Giovedi, 06/02/2025 - La Sesta Sezione Penale della Cassazione, pronunciandosi in materia di delitti contro la famiglia, ha ribadito che integra il delitto di cui all'art. 572 cod. pen., la condotta di chi impedisce alla persona offesa di essere economicamente indipendente, per l'ipotesi in cui i comportamenti vessatori provochino nella vittima uno stato di prostrazione psico-fisica e le scelte economiche ed organizzative assunte in seno alla famiglia, in quanto imposte unilateralmente, costituiscano il risultato di atti di violenza e di prevaricazione psicologica. Già nel 2016, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 10959, evidenziarono che l'espressione “delitti commessi con violenza alla persona, adoperata dal legislatore in sede di conversione del d.l. n. 93 del 2013, rinvia ad una fattispecie molto più ampia rispetto a quella del reato di maltrattamenti in famiglia originariamente previsto e deve pertanto essere inteso in senso estensivo, comprensivo di tutte le violenze di genere e quindi anche di quella che non si estrinsechi in atti di violenza fisica ma riguardi anche la violenza psicologica, emotiva o che si realizzi soltanto con le minacce (…). Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico, mentale o emotivo o perdite economiche”.
Di recente, con la sentenza n. 6937 del 2023, la Cassazione ha sottolineato che l'avarizia ossessiva ed il regime pervasivo di risparmio domestico, integrano il reato di maltrattamenti perchè l'offesa alla dignità della partner, unitamente ai ripetuti atti di disprezzo sfociano, inevitabilmente, in vere e proprie sofferenze morali e psicologiche. Con la sentenza n. 1268, depositata il 13 gennaio 2025, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso avverso una pronuncia di condanna resa nei confronti di un uomo che per quasi vent'anni ha sottoposto la moglie a ripetuti comportamenti denigranti, impedendole di autodeterminarsi economicamente ed ostacolando la ricerca di una occupazione e il consequenziale sviluppo di relazioni sociali esterne al nucleo familiare. La difesa dell'uomo ricorreva avverso la sentenza di appello deducendo ben quattro motivi, il primo dei quali basato sul vizio di motivazione per avere, la decisione impugnata, fondato la responsabilità del ricorrente, sulle sole dichiarazioni rese della moglie la quale, a suo dire, aveva deciso autonomamente di non lavorare per dedicarsi all'accudimento dei figli. I litigi familiari sarebbero stati scatenati dal solo timore che la donna intrattenesse una relazione extraconiugale e non dalla gestione economico-finanziaria del nucleo familiare. La Corte, nel rigettare tutti i motivi sollevati, richiama i rincipali strumenti normativi a disposizione in materia, tanto internazionali quanto comunitari, che riconoscono la violenza economica quale ulteriore forma di discriminazione di genere. Il primo richiamo è alla Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d'Europa l'11 maggio 2011 e ratificata, nel nostro Paese, con la legge n. 77 del 27 giugno 2013, la quale riconduce alla violenza nei confronti delle donne, tutti quegli atti basati sul genere “ che provocano o sono suscettibili di provocare sofferenza di natura fisica, sessuale, psicologica ed economica”.
Sulla stessa linea si collocano i Considerando 17 e 18 della Direttiva 2012/29/UE nei quali è stato specificato che i fenomeni legati alla violenza di genere e alla violenza nelle relazioni strette possono provocare, nella vittima, danni fisici, emotivi e, di conseguenza, perdite economiche. La recente Direttiva 2024/1385 UE, nel Considerando 32 stabilisce che “ la violenza domestica può tradursi in un controllo economico da parte dell'autore del reato e le vittime potrebbero non avere un accesso effettivo alle proprie risorse finanziarie. La lett. b) dell'art. 2 della menzionata Direttiva, fa rientrare nel novero della violenza domestica “qualsiasi atto di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica, consumato all'interno della famiglia o del nucleo familiare”.
Fatta questa brevissima premessa, per gli Ermellini, nel caso di specie, l'imputato ha ostacolato ripetutamente il cammino emancipatorio della moglie, vietandole di intraprendere percorsi di formazione e ostacolando la ricerca di qualsivoglia attività lavorativa, attraverso manipolazioni e pressioni psicologiche continue. E' stato accertato processualmente, inoltre, che l'imputato ha esercitato, nei confronti della donna, condotte violente, sessualmente umilianti e denigratorie anche alla presenza dei figli spesso strumentalizzando e servendosi di questi ultimi per esercitare un controllo sugli spostamenti della donna.
Dunque: integra il delitto di maltrattamento contro familiari o conviventi, la condotta di chi impedisce alla persona offesa di essere economicamente indipendente, nel caso in cui i comportamenti vessatori siano suscettibili di provocare in quest’ultima un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica.
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