per chi l’accompagnava in gara col tempo e nella difficoltà oggettiva della situazione.
Non a caso in quello che, dal racconto giunto a no , è stato per Ottavia un breve momento di sconforto, nonostante il dolore di molteplici fratture: decisiva è stata la forza datagli dai suoi soccorritori che le hanno spiegato come un dictat, che la volevano fuori con loro e l’avrebbero salvata.
E certo non è strano che Ottavia ad un certo punto, con la voce incrinata dal dolore, al medico che l’ha seguita in tutto il viaggio dal centro della terra abbia detto “non entrerò più in grotta”. Ma è altrettanto credibile che i commenti a questa frase, dei molti soccorritori che la conoscono, siano stati “non ne siamo sicuri”.
Ed è comunque proprio la lunghezza, l’ansia, la difficoltà del salvataggio seguito dal 14 al 18 dicembre da molti giornali - anche in prima pagina - che ha sviluppato un dibattito importante su cosa sia davvero la speleologia e su quali ne siano i troppo poco conosciuti protagonisti.
Vale la pena di sottolineare che, come oramai siamo purtroppo abituati, molti sono stati gli insulti e le cattiverie conditi di ignoranza e presunzione destinati a Ottavia, primo fra tutti chi avrebbe pagato il suo salvataggio. Ed è proprio da qui che vale la pena di iniziare.
Gli speleologi e le speleologhe hanno sempre un’assicurazione che li copre dall’inizio alla fine dei loro percorsi, bassissimi sono tra l’altro gli incidenti per la preparazione formidabile a cui sono abituati. La speleologia non è - come viene percepita - semplicemente uno sport ma è una disciplina che studia il sottosuolo, ovvero le grotte, le caverne naturali la loro origine ed evoluzioni, i fenomeni fisici, biologici antropici che vi si sono svolti e si svolgeranno. Ed è alla speleologia che si deve in modo davvero speciale, come esempio d'eccellenza, lo studio, la ricerca il controllo delle sorgenti sotterranee dell’acqua e del loro inquinamento e tanto d’altro.
Le ricerche degli speleologi sono il “materiale” di lavoro di innumerevoli laboratori scientifici. Senza, per questo, sottovalutare anche l’adesione sportiva.
Ed è come nel caso di Ottavia e dei suoi colleghi che proprio come ricercatori si trovavano nelle viscere della terra, per passione e senza alcun finanziamento pubblico.
E così ci si angoscia e ci si appassiona seguendo i frequenti e tragici incidenti in montagna, le cui immagini, spesso, di una natura potente e affascinante fanno da sfondo a tragedie inenarrabili. E mentre nessuno si chiede chi pagherà per quei salvataggi, a fronte del mistero delle grotte dell’impossibilità di seguire e comprendere un mondo sotterraneo e misterioso, l’imbecillità di chi non sa, esplode in tutta la sua ignorante cattiveria.
Ma a fare da contraltare a tutto questo, per chi voglia capire c’è proprio la cronaca delle “avventure” di Ottavia dove è emersa la storia di una solidarietà e condivisione umana, di una partecipazione di volontari, dall’incredibile professionalità di colleghi speleologi che l’hanno estratta dalle viscere della terra, dove con altri nove era scesa, proprio per ricerche scientifiche, con una preparazione condita d’affetto, stima e mi viene, con coraggio, l’uso di una parola che rischia sempre la retorica ma che ogni tanto ci vuole: amore.
Gli speleologi appaiono un po' come dei marziani, ma mentre il cielo affascina e fa sognare, la terra buia non ha altrettanto impatto di massa, eppure chi la sceglie ne sento il mistero e al tempo stesso l’importanza dei millenni della storia umana dell’evoluzione del nostro sottosuolo.
Ottavia, come i suoi e le sue colleghe, da questa miniera dell’umanità il cui oro è la conoscenza, nonostante un precedente incidente di solo un anno prima non ha saputo e voluto resistere al fascino dell’Ade, ed è per questo che i suoi colleghi non sono certi che nonostante il dolore, le fratture è certo che non tornerà laggiù nella grotta che respira, come viene definita per il vento che soffia e canta.
Mentre - uscita dalla grotta e accolta dal suo fidanzato, veniva portata immediatamente a Bergamo all’ospedale Papa Giovanni - la stampa e i tanti notiziari ci raccontano la gioia e la festa dei soccorritori, il loro entusiasmo non solo di aver salvato una vita (e per molti di loro anche di un'amica) ma di avere vinto la grotta, di averle detto: non ci avrai, la ricerca continua!
Di Ottavia Piana si hanno notizie confortanti: nonostante le molteplici le fratture pare che il tempo le renderà tutte “risolvibili”. Non solo glielo auguriamo, ma aspettiamo di sentire la sua voce e il suo racconto, in particolare, di cosa abbia significato per la sua salvezza l’umanità di altissimo livello professionale che le ha dato o comunque nutrito il coraggio e le ha ridato il futuro.
Paola Ortensi

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