Domenica, 25/05/2025 - Ognuno di noi ha il suo sacro olimpo di autrici e autori che ama incondizionatamente. Quelli di cui correresti ad acquistare un libro anche se parlasse della maniera spregevole in cui la polvere si accovaccia tra le piastrelle della cucina, perché sappiamo che anche di questo riuscirebbero a parlare in quel modo che ti fa volteggiare l’anima, ti prende alla pancia e scorre impazzito per tutto il corpo. Il mio olimpo di autrici di narrativa sono Alice Munro, Lucia Berlin e Elvira Seminara. Quest’ultima, a mio avviso, è la più menzognera: asserisce di scrivere romanzi, invece scrive poesia, di quel genere che avviluppa di morbidezza ogni pensiero ruvido, e dona soavità a qualunque cosa. Anche alle piastrelle della cucina.
Proprio qualche sera fa, in preda a un’inquietudine furiosa, mi sono ritrovata a tirare giù file di libri alla ricerca di parole cui aggrapparmi, di pagine salvavita: ho sfogliato i nomi più altisonanti, ritrovato testi che credevo perduti e, solo dopo lunga ed estenuante perlustrazione, è a lei che mi sono fermata e, finalmente, riossigenata.
È con questo spirito che ho preso il suo libro In Sicilia con Franco Battiato (Giulio Perrone editore) perché, lo confesso subito, conosco molto poco il cantautore siculo. A mia discolpa vorrei precisare che ho sempre considerato impossibile prestare la giusta attenzione devozionale a più di un poeta della canzone, e io avevo già il mio. Battiato è stato il sottofondo musicale di quelle domeniche pomeriggio in cui i miei erano di buon umore e mettevano lo stereo al massimo con i brani più celebri della musica italiana, e io mi ritrovavo a canticchiare versi molto più grandi di me a cui non davo molta importanza.
Questo libro è stato per me un’epifania. Ho viaggiato attraverso canzoni e luoghi di indicibile vastità, e ne porto ancora i segni. Ho camminato lungo le pagine come tra le spire gentili di un sortilegio, tra “cortili e galassie” di questa guida incantata tratteggiata da una penna aliena.
Me la immagino Elvira Seminara nel momento in cui l’editore le ha proposto di scrivere una guida della Sicilia attraverso Franco Battiato. Lo vedo quel sussulto iniziale, quel lieve disorientamento di fronte all’impossibile, e poi il sorriso sottile di chi sa che l’impossibile è la materia dei poeti. Dev’essere stato proprio quello il momento in cui ha visualizzato la scena, nitida, perfetta: “immaginare Franco Battiato che ci guida in Sicilia è come pensare a un albatro che si tuffa in un lavandino”. E si è messa in cammino, “con le sue canzoni in cuffia. Tornando indietro quando occorre, o facendo un balzo in avanti, incongruo e improvviso, come fa d’altronde la memoria. Fermandosi quando lui si ferma”. Una grande sfida quella di dare forma a ciò che non ne ha, raccontare una terra dai mille profili per mano di un cantore dalle mille lingue. “Essere mondi, nel lavandino che si fa oceano”.
Questo non è un testo solo su Battiato, né solo sulla Sicilia. “Questo è un libro per perdersi”, in un senso che ondeggia languido tra Cortàzar e Pessoa; è una guida “per sfondare le nuvole e il sottosuolo, e lasciarsi trasportare liberi, indivisi”. Ma è anche un’opera sul “sentirsi in transito, scissi. In bilico”. Ed è un libro profondamente ‘seminariano’, chi conosce le opere di Elvira Seminara, infatti, si sentirà a casa: la Sicilia, e Catania in particolare, sgorga da numerose sue pagine. Basta sfogliare, ad esempio, I segreti del giovedì sera (Einaudi): “per tornare a casa ad Aci Castello, da qualunque parte della città provenga, devo percorrere un lungo rettilineo che si chiama Lungomare, ma con vaga forzatura, perché il mare si vede a squarci, incastri, a macchie meravigliose, sporgendoti o spiando tra ringhiere e cannicci, muri di lava o cemento, mantelli di edera o foglie finte e ingiustificabili, visto che qui sole e terra fecondano anche i sassi, e senza sforzo umano. (…) Vivo sul bordo dell’isola, dove la terra si fa eccezione, orlo – da superare e riagguantare. Disforia da isolani, per questo ne soffriamo tutti. Bisogno di fuggire, ansia di tornare. Tutti. E chi non parte ne parla sempre, rinvia la scelta, dorme il pomeriggio e nuota d’inverno – il trolley sotto il letto”.
In Sicilia con Franco Battiato è una danza di colori e sapori dove guizza la vita, come al mercato catanese del pesce in piazza Duomo, “dove la materia precipita e raddensa, e si fa cibo e voce, fisiologia e canto, resta ancora oggi uno spazio magico, dove il tempo esce da sé e si riavvolge, ilare e ubriaco”. La figura del poeta si intreccia armoniosamente con quella della Sicilia, e si fa paesaggio, e si fa poesia, ed è tale la fusione che talvolta la descrizione dell’uno può essere indossata dall’altra, così la Sicilia respira e Battiato è lava, le chiese hanno il “fiato addensato nei secoli sulle volte” e il poeta è lì “a dirci, ancora oggi, com’è difficile, e faticoso, restare in vita dentro l’assedio della vita”.
La sfida è la “messa a dimora sul foglio” della parola, che è anche suono, anzi “una giostra sonora”, in una Catania che è “un arazzo di voci”: rumori, frastuoni, note, silenzio. Lì “anche la musica ha un odore, perché ha una scia che si rapprende e sgocciola sui muri, si volatilizza e sublima in aria”.
