Sabato, 12/05/2012 - 1. La fraternità allarga le sue frontiere
Una visione panoramica della situazione internazionale del nostro tempo ci lascia sgomenti. Sotto parole di pace, assistiamo al tentativo delle potenze militari ed economiche di accaparrarsi più spazio possibile a scapito degli altri. Vediamo il contrapporsi di tendenze e ideologie opposte che vanno dal desiderio di conservare i privilegi acquisiti alla ricerca di nuovi assestamenti sociali ed economici, nell’intento di migliorare le condizioni dei popoli. Guerre fratricide, il succedersi di dittature, elaborati sistemi di oppressione, tentativi costanti di vicendevoli inganni, violenze reciproche, sono le notizie più ricorrenti sulle pagine dei nostri giornali. Eppure, mai come nel nostro tempo avanza il desiderio di giustizia e di comunione fra tutta la famiglia umana.
Persone e gruppi di buona volontà si impegnano, a costo della stessa vita, per la riuscita di questo ideale; esistono organismi internazionali formati da forze politiche, da movimenti religiosi, da leghe per i diritti dell’uomo, che tentano con l’azione e con la diffusione delle idee di suscitare consensi e adesioni operative per la realizzazione di questo bisogno.
Tale aspirazione ci viene da lontano. Anche se costantemente delusa, si è andata sempre più estendendo in Europa dalla rivoluzione francese e dalla rivoluzione industriale. Gli uomini stanno riflettendo su se stessi e sulle forme organizzative della loro collettività e sentono la forza che acquistano nel vivere insieme e nel riunirsi in sistemi democratici.
Dal movimento dei lavoratori, dalla formazione dei sindacati, dalle organizzazioni per l’emancipazione della donna hanno preso via lotte sociali tendenti alla trasformazione della comunità umana, e sono sorte correnti di pensiero e di riflessione che ci hanno indotto a meditare sulla natura del genere umano, ma anche sulla sorte che si sta costruendo per il prossimo avvenire: la prima e la seconda guerra mondiale si sono concluse con la creazione di organismi internazionali di vigilanza e di promozione dell’uomo; le ricerche scientifiche e tecniche per la difesa e la crescita dell’umanità sono entrate a far parte delle scienze moderne; la protezione dell’ambiente riesce ad aggregare molti gruppi di opinione e di pressione politica. E così, lentamente, la solidarietà fra gli uomini è diventata un ideale e una vocazione del nostro tempo. Fra i doveri di ogni singolo uomo si sta inserendo anche l’impegno di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita di tutti i popoli.
L’insorgere del bisogno della fraternità universale non sembra però ancora dirigersi alle radici dei mali che affliggono la nostra vita sulla terra. L’appello alla buona volontà deve fare i conti con le tendenze egoistiche al dominio e al possesso, radicate nel cuore di molti. Esse hanno preso corpo in forme organizzate che determinano e opprimono la vita della maggior parte dell’umanità: i sistemi economici impediscono la giusta distribuzione dei beni della terra e le dittature politiche e religiose limitano in varia forma i diritti umani. L’elenco delle schiavitù attuali è assai lungo. Ne ricordiamo alcune per convincerci del cammino ancora da percorrere e per riflettere sui metodi efficaci per superarle.
Non abbiamo raggiunto il rispetto per la persona umana, i suoi diritti, il suo sviluppo. Non solo vi è chi subisce ancora la tortura, ma in molti modi tutti siamo oggetto di occupazione e di sfruttamento politico, economico e intellettuale. Siamo vittime continue della propaganda e delle mode: esse irrompono nelle varie componenti della nostra realtà personale e comunitaria per portarci dove altri vogliono, per farci vivere secondo l’utilità di altri. Gran parte dell’umanità è sotto la morsa della fame, della mortalità infantile, dell’isolamento. Quasi non ci pare vero, eppure quotidianamente, e non solo in casi eccezionali, molta gente muore per fame o si toglie la vita per disperazione.
