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In diretta dalla storia

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Partimmo dal voto / 1 - Tra il 1944 e il 1946 Noi Donne sostiene il suffragio universale e combatte le resistenze dei politici (maschi). Alcuni flash sul dibattito del tempo

Silvia Vaccaro Sabato, 28/05/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2016

Che senso ha votare oggi? Una domanda che tanti e tante si pongono in un momento di crisi delle democrazie a livello globale. Eppure questo 2016 è un anno speciale per il voto in Italia: proprio settanta anni fa le donne conquistavano, non senza fatica, il diritto a una piena cittadinanza. Sebbene sia in Italia che in altri paesi già dalla fine dell’Ottocento fossero iniziate le lotte per il suffragio femminile, nel nostro paese fu solo con le elezioni amministrative, nel marzo del 1946, e poi con le votazioni del 2 giugno che le donne mossero i primi passi nelle istituzioni. Le pagine di Noi Donne, che come rivista di politica femminile era nata ufficialmente già due anni prima, nel luglio del 1944, rappresentano una fonte preziosa per ricostruire le fasi che precedettero le prime votazioni cui presero parte anche le donne. Riflessioni lucide e coinvolgenti, quelle che si trovano sfogliando l’archivio, come le parole Marisa Rodano che nel gennaio del 1946 sul numero 11 di Noi Donne scriveva: “Il Consiglio dei Ministri ha approvato la legge elettorale amministrativa e ha approvata anche la data dei comizi elettorali che avranno luogo ai primi di marzo.[…] Vi sono alcuni, cioè, che hanno uno strano ragionamento; essi dicono: ‘Le donne italiane non hanno mai votato, quindi in gran parte non si cureranno di votare. Bisogna che la legge stabilisca che votare è un obbligo per tutti i cittadini e che chi non vota dovrà pagare una forte multa’. Che ve ne pare, di questo discorso, care amiche dell’UDI? […] Voi risponderete sicuramente che questa teoria che il voto sia un obbligo è molto nuova: quando le donne lottavano per conquistarsi il diritto di votare, non è mai venuto in mente a nessuno di dire che il voto era un obbligo. Come mai a questi signori viene in mente solo ora che il voto non è un diritto, ma un obbligo?”. E aggiungeva: “E se poi ci fosse qualche donna che, malgrado tutto, non avrà compreso l’importanza e il dovere morale (dovere verso se stessa, la sua famiglia, i suoi figli) di andare a votare e si asterrà dal voto, noi domandiamo ai sostenitori del voto obbligatorio: se questa donna fosse obbligata per legge a votare, quale contributo potrebbe dare? Se non è nemmeno arrivata a comprendere l’importanza di andare a votare, come saprà scegliere con giudizio per chi votare? Voi dite che tutti i cittadini devono contribuire a ricostruire il paese. Ma per far questo non basta andare a gettare una scheda in un’urna senza sapere quello che si fa. Per far questo bisogna essere coscienti e coscienti si diventa nella libertà!”.

Sebbene ci fossero stati uomini, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, che sostenevano il voto alle donne, durante il ventennio fascista, in cui le donne venivano educate sin dai banchi di scuola ad essere le regine della casa e nulla più, e durante i tragici anni della Seconda guerra mondiale che seguirono, alle donne italiane fu negata una piena cittadinanza. Per questo la battaglia per il diritto di voto assunse, non appena furono deposte le armi, assoluta centralità. Rosetta Longo nel febbraio del 1946 la descrive così: “Una fondamentale conquista per le donne italiane è stata quella del voto. […] Ben a lungo dunque gli uomini hanno difeso questo privilegio che sanciva la loro superiorità riservandosi la qualifica di cittadini. Lo hanno difeso armati della forza della tradizione: una tradizione che risaliva ai lontani tempi in cui il diritto di partecipazione alla vita pubblica era connesso al dovere di impugnare le armi. […] Ben lontani quei tempi e ben diversi. Ora ogni guerra richiede la partecipazione di tutti, uomini e donne. Non si tratta soltanto di combattere – e del resto anche le donne hanno combattuto - ma di sopportare e resistere ad ogni genere di sofferenza e di privazione. […] Quindi, se pur ci teniamo a rispettare la vecchia tradizione, possiamo ben dire di avere conquistato il diritto di essere considerate cittadini, parte integrante dello Stato. Ma nel diritto ottenuto noi non vediamo solo il riconoscimento dovuto alle combattenti, alle partigiane, alle martiri, alle eroine; noi vediamo un riconoscimento, a cui teniamo assai di più: quello dell’opera insostituibile della donna nella famiglia e nello stato, del suo contributo di lavoro fecondo e indispensabile, della sua intima energia, fonte di speranza e di forza”. Non solo un riconoscimento alle deportate, fucilate e arrestate, alle oltre 40mila staffette e partigiane che combatterono per la Liberazione e si organizzarono nei Gruppi di Difesa della Donna, conquistandosi un ruolo da protagoniste nella Storia, bensì un diritto per tutte le donne alla partecipazione politica a partire dal quel contributo enorme e invisibile che le donne davano (e danno) alla società attraverso il lavoro di cura. Pochi mesi dopo le donne di Novara scrivono al giornale tornando proprio sull’importanza della politica – e quindi della scelta dei candidati da votare - nel determinare aspetti concreti della vita di una donna. “La donna ha votato e voterà perché vuole un domani migliore, un domani in cui la maternità sia rispettata, in cui l’infanzia, la fanciullezza, la gioventù, la vecchiaia siano tutelate con eque previdenze, in cui l’intelligenza dei bambini dei lavoratori sia riconosciuta e le porte dell’Università siano aperte anche ad essi, in cui la lavoratrice sia considerata alla stessa stregua del lavoratore”.




Nonostante i leader dei due maggiori partiti politici - il PCI e la DC - intuirono da subito la convenienza politica dell’estensione del voto alle donne, tale conquista non fu scontata. In un primo momento il diritto di voto nacque monco, poiché il decreto del 1945 non contemplava anche la possibilità che le donne venissero elette (elettorato attivo) ma solo che fossero elettrici (elettorato passivo). Tanti uomini politici di fatto erano contrari al suffragio universale e consideravano le potenziali elettrici ignoranti, inadeguate, non meritevoli di esercitare una piena cittadinanza. Ma ormai non si poteva tornare indietro. L’argine dei conservatorismi dovette cedere all’impeto vitale delle donne, che votarono per la prima volta alle elezioni amministrative nella primavera del 1946. “Le elezioni di domenica 10 marzo hanno dato ragione a noi e non ai pessimisti. Molte donne per la prima volta hanno assistito ad una riunione pubblica, ad un comizio, e hanno sentito parlare di schede, di urne e di candidati. La democrazia ha conquistato un grande e forte alleato: la donna” scrive Rita Montagnana su Noi Donne all’indomani di quel primo appuntamento elettorale. Il 2 giugno 1946, anche grazie al voto femminile, l’Italia deciderà per la Repubblica e ventuno donne, le cosiddette Madri Costituenti, entreranno nell’Assemblea che scriverà il testo della nostra splendida Carta costituzionale.

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