I versi delle canzoni di Battiato compaiono qui e là, ora a chiosare, ora a confermare, in un volteggio armonico tra immagini e parole a omaggiare quel suono “prodotto dallo sfregolio degli atomi o dall’aria quando preghi, dai petali di una rosa che sfiorisce, dall’uovo di un insetto che si schiude”. Fruscii invisibili, sussurri di altre dimensioni che due anime ineffabili indossano con spudorata disinvoltura.
Elvira Seminara possiede la rarissima arte di tessere poesia con ogni atomo che incontra, di questo cosmo o di altri, con una grazia e un’eleganza che, questo è certo, vengono da luoghi molto lontani. Sa cogliere “il bordo fragile delle cose”, ricamare insieme immaginario e reale, facendo suo, come solo lei sa, quel mondo fatto di “insensatezza gioco preghiera meraviglia”. E non si tratta solo della “tensione ipnotica” siciliana: Seminara sa contare “i rintocchi del mondo”, conosce “l’igiene del silenzio”, “la forza di cavità”, e quella di gravità. Del resto, a unire con vigore Seminara e Battiato non è solo la Sicilia, ma anche l’amore per le parole e per il loro suono, e quel disconoscere l’elogio del dolore preferendo l’evocazione dell’ebbrezza della gioia.
“Forse la vita o, meglio, la nostra armonia, è tutta questione di arrangiamento. Musicale”. Queste pagine sono una partitura, in cui suoni e colori cercano l’equilibrio tenendosi stretti tra loro. E cosa accade quando è una poetessa a descriverli? I sensi fanno festa anche solo a immaginare, come quando l’autrice si avvicina alla casa di Milo, dove l’arrivo del cantautore è anticipato da “un odore misto di cannella e pane tostato, di libri molto toccati e di brace, di roba appena stirata, di cera sciolta di candele. Di umidità che risale dai muri, e di terra bagnata, all’ingresso, se ha piovuto.” E poi profumo di rose, di stupore e gratitudine. È un’ubriacatura che solca le pagine e afferra il lettore e che, vi assicuro, travolge: “Aromi di gelsomino e zagara, limone. Resina dei pini, tracce di erbe di campo, ginestra. Odore di lava, cenere, di pietra umida di marciapiedi e pietra rovente in agosto, nelle facciate dei palazzi. Mattoni di cotto scaldati dal sole, bagnati di pioggia. Odore di muffa, acqua stagnante, di gatti nei cortili, di aglio fritto. Di zolfo, di scogli e onde imprigionate in mezzo, sulla Scogliera. Odore di sabbia bagnata e di sale rappreso alla Plaja. Di urina negli angoli di strada. L’odore dei cortili bui e di quelli cotti dal sole, delle scale in marmo cariche di orme, della salsa di pomodoro. Quello delle melanzane fritte che sgusciano dai balconi di Riposto”.
La Sicilia dei due artisti si mischia come sulla tavolozza di un pittore, ed erompe “nell’aroma fulgido delle arance nei carretti di strada, nella fragranza rumorosa dei torroni nelle bancarelle”. E davvero non importa se si stia parlando del cantautore o della scrittrice, chi stia offrendo un gelato di ciliegie, chi indaghi la fede: ogni piano qui è sovrapposto all’altro in modo pacifico, il tempo slabbrato si muove lieve in una dimensione plurale perché, come dice Sant’Agostino, “esiste solo il presente. Il presente del passato, il presente del futuro. Il presente del presente”. Eccolo il prodigio di questo libro: Franco Battiato vi piroetta tra le pagine, vivissimo, sorride compone punzecchia osserva. Ora. Qui. Del resto, non ci troviamo in un posto qualunque, “la piazza di Aci Castello non è una piazza, è un varco temporale”, su cui plana perfetto il verso di Battiato “lascia tutto e séguiti”, dove gli orologi sul campanile della chiesa sono fermi a mezzogiorno, che forse è mezzanotte, ma che importa, se in un tempo sospeso e plurimo nessuno va via, semplicemente cambia forma: “per tutto questo non è una piazza, ma leggenda. Anzi una canzone, che Battiato canta senza aver mai scritto (…). Seguendo per istinto le vie delle comete. Toccando l’infinito con le mani”.
In una Sicilia complice e generosa, Evira Seminara e Franco Battiato si rincorrono tra vicoli e cortili, suggestioni e ricordi. L’autrice ci accompagna con indicibile delicatezza e profondo rispetto attraverso l’omaggio al suo amico e alla loro terra, e alla vita che si avvinghia testarda e leggera, alla magia che accompagna e colora.
E accompagna anche a libro chiuso, quando la vita offre suggestioni come indovinelli, quando più volte – come mai prima – in un caffè, nella metro, da una macchina, prende a sgusciare fuori la voce di Battiato. È un po’ come la pioggia di sabbia su Catania: “te la trovi tra i capelli, gratti via come un pensiero molesto, la scuoti dalle lenzuola stese, da tappeti e coperte, dalle suole. Prude, ottura, intasa condotti e vie respiratorie, ingorga le parole, affumica unghie e pensieri. Per mesi ancora, esaurita l’eruzione e la colonna di fumo, pioverà dai tetti dove si è raccolta e raggrumata. La respiri, inali, immetti nel corpo”. E, come la sabbia, queste pagine si infilano tra i pensieri e restano, come la musica di altre galassie, come il profumo di zagara, come una guida magica in forma di poesia.
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