La violenza indiscriminata e il razzismo hanno cancellato la divisione fra tempi di pace e tempi di guerra. Dalla violenza nascosta, ma permanente, dei metodi di lavoro, delle classi privilegiate, dell’uomo verso la donna, alla violenza che usa le armi, deriva una situazione, all’apparenza senza speranza, che spinge molti ad appartarsi, a difendere esclusivamente la propria vita privata. Le nostre stesse conquiste tecnologiche, l’ammassarsi dentro le città, il bisogno di distenderci e di scaricarci con lo stordimento ci hanno fatto dimenticare il contatto sereno con la natura e la necessità di proteggere l’ambiente per la conservazione della vita stessa dell’uomo e degli altri esseri viventi; l’aria, il mare, i fiumi, le foreste, l’agricoltura si vendicano della nostra violenza, diminuendo la speranza della continuità della vita.
Ciò di cui attualmente non ci stiamo però rendendo pienamente conto è soprattutto una pericolosa crisi alimentare mondiale favorita da un’economia politica della produzione industriale capitalistica dominata da grandi società e mossa dalla ricerca dei profitti per pochi anziché del benessere per molti. Qui l’avidità ha giocato un ruolo non meno distruttivo che nel settore finanziario. Eric Holt-Giménez e Raj Patel ci stanno aiutando a comprendere come questa economia politica della produzione globale sia fortemente deficitaria per quanto riguarda il nutrimento della popolazione mondiale e quanto contribuisca a diffondere disuguaglianze che favoriscono la fame. Il fine dell’organizzazione della produzione alimentare, ci ricordano i due studiosi, è permettere alle persone non solo di esistere ma anche di vivere e stimolare la fioritura dello spirito – mangiare in modo da poter vivere nel senso più pieno del termine. È in questo che l’organizzazione capitalistica della produzione alimentare ha miseramente fallito, condannando centinaia di milioni di persone alla mera sussistenza e milioni di altre al di sotto di essa.
La crisi finanziaria globale e quella alimentare sono “sorelle” e mantengono fra loro un pericoloso rapporto per cui la prima aggrava la seconda restringendo il credito alla produzione e consolidando ulteriormente il potere nelle mani delle poche grandi società tanto influenti da ottenere salvataggi finanziati dai contribuenti per i loro investimenti avventati. Queste due crisi in corso stanno trasformando i nostri sistemi alimentari e finanziari e richiedono un intervento politico e azioni concrete “dal basso” per indirizzare i sistemi di produzione del cibo sulla strada della sovranità alimentare. Questa sovranità o democratizzazione alimentare, che è al centro degli studi e dell’impegno attivo di molti esponenti della filosofia della condivisione, altro non è che il diritto delle persone ad avere cibo sano e culturalmente appropriato prodotto con metodi ecologicamente sani e sostenibili e il loro diritto di delineare i propri sistemi alimentari e agricoli.
2. Le dimensioni dell’amore
L’apertura nei confronti di tutta l’umanità coinvolge in modo particolare la fede cristiana che è animata da un impegno di amore universale, modellato su quello di Dio e reso visibile dal Cristo. L’amore nel nostro sistema sociale non può però più essere soltanto un sentimento privato che si volge ai vicini, li soccorre quando si trovano in necessità, supplisce in parte alla mancanza di assistenza e di servizi da parte dello stato. Esso deve dirigersi alle radici che generano i mali dell’umanità e deve favorire gli sviluppi che portano gli uomini a essere guaritori dei propri mali e corresponsabili dell’andamento della loro storia.
La fede, la comprensione nei riguardi del prossimo e il buon senso invitano i cristiani ad avere davanti a sé e a scegliere come oggetto dell’amore l’uomo in se stesso. Non l’uomo credente o l’uomo buono o il connazionale, ma l’uomo semplicemente. Davanti a Dio egli è nostro fratello quando è bianco e quando è nero, quando è credente e quando rinnega il Signore, quando è vicino e quando è lontano. L’amore si trasforma così in un impegno nazionale e internazionale per la conquista e la salvaguardia della giustizia e della crescita umana e sollecita i cristiani a vincere le barriere: i cattolici non sono migliori dei protestanti, i cristiani non sono privilegiati di fronte ai musulmani, ai buddisti, ai non credenti. Questi ostacoli hanno limitato per secoli l’amore e la condivisione fra i popoli. Ogni uomo ha in se stesso quella scintilla di luce, di bene, e la sviluppa nel cattolicesimo, nelle altre religioni, e anche quando non riesce a credere in Dio. In quanto discepoli di Cristo, ci siamo assunti l’impegno di garantire la legge dell’amore dell’unico Dio, e questa ci spinge a far mettere in comune tutto quello che gli uomini hanno di buono.
