Intervista a Maria Rosaria La Morgia - Approvata la legge regionale in Abruzzo in materia di violenza alle donne, per finanziare e sostenere i centri antiviolenza e le case rifugio per donne maltrattate
Maristella Lippolis Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2007
Maria Rosaria La Morgia, eletta nel Consiglio Regionale in Abruzzo nel 2006, si riconosce nella definizione “una giornalista prestata alla politica, con una lunga esperienza di politica delle donne alle spalle che tuttora ispira la sua attività istituzionale”.
Come è arrivata in Consiglio regionale?
Grazie ad un’azione positiva che fu portata avanti in quella campagna elettorale. Tutto cominciò con un appello promosso da donne affinché nel cosiddetto “listino” del presidente Del Turco si operasse un’azione positiva per favorire la presenza femminile. L’appello si tradusse in una raccolta di centinaia di firme che chiedevano un listino tutto formato da donne o, in subordine, a maggioranza femminile; all’appello aderirono molti esponenti dell’informazione, dell’associazionismo, della politica e della cultura. Insomma, io arrivai soprattutto sulla spinta della società civile tra le cinque donne che Del Turco inserì nel listino.
Una volta in Consiglio ho costituito un gruppo autonomo, quello dell’Ulivo, di cui sono capogruppo; ma credo di rappresentare soprattutto quello che è stato il movimento delle donne degli ultimi venticinque anni. Anche un po’ per la mia storia che è una storia di militanza, durante quegli anni che hanno segnato dei grandi cambiamenti per tutte.
La tua più recente iniziativa in Consiglio regionale è una proposta già diventata legge della Regione Abruzzo in materia di violenza alle donne, voluta per finanziare e sostenere i centri antiviolenza e le case rifugio per donne maltrattate.Come nasce questa proposta e che impatto ha avuto?
Credo, innanzitutto, che quello della violenza sia uno dei problemi più gravi che riguardano le donne. Che la violenza sia la prima causa di morte, in Europa e nel mondo, lo sappiamo dai dati. Poi c’è la violenza simbolica, culturale, quella che passa dall’uso e dalla strumentalizzazione che si fa anche nella pubblicità del corpo delle donne. La proposta di legge è nata da una mia convinzione profonda e dal confronto con altre donne di associazioni impegnate nella politica di genere, a partire da quelle che operano nei purtroppo pochi sportelli antiviolenza. La legge ha voluto appunto rispondere alla necessità di una regione come l’Abruzzo in cui finora tutto era affidato alle azioni di alcune associazioni ed in cui l’unica realtà “pubblica” era quella del comune di Pescara, che grazie al progetto “Urban” ha aperto uno sportello antiviolenza, lo sportello “Ananke”, che sta già dando buoni risultati. Si tratta quindi di un importante passo avanti. C’è stato e c’è molto interesse da parte di coloro che lavorano nel settore del sociale, ma anche di onlus ed Enti locali. Ci sono, infatti, già molte domande e progetti presentati all’assessorato. Mi auguro che questa legge riesca a funzionare, e che venga finanziata con risorse sempre più adeguate.
Non è stata però la tua prima iniziativa legislativa…
Infatti, ho proposto e fatto approvare una legge sui piani territoriali dei tempi e degli orari delle città. Anche questa è nata in sinergia con il mondo delle donne, raccogliendo alcune iniziative sporadiche già presenti nel territorio.
Credo che la politica possa incidere davvero sulla vita dei cittadini e delle cittadine attraverso provvedimenti di questo genere.
La nostra è una regione con bassi tassi di occupazione femminile, con schiere di donne che rimangono ai margini del mondo del lavoro perchè sanno quanto sia difficile conciliare il lavoro con la cura della famiglia. Ecco, la legge va incontro anche a queste esigenze e vuole dare un’opportunità per costruire più in sintonie tra i diversi tempi della vita.
Cosa ti sei portata in Consiglio regionale della tua esperienza e della tua pratica con il movimento delle donne?
La capacità di ascoltare e quella di cercare delle soluzioni che nascono dal dialogo, ma anche dalla voglia cambiare, di sfidare l’esistente e di provarci anche si è consapevoli degli ostacoli. Il movimento delle donne ci ha insegnato che è stato possibile fare delle rivoluzioni senza usare la violenza, ma usando la forza delle idee, dell’intelligenza e della tenacia.
E’ un’esperienza che riesce a “fecondare” la tua attuale attività istituzionale? E come?
La mia attività istituzionale non potrebbe prescindere dal mio sentirmi parte del movimento delle donne, che non è morto, come qualcuno dice, ma che è ben vivo e ha voglia di fare. Per me è un punto di riferimento costante, e anche di forza e di legittimazione.
Altre iniziative in cantiere?
Sto lavorando, anche questa volta in sinergia con il mondo dell’associazionismo e dell’imprenditoria femminile, ad una proposta di legge che cerca di favorire l’occupazione delle donne, attraverso misure di microcredito.
Come vedi la politica oggi da questa parte della barricata, dopo averla osservata per tanti anni come giornalista e come donna? Cambia lo sguardo? Cambi tu? O cambia la qualità delle cose che fai e come le fai?
Qualcosa cambia… Cambia perché c’è lo scarto tra il pensare, il sognare, l’immaginare un modo diverso e il dover poi cercare soluzioni concrete per attuare quei progetti, e non facile. Anzi è faticosissimo. Perché bisogna trovare il giusto equilibrio e tenere insieme il punto di vista più “movimentista” e quello istituzionale. Però penso che è proprio da queste contaminazioni che può nascere qualcosa di diverso. Sono convita che sia necessario governare per portare avanti elementi di cambiamento, non solo per galleggiare, come spesso purtroppo avviene.
Che prospettive vedi per le donne nella politica, istituzionale e non?
Le prospettive dipendono dalla nostra capacità di lavorare insieme per un mondo ed una politica diversa. Credo che le donne debbano rendere ben visibili le loro differenze e non cercare l’omologazione con l’altro genere per sentirsi legittimate. Penso che l’ingresso delle donne in politica possa rappresentare un forte elemento di discontinuità nel gestire la cosa pubblica. Per questo però non è sufficiente essere donne, occorre rendere visibile la differenza, lo sguardo diverso sulle cose, far si che diventi un valore riconoscibile per tante e per tanti. Solo così la battaglia per portare più donne nelle istituzioni avrà un senso.
(03 aprile 2007)
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