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Imprenditrice e quasi mamma

Imprenditrice e quasi mamma

Intervista a Daniela Ascari - Per consentire la conciliazione dei tempi tra azienda e famiglia ci vuole la ‘politica’. Ma quella vera

Donatella Orioli Lunedi, 19/04/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2010

ABL è un’azienda tutta italiana fondata nel 1978 da Carlo Ascari assieme ad altri due soci che da tempo hanno abbandonato l’attività facendo spazio a Daniela e Luca, figli del fondatore.

Con un fatturato che si aggira attorno ai 7 milioni di Euro, ABL occupa circa 30 persone ed opera grazie ad uno staff tecnico altamente qualificato, fornendo supporto ed assistenza a tutti i clienti dislocati in 29 Paesi diversi nel mondo.

L’azienda ha i propri uffici a Cavezzo nella provincia di Modena, e si definisce naturalmente come una delle tante PMI che operano alacremente sul territorio, ma conta anche un ufficio commerciale e post-vendita negli Stati Uniti..

ABL è nota sul mercato come azienda leader in Europa nelle forniture di tecnologie per la lavorazione della mela. L’esperienza acquisita su scala mondiale, nel rapportarsi con i più disparati ambienti produttivi, l’ha resa indubbiamente un punto di riferimento, estendendo la propria competenza anche ad altri tipi di frutta, soprattutto laddove le aziende necessitano di soluzioni hi-tech, flessibilità di produzione e garanzia di estetica del prodotto finito.

Daniela Ascari è la responsabile del progetto di costituzione di ABL USA che dal 2005 importa e distribuisce i macchinari ABL su tutti i territorio statunitensi e anche canadesi.



Daniela è al sesto mese della sua prima gravidanza, un momento magico per una donna ma al tempo stesso difficile da coniugare con gli impegni di imprenditrice. Come lo sta vivendo e soprattutto come sta pianificando il futuro?

In effetti è davvero un momento di grazia poiché esperienze precedenti mi avevano completamente distolto da questa “idea”. Il lavoro è un alibi fantastico certe volte e per qualche anno mi ha assorbito completamente. Ma è un alibi non ingrato perché mi ha dato modo di crescere sia professionalmente che come persona ed ora, alla soglia dei 40 anni, mi ritrovo vicepresidente di Confapi Modena, vicepresidente di Promec, l’azienda speciale della CCIAA di Modena per l’ìnternazionalizzazione delle imprese e ancora, in virtù della responsabilità in Confapi, sono impegnata anche in diverse altre attività. Per atteggiamento, affronto sempre ogni esperienza con molto entusiasmo: mi definisco passionale ed istintiva e quando credo ad un progetto mi ci butto a capofitto. Ma francamente, questo di “futura mamma”, è un ruolo in cui non ho mai giocato e mi incuriosisce molto.

Le confesso che la questione organizzativa è quella che mi interessa di più: dovrò obbligatoriamente rivedere il concetto di tempo e magari imparare a dire di NO. Sarà una bella sfida.



Ritiene che le strutture pubbliche, esistenti nel suo territorio, siano in grado di rispondere alle esigenze di una madre-imprenditrice?

Questa per me è la prima esperienza e le difficoltà, innegabili purtroppo, le ho acquisite per vissuto familiare (mio fratello ha due gemellini di 3 anni ) o tramite le amiche. Nell’azienda in cui lavoro la presenza maschile è maggioritaria e ad oggi, non sono mai stati utilizzati i congedi parentali o permessi in questo senso.

Se parliamo di asili (pubblici o privati che sia) la situazione è ancora critica.

Recentemente notavo da un articolo che, su fonte Istat, la natalità per l’anno 2009 è calata nella regione nella quale l'occupazione femminile è più bassa, la Campania, mentre è salita nell'unica regione italiana, l’Emilia Romagna, che ha già superato gli obiettivi di Lisbona. Un risultato paradossale a prima vista, che si spiega con la ben diversa quantità e qualità dei servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia. Modena così come altre provincie è stata coinvolta qualche tempo fa in un progetto Equal.

Il tema in proposito era l’individuazione di strategie per il funzionamento dei sistemi di welfare locali, favorendo nuove forme di integrazione tra servizio pubblico e privato sociale nell’offerta di servizi di cura domiciliare. Lo stesso progetto è poi stato declinato in varie forme un po’ in tutta Italia, richiamando le buone prassi per la conciliazione tempo-lavoro. Nello specifico parliamo di flessibilità, di forme innovative, di istituzione di banca delle ore e molto altro... Alcuni progetti si sono concretizzati anche con la collaborazione degli istituti di previdenza, il che significa che tutto è davvero possibile. Perché allora continuare a lasciare che le buone prassi siano esclusivo fattore di sensibilità degli imprenditori?



E’ innegabile che l’imprenditrice di una micro azienda incontri, in generale, maggiori difficoltà, ivi compreso il momento della maternità soprattutto in termini di sviluppo aziendale, mantenimento degli obiettivi, liquidità, ecc. Quali strumenti attiverebbe e quali auspicherebbe?

Temo che il discorso ci porti più in ambito di definizione di strategie politiche, con riferimento alla politica di Governo, intendendo però la politica nel senso più nobile dell’accezione del termine e non quella partitica che sempre più spesso occupa i dibattiti televisivi.

Tutto sommato è molto semplice. Forse sarebbe ora di considerare che la ricchezza dell’Italia è data da un’insieme di piccole, piccolissime e micro aziende che sono la colonna portante. Questo è un dato di fatto che ci accompagna da sempre. Anche per una semplice questione di specializzazione territoriale delle competenze, delle conoscenze e del cosiddetto “saper fare”.

E nelle PMI, ancora più che nelle grandi aziende, la centralità dell’individuo, a partire dall’imprenditore fino ad arrivare all’ultimo degli addetti, è fondamentale come fattore di vantaggio competitivo. La gestione delle risorse umane andrebbe intesa in effetti non solo come assieme delle politiche di assunzione o di licenziamento: passa indubbiamente per la formazione, per la flessibilità e per il sostegno all’individuo. Il resto viene da sé. Se poi pensiamo all’ambito europeo, mi vien da dire che l’Italia è piuttosto indietro.



Nei primi tre anni di vita delle aziende si registra il più alto tasso di mortalità imprenditoriale: quali possono essere i fattori che incidono sul risultato ?

Mi vengono in mente le parole di un biglietto augurale che mi è stato recapitato qualche tempo fa: Coraggio. Fortuna. Successo.

Non so dirle se oggi come oggi questo possa ancora essere l’ordine giusto.

A mio avviso, il coraggio di portare avanti un’idea non è solo un’idea imprenditoriale e di profitto, ma è anche idea di piena responsabilità di chi è pronto a rispondere, a mettersi in gioco, a scegliere.

La conseguenza prima è il senso di rischio personale che va di pari passo col coraggio. Un pizzico di fortuna che in realtà è la visione e l’istinto di saper essere al posto giusto nel momento giusto. E quindi il successo che arriva con la capacità di saper leggere lo scenario nel quale si agisce, di saper comprenderne le criticità e saper apprezzarne le peculiarità in modo da valorizzare ancora di più gli elementi (tangibili e intangibili) della propria realtà aziendale.







(19 aprile 2010)

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