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Impegno sociale e pari opportunità

Impegno sociale e pari opportunità

Emilia Romagna -

Lunedi, 07/02/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2011

UN IMPEGNO SUL SOCIALE CHE GUARDA AVANTI

di Anna Pariani, vice capogruppo PD Regione Emilia-Romagna



Più bambini e famiglie, ma anche più servizi per i piccoli da zero a due anni e per i minori in difficoltà. Sono alcune tendenze che caratterizzano oggi il sistema di welfare emiliano-romagnolo e che richiedono investimenti anche per il futuro. Di fronte alla scure dei tagli nazionali sui servizi, considerati con ogni evidenza superflui da chi ancora ci governa, la nostra Regione ha riconfermato per il 2011 il proprio impegno economico sul settore sociale: oltre 81 milioni di euro, a cui aggiungere il Fondo straordinario di 22 milioni (da destinare per metà ai servizi per i minori e per le famiglie), finalizzato alla costruzione di un sistema di servizi ed aiuti economici per le famiglie con figli. Con l’obiettivo di salvare quanto è stato fatto sinora e, contemporaneamente, innovare. Come affermato dall’assessore regionale alle politiche sociali Teresa Marzocchi, “nell’assoluto rispetto dell’autonomia degli enti locali quello che vogliamo realizzare è un welfare comunitario a livello distrettuale”. Lavoriamo dunque per le famiglie, senza tralasciare però il singolo come persona con i suoi diritti. I servizi per la prima infanzia, le diverse risposte di aiuto per i minori e gli adolescenti, i Centri per le famiglie, dovranno essere presenti in ogni distretto socio-sanitario e rapportati alle nuove esigenze dei territori.

Nel dettaglio delle tendenze in atto, dopo anni di stallo delle nascite l’Emilia-Romagna è ora una regione più giovane, con un +5,3% di bambini e ragazzi. L’aumento più consistente riguarda la fascia dei piccolissimi (0-2 anni), che superano quota 125mila; nel complesso, la fascia 0-10 anni (con circa 437mila bimbi) rappresenta il 9,9% della popolazione. Una “primavera” demografica molto legata al fenomeno migratorio, tanto che i bambini e ragazzi stranieri rappresentano il 15,6% circa di tutti quelli residenti. Quanto alle famiglie, va detto che al loro aumento numerico (11%) si accompagna una riduzione del nucleo: nel 2003 una famiglia era composta in media da 2,3 persone, oggi da 2,2. Le famiglie che si trovano in condizioni di povertà relativa sono poco più di 79mila, pari al 4,1%; il dato del nord Italia è 4,9%, 10,8% quello nazionale, perciò l’Emilia-Romagna si conferma la regione italiana con la minore incidenza di povertà relativa. Ma il problema resta e va affrontato perché, ad esempio, i minori in carico ai servizi sono circa il 7,3%, oltre la metà a causa di difficoltà abitative o economiche dei genitori. Su una popolazione residente di 684.231 bambini e ragazzi, 2.727 sono temporaneamente fuori dalla propria famiglia, o in affidamento o inseriti in comunità. Il sistema dei servizi sociali per minori in Emilia-Romagna è articolato tra 67 enti gestori, tra cui in primo luogo Comuni singoli o associati, 9 Ausl, 5 Aziende pubbliche di servizi alla persona. I Centri per le famiglie sono 27, presenti almeno in tutti i Comuni con più di 50mila abitanti e, in media, ricevono ogni anno 3.688 famiglie. Rappresentano poi un fiore all’occhiello della nostra regione i servizi educativi per la prima infanzia, che si trovano nel 79% dei Comuni; la percentuale dei piccoli della fascia 0-2 anni che vive in questi Comuni è del 97%. Facendo un confronto tra il 2006 e il 2010, va rilevato l’aumento in termini di servizi (+19%) e di bambini accolti (+5.031, e cioè +16%). Va infine sottolineato che per quanto riguarda gli interventi e i servizi sociali dei Comuni, singoli o associati, la parte più cospicua della spesa va al settore “famiglia e minori”, che include anche i nidi: dai 326 milioni di euro spesi nel 2006 (il 49,5% sul totale), si è passati ai 353,7 nel 2009 (il 50,5%).

Tutto questo per rappresentare l’importanza di un sistema pubblico di servizi sociali volti a sostenere concretamente la natalità e le donne nel loro ruolo familiare e lavorativo. Non c’è solo la sanità, che assorbe gran parte delle risorse regionali anche per coprire i sempre crescenti bisogni della popolazione anziana e della non autosufficienza. In Emilia-Romagna continuiamo a investire nel sociale perché vogliamo una comunità al tempo stesso coesa e dinamica, dove le famiglie possano trovare un supporto e ogni persona sia in grado di progettare il proprio futuro.





LE PARI OPPORTUNITA’ TRA PASSATO E PRESENTE

di Daniela Montani (consigliera PD Regione Emilia-Romagna)



Da diversi anni ci si interroga su come garantire una rappresentanza paritaria fra uomo e donna nella vita politica, nelle istituzioni, nel mondo del lavoro. Sul piano normativo, le azioni volte al pieno riconoscimento della parità fra sessi risalgono ad anni piuttosto recenti. Se infatti è del 1945 il primo decreto che attribuisce alle donne italiane il diritto all’elettorato attivo e passivo, soltanto nel 1993 il Parlamento affronta il problema dell’equa rappresentanza di genere nelle liste elettorali, con una previsione normativa che, tuttavia, finisce per essere invalidata dalla contestata sentenza n. 422/1995 della Corte Costituzionale. Una temporanea battuta d’arresto destinata ad aprire la strada, fra il 2001 e il 2003, alla revisione di due articoli fondamentali della Costituzione: all’art. 51, comma 1 viene aggiunta la disposizione secondo cui “La Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra uomini e donne”; e l’art.117, comma 7, è integrato dal principio per cui anche le leggi regionali devono favorire la parità dei diritti e delle opportunità, attraverso la predisposizione delle medesime condizioni di accesso alla vita sociale, culturale, economica e alle cariche elettive pubbliche. È del 2004 un’altra cruciale conquista. In occasione delle elezioni per il Parlamento Europeo, la promulgazione della legge n. 90 consente di attuare misure antidiscriminatorie nella formazione delle liste, che devono prevedere obbligatoriamente “quote” di candidate, pena l’applicazione di severe sanzioni economiche per i partiti che non rispettano la proporzione indicata.

Si tratta di norme che, seppur lentamente, hanno consentito a molte donne di candidarsi e talvolta di essere elette. Ne sono un esempio le ultime elezioni regionali del marzo 2010, a seguito delle quali l’Emilia-Romagna ha raddoppiato la presenza femminile in seno all’Assemblea Legislativa (ora al 22%). Un balzo in avanti che deve essere interpretato anche come segno di una prima e necessaria rottura con il sistema politico rigidamente maschilista del passato.

Il tema delle pari opportunità, tuttavia, non afferisce soltanto al diritto di eleggere e di essere eletti né si esaurisce con il varo pur indispensabile di nuove leggi. Trattandosi di una questione culturale, una maggiore e più qualificata presenza delle donne nella vita politica come nel mondo del lavoro dipende dalla volontà delle istituzioni, dei partiti, delle parti sociali ed economiche di modificare lo stereotipo della donna “custode del focolare”. Una volontà o possibilità che, ad oggi, in Italia, ha prodotto risultati altalenanti e spesso deludenti.

In controtendenza con il resto dei paesi sviluppati, le donne italiane che non hanno, né cercano, un’occupazione sono quasi la metà di tutte le donne in età da lavoro. Il dato è drammatico da molti punti di vista. Anzitutto è distante dagli obiettivi di Lisbona, che prevedevano per il 2010 un tasso di occupazione femminile pari ad almeno il 60%. In secondo luogo, questo “numero” prova che la metà delle donne in età da lavoro non ha nessuna speranza, presente e futura, di ottenere una autonomia personale prima ancora che economica.

Un recentissimo rapporto dell’Onu conferma questa tendenza, affibbiando all’Italia il record per le donne che si dedicano in maniera esclusiva alla casa e ai figli. Nel 42% dei casi lasciano che sia il marito a lavorare, nel 20% si dedicano ad occupazioni part-time, dal momento che è molto raro (8% dei casi) che il padre si prenda cura a tempo pieno della prole. In Italia, insieme ai giovani, sono le donne a rischiare di uscire definitivamente dal mercato del lavoro e sono sempre e solo le donne che, di conseguenza, potrebbero tornare a coprire quella funzione sì “sociale”, ma marginale, di assistenza all’infanzia e alla vecchiaia già svolta per lungo tempo. Se questa tendenza si realizzasse, le donne sarebbero anche private di diritti fondamentali come la pensione e, in prospettiva, di quel pochissimo spazio di rappresentanza istituzionale e politica conquistato negli anni.

I numeri, dunque, nonostante le conquiste normative, non ci parlano di pari opportunità ma di discriminazioni e ci restituiscono la foto di un Paese in cui la maggior parte dei suoi cittadini (51% della popolazione, pari a 30 milioni di persone di sesso femminile) non ha possibilità di conciliare vita familiare e lavoro, occasioni professionali a scelte personali.

L’unica via d’uscita per evitare la deriva è l’intervento convinto delle istituzioni. Non tanto attraverso denunce, proclami, dichiarazioni di volontà, ordini del giorno. Piuttosto con azioni concrete, volte a dare alle donne reali possibilità di affermazione dentro e fuori la sfera familiare. Inoltre, il consolidamento di una sempre più vasta e qualificata rappresentanza femminile all’interno degli organismi dirigenti dei partiti, delle istituzioni, del sindacato, dell’associazionismo economico, non ha speranza di affermarsi se le azioni a favore delle pari opportunità non saranno tempestive, adeguate e volute fortemente dalle donne per le donne.

Rispetto alle azioni concrete, la Regione Emilia-Romagna ha lavorato per raggiungere il 60% di occupazione femminile, la soglia europea del 33% di offerta di servizi per l’infanzia dalla nascita ai 3 anni, per salvaguardare la salute delle donne attraverso campagne di prevenzione e screening gratuiti e per avviare la cosiddetta Programmazione Europea 2007-2013 che, nell’ottica delle pari opportunità, ha consentito e consentirà ad imprese femminili nei settori dell’ICT e della ricerca scientifica di aprire nuove attività. L’imminente insediamento della Commissione regionale Pari Opportunità, poi, è atteso come un nuovo passo in avanti nel superamento delle discriminazioni, nell’affermazione dell’uguaglianza fra uomini e donne e soprattutto nell’elaborazione di concrete buone prassi. 



 (REDAZIONALI)

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