Intervista a Claudia Spoto - Una delle poche donne in Italia che lavora in teatro in una posizione strategica. La sua ricetta: qualità, divertimento, impegno, coerenza
Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2008
Aveva venticinque anni quando suo padre, direttore del teatro Colosseo di Torino, fu colpito da un ictus che paralizzò anche la capacità professionale. Di quella funzione sospesa, ma imprescindibile, pena l’affondamento di un’attività solida, si fece carico lei, che fin da piccina aveva posato il suo sguardo incuriosito fuori e dentro il palcoscenico. Lasciata l’Università si attivò, superando apprensioni e titubanze. Al batticuore d’inizio si sostituì poco alla volta sicurezza di giudizio e un’istintiva capacità e fermezza nelle scelte, tanto che le furono affidati altri incarichi di rilievo e organizzazioni interessanti, come “Faccia di comico”, a Roma, con Serena Dandini. A distanza di dodici anni, questa signora è un’abile imprenditrice che ha armonizzato gli affari al teatro leggero, quello che va incontro al grande pubblico offrendo divertimento e qualità.
Si profila un’apertura alle donne nel teatro. Giovanna Marinelli a Roma, Serena Sinigallia all’ATIR di Milano, Emma Dante a Palermo, Roberta Parlotto al Mercadante di Napoli. Che apporto fornisce la presenza femminile nella regia nell’organizzazione e nei ruoli chiave decisionali?
Nella gestione, poco. Le donne che operano nel settore teatrale sono tante, ma non figurano nello stesso numero in posizioni strategiche. Sono molto operative, ma le situazioni le risolvono per altri. Sul palco sono numerose, ma nella regia, nella produzione e nella direzione artistica e organizzativa si contano sulle dita. L’identità dell’arte drammatica è sempre stata maschile.
Vuole dirci in breve il suo esordio, una soddisfazione, uno smacco, un progetto?
Mio papà da un giorno all’altro non c’è più stato in teatro: questo è stato l’inizio, repentino, doloroso, senza passaggi di consegna. Poi è arrivata la prima riuscita con Hair, un musical storico, una produzione tutta nostra con quaranta artisti americani. L’ho affrontata d’istinto, forse non ero neppure munita di tutti gli strumenti tecnici; ma l’esperienza è stata fondamentale, propulsiva, incoraggiante. Lo riproporremo il 19 febbraio in prima nazionale con un cast in parte americano, in parte italiano, con la regia di Giampiero Solari, gli arrangiamenti musicali di Elisa, le coreografie di David Parson. Uno smacco memorabile? È arrivato con un musical: economico e di pubblico, inatteso, totale e dovuto ad un artista popolarissimo di cui non faccio nome. Non ho mai capito perché. Quanto al progetto, ho un’idea: begli spettacoli, tanto pubblico tutte le sere. Ma le stagioni piene non mancano mai.
E’ vero che non ha sovvenzioni pubbliche?
Sì, è vero. Il Colosseo è l’unico teatro privato di Torino con bilancio in attivo e privo di qualunque contributo. Stare in piedi è una questione di abitudine. Un’azienda che deve sopravvivere prevede un’amministrazione oculata, ponderata, senza mosse avventate. Qui non ci sono sprechi, si cerca di costruire un’affidabilità e un buon rapporto con il proprio pubblico, un’ immagine positiva per la qualità degli spettacoli, scelti accontentando tutti i generi: danza, musical, teatro comico, prosa brillante. E soprattutto buoni interpreti, come Marco Paolini che possano raggiungere 1612 persone. Il nostro è il più grande teatro di Torino.
Anche un po’ vecchiotto come stile, di schietta impronta fascista.
È stato un cinema e uno spazio sportivo. La costruzione risale all’epoca fascista i restauri apportati non sono stati clamorosi. Bastano i ritocchi stagionali di manutenzione e di miglioramenti ristrutturale, apportati con i soldi di ogni stagione. Non possiamo permetterci di rimanere chiusi per mesi. Ma lo spazio ha un suo carattere, per l’architettura e con la profusione di marmi. Nel foyer c’è un mosaico che abbiamo piombato con molta difficoltà: solo un artigiano arabo è stato in grado di fare questo lavoro ormai dimenticato.
L’impegno di una gestione di un teatro è molto gravoso. La vita privata ne risente?
No, io ho trovato un ottimo compagno di vita. Siamo agli opposti. Ma quando mi porto a casa un po’ del mio mondo, lontano dal suo, è felice di vedermi realizzata nel mio lavoro.
Consiglierebbe un percorso come il suo?
Sì a condizione di essere animati da un amore autentico per questo lavoro. In me la passione è nata con il contatto precoce e continuo. È vero che chi respira l’aria del palcoscenico non può più farne a meno. È un dipendenza, una parte integrante della vita. In vacanza non si vede altro che il momento di tornare a lavorare.
Con quale criterio fa le sue scelte?
Vado a vedere tutto quello che posso, sollecitata anche dalle critiche. Trovo buoni spunti nell’inserto domenicale del Sole 24 Ore, anche se non sempre condivido il parere dei critici. Uno dei miei criteri è l’identificazione con il pubblico che compre un biglietto. Se mi siedo e mi annoio credo che non devo infliggere al pubblico la stessa sofferenza.
Ha creato posti i lavoro?
Sì tutti gli scritturati della produzione, i tecnici, le cassiere lo staff che mi coadiuva, la segreteria, quelli che effettuano i collegamenti con l’esterno, l’ufficio stampa.
È vero lei può fare spallucce al mercato e alla politica?
Al mercato no, alla politica sì.
Ha trovato intoppi? Correnti di gelo o discredito?
Gelo sì, se non chiedi niente e non servi a nessuno. Discredito no perché Torino riconosce e rispetta l’impegno e la coerenza nelle scelte.
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