In sintonia con l’affermarsi di una nuova pedagogia della condivisione, la gioia e la speranza, la tristezza e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. Perciò essi si sentono intimamente solidali con il genere umano e con la sua storia.
In questa delicata fase storica caratterizzata dal declino dell’attuale sistema economico di impronta neoliberale, stiamo tutti quanti cercando di seguire i profondi mutamenti attualmente in atto, che fanno evolvere la comprensione della nostra stessa persona, il modo di condurre l’esperienza comune, di regolare i rapporti economici e di lavoro, il bisogno di indipendenza e di libertà. In rapporto a questi processi siamo tutti agitati dalla paura di guerre, di oppressioni, dal timore dell’esaurimento e della devastazione dei beni della terra, ma siamo anche sostenuti da speranze di pace, di prosperità e di uguaglianza, affidate alla buona volontà e alla tenacia di tutti coloro che credono nel potere della condivisione. Assieme a tanti interpreti della filosofia della condivisione, i cristiani si impegnano in questa lotta comune, offrendo il desiderio di amore fraterno proposto dal loro Signore, che ha amore per tutti. Egli ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero con animo di fratelli. Perciò l’amore di Dio e del prossimo è il primo e più grande comandamento. Questo fatto si rivela di grande importanza per gli uomini, sempre più dipendenti gli uni dagli altri, e per il mondo che – nonostante l’attuale fase transitoria – tenderà sempre di più verso l’unificazione.
Lo studioso della condivisione Andrea Braggio ha focalizzato l’attenzione su un punto a nostro avviso fondamentale: l’umanità sta facendo il suo ingresso in una fase nuova in cui gli sforzi dell’homo empaticus si orienteranno progressivamente verso il perseguimento dell’unità nella diversità. Proprio per questo occorre porre l’accento sul fatto che il vivere insieme in tanta varietà di persone richiede mutuo rispetto e apprezzamento, fondati sulla compassione, sul buon senso e sulla dignità di tutti e sollecitati dalla ricchezza che può derivare dalla messa in comune di punti di vista così diversi, ognuno dei quali mette in luce un aspetto della nostra molteplice realtà.
Nel rispetto delle differenze altrui, un bravo cristiano desidera che tutti possano godere di una vita serena e gioiosa, ma per rendere possibile questa meta è necessario che gli uomini siano affrancati dalla miseria, trovino con più sicurezza la loro sussistenza, la salute, una occupazione stabile, una partecipazione più piena alle responsabilità, siano al di fuori da ogni oppressione e al riparo da situazioni che offendano la loro dignità.
Dopo tre secoli di individualismo, che hanno caratterizzato la cultura europea e l’hanno portata a un atomismo sociale, nuove istanze culturali riportano alla scoperta della persona e della comunione. La filosofia, in particolar modo, muove una serie di nuove osservazioni e cerca di riscoprire le dimensioni relazionali dell’uomo alla luce di una crisi planetaria senza precedenti, che non sembra essere prossima alla conclusione. Ci stiamo inoltre avvicinando verso una nuova era in cui le risorse potrebbero scarseggiare sempre di più, i fenomeni climatici divenire sempre più estremi e si potrebbero incrinare le regole della convivenza in modo drammatico.
A questi fattori si accompagna però al tempo stesso un grande desiderio di unità, di pace e di collaborazione fra le persone, soprattutto fra le giovani generazioni, le quali non si identificano con strutture ormai decadenti, inservibili per affrontare il futuro.
I giovani hanno compreso – meglio dei loro padri e dei loro nonni – che l’umanità è Una e che solo grazie all’equità, alla condivisione e alla giustizia il genere umano potrà sopravvivere e garantirsi un futuro prospero